In un saggio sulla teologia del culto, Karl Rahner presenta due modelli di interpretazione dell’azione divina. “Il primo modo è di considerare la grazia divina come un intervento di Dio nel mondo in un punto dello spazio e del tempo”[1] Questo primo modello interpreta l’azione di Dio in modo miracoloso e mitologico. Il mondo è inteso come “esterno” a Dio e ogni azione divina è compresa “dall’esterno” rispetto all’ordine del mondo[2].
In questa prospettiva interventista, la grazia di Dio viene principalmente considerata come frammentaria ed aliena, in un mondo che è fondamentalmente privo della grazia. Secondo questo modello, la rivelazione divina è considerata come sequenza di incursioni puntuali e singolari di Dio dall’esterno nella creazione e nella storia umana. In tale modello, la rivelazione viene identificata con alcune azioni e parole “speciali” di Dio, considerate straordinarie e irriducibili al corso ordinario della creazione. La rivelazione costituisce un secondo livello di creazione: il cosiddetto “soprannaturale”.
Secondo Rahner c’è, tuttavia, un altro modo di considerare la rivelazione divina. “Il mondo secolare fin dall’inizio è sempre circondato e permeato dalla grazia della divina auto-comunicazione. La sua grazia è sempre e ovunque presente nel mondo”[3]. Dio non è presente nel mondo in modo soprannaturale o straordinario. Due sono le ragioni principali. Innanzitutto, poiché la relazione con Dio costituisce intrinsecamente l’essere del mondo in ogni momento; ciò significa che Dio e il mondo, il Creatore e la creatura non sono in concorrenza. L’essere e la creazione di Dio, l’azione di Dio (prima causa) e le azioni create (cause secondarie), non sono inversamente ma direttamente proporzionali.
In secondo luogo, perché la relazione con Dio definisce l’essere della creazione. Significa che la creazione non è “aggiunta” all’essere finito. Ne consegue che non esiste una relazione divina maggiore con l’essere finito rispetto all’atto creativo stesso che nient’altro che l’essere di Dio stesso. La vera natura di Dio è la creatività. Concepire la rivelazione divina come un’ulteriore o speciale azione divina, significa non comprendere la creaturalità come predicato trascendentale dell’essere finito.
L’auto-comunicazione di Dio si identifica con l’essere di Dio ed è condizione trascendentale per la creazione. Karl Rahner afferma chiaramente: “Quando Dio vuole essere ciò che non è Dio, l’uomo viene ad essere”[4]. Ciò che Rahner ascrive qui all’umanità, dovrebbe essere attribuito alla creazione in quanto tale, poiché l’autodeterminazione di Dio è universale e presente dovunque. Il creato esprime l’essere di Dio: ogni cosa creata è “immagine” – a suo modo – di Dio. Poiché Dio è Spirito, significa che ogni cosa (panta) partecipa – a suo modo – dello spirito di Dio (psyché).
A questo punto possiamo porre in parallelo – come già molti studiosi stanno facendo (cf. Daniel Boyarin) – Gen 1,1-3 e Gv 1,1-3.
In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu” (Gen 1,1-3)
In principio era il Verbo
(= la Parola, Ragione, Progetto, Sapienza)
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste (Gv 1,1-3)
Fin dagli inizi della creazione (Big Bang), l’universo si evolve sempre più verso la somiglianza con Dio. L’intero universo partecipa del Mistero di Dio (cf Esercizi spirituali di Sant’Ignazio, Contemplatio ad amorem) e per mezzo dell’evoluzione ogni ente è “attirato” (auto-trascendimento) a conformarsi sempre più coscientemente e liberamente a Dio, diventando così simile a Dio (theiosis). Poiché Dio è Spirito, e lo Spirito è Amore, l’amore attrae tutto l’universo secundum modum recipientis a divenire “trinitas creata”. Come recita l’ultimo verso del Paradiso e della Divina Commedia di Dante Alighieri: “L’amor che move il sole e l’altre stelle (Paradiso, XXXIII, v. 145).
Il Credo Niceno-costantinopolitano inizia con l’affermazione che crediamo in un solo Dio e conclude confessando che crediamo nella vita del mondo che verrà. L’auto-comunicazione di Dio mira all’adempimento finale quando “Dio sarà tutto in tutti”. (1Cor 15,28). “[Dio] vuole veramente avere l’altro come suo, lo costituisce nella sua genuina realtà. Dio esce da se stesso, lui come pienezza di auto-donazione. Perché può farlo, perché questa è la sua possibilità libera e primaria, per questa ragione è definito nelle Scritture come amore”[5]. Se Dio è auto-comunicazione, ogni essere creato secondo il suo livello di ricettività e auto-trascendenza, è una rivelazione di Dio.
I cieli narrano la gloria di Dio,
e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento.
Il giorno al giorno ne affida il messaggio
la notte alla notte ne trasmette notizia.
Non è linguaggio e non sono parole,
di cui non si oda il suono.
Per tutta la terra si diffonde la loro voce
e ai confini del mondo la loro parola.
(Salmo 19: 2-5)
Quanto più si da apertura a Dio (nella coscienza, nella libertà e nell’amore), tanto più lì Dio stesso si dice e si esprime. Nella sua amorevole consegna a Dio e agli uomini, Gesù attualizza quella potenzialità dell’auto-trascendenza che è presente in ogni forma vivente a diverso grado ed intensità, e nelle varie figure umane e religiose. In Gesù di Nazareth “il cosmo accetta Dio in modo definitivo e assoluto”[6]. Realizzando simbolicamente l’apertura trascendentale e totale a Dio, possiamo affermare che Gesù è “incarna” l’essere di Dio nell’atto categoriale della sua consegna d’amore per gli altri[7].
A partire da questa prospettiva cosmico-evolutiva intendo comprendere – seguendo alcuni Padri della Chiesa come Origene di Alessandria e Massimo il Confessore, la scuola scotista e francescana della scolastica e più recentemente a noi Karl Rahner – l’evento dell’incarnazione. Chiediamoci: Chi e cosa è il Cristo? Dove è il Cristo? Alla luce delle precedenti considerazioni sull’auto-comunicazione di Dio, interpretata secondo il modello dell’universale presenza di Dio, dobbiamo rispondere che il Cristo è il progetto
(= Verbo, Sapienza e Parola) realizzato di Dio. Un cristiano è qualcuno che ha imparato a vedere Cristo ovunque. Comprendere il Cristo cosmico cambia il modo in cui ci relazioniamo alla creazione, alle altre religioni, alle altre persone, a noi stessi e a Dio. Conoscere e sperimentare questo Cristo può determinare un cambiamento importante nella coscienza. Il Cristo universale è presente sia nella Scrittura che nella Tradizione, così come è stato compreso da molti mistici, sebbene non come punto centrale e fondamentale della fede cristiana (cf il Prologo di Giovanni, Colossesi 1,15-20, Efesini 1, 9-12). In modo più specifico, possiamo dire che il Cristo universale è l’accoglienza ad modum creaturae recipientis dell’auto-comunicazione di Dio, che pervade tutta la creazione ed evolve dispiegandosi (Ent-faltung) fin dall’inizio (Big Bang) per raggiungere la sua completa e definitiva realizzazione cosmica nella “vita del mondo che verrà”.
Gesù è il Cristo in quanto è quella realizzazione piena e definitiva del Cristo universale già in punto preciso della storia e della creazione. È la promessa inequivocabile di ciò che per ogni uomo e donna, e per tutto il creato, avverrà nella potenza dello Spirito. Gesù e Cristo non sono, quindi, la stessa cosa: non materialmente, ma formalmente si identificano. Se da un lato la persona storica di Gesù di Nazareth è quella singolare unione di umano e divino realizzata nello spazio e nel tempo, da un altro lato Cristo è l’unione di materia e Spirito dall’inizio dei tempi. Quando crediamo in Gesù Cristo, stiamo credendo in qualcosa di molto più grande dell’incarnazione storica che chiamiamo Gesù. Possiamo dire che Gesù è la mappa visibile e tangibile di una realtà molto più vasta. Tutta la portata del significato di Unto, il Cristo, include noi e include tutta la creazione fin dagli inizi dei tempi.
Tanto l’incarnazione quanto la risurrezione (singolare e universale) non sono quindi atti consecutivi di Dio, ma esprimono l’effetto della risposta creaturale all’unica ed eterna auto-comunicazione di Dio. La risurrezione di Gesù, quindi, non è un nuovo atto creativo divino, un’azione più potente e straordinaria di Dio. Se fosse così, Dio contraddirebbe se stesso nella sua relazione trascendentale con il mondo (creatio ex nihilo), in quanto dell’atto creativo – identico con l’essere di Dio – non si può pensare uno maggiore. Se “creazione” dice dipendenza radicale e totale dell’ente dall’essere di Dio, non si può pensare una dipendenza “maggiore” da Dio oltre la relazione trascendentale del mondo da Dio. La risurrezione non può essere pensata così come un’azione “maggiore” rispetto l’atto creativo di Dio: sia ex parte dei che ex parte creaturae. “[La] risurrezione non è altro che il momento più alto in cui un essere umano si arrende all’amore di Dio, e non un nuovo atto divino che si aggiunge alla creazione. La risurrezione di Gesù è il risultato, invece, dell’autodeterminazione di Gesù di arrendersi a Dio nella morte”[8].
Con la risurrezione di Gesù comprendiamo pienamente ciò che Dio ha operato fin dall’inizio: che tutto vive, si muove e ha il proprio essere in Dio. Tutta la creazione è “progenie” di Dio – come dice Paolo in Atti 17,28 – e tutta la creazione è sacramento di Dio. Gesù di Nazareth è il sacramento di Dio per eccellenza, poiché egli rivela come Dio è ed agisce. È sacramento non perché “causa” la grazia o la salvezza – Dio rimane sempre l’unica e sola fonte di ogni grazia e salvezza, ma perché ne è segno ed indicazione. I sacramenti sono come “bandiere a vento” o “anemoscopi” che mostrano la direzione del vento, dove soffia il vento. In questo modo Gesù rivela e opera la grazia e la salvezza di Dio.
Un tale approccio all’incarnazione di Dio e alla risurrezione di Gesù permette una comprensione dell’azione divina che oltrepassi il modo mitologico di considerare l’incarnazione divina come qualcosa di straordinario aggiunto alla creazione attraverso una speciale azione divina.
[1] Karl Rahner, “On the Theology of Worship,” in Theological Investigations. Vol. XIX (Crossroad: New York, 1983), 141-149, at 142.
[2] Philip Clayton, “The Case for Christian Panentheism,” Dialog 37 (Summer 1998): 201-208,
[3] Karl Rahner, “On the Theology of Worship,” 142-143.
[4] Karl Rahner, Foundations of Christian Faith, 222-223.
[5] Karl Rahner, Foundations of Christian Faith, 222.
[6] Denis Edwards, Jesus and the Evolving Cosmos (Eugene, OR: Wipf and Stock, 2004), 66.
[7] “Incarnation is not supposed to be an isolated event in Jesus Christ alone, but is seen to have been a continuous process of incarnation that began with creation, reached its climax in Christ and continues even today.” (John Macquarrie, Jesus Christ in Modern Thought, London, SCM Press, 1990, 392.421)
[8] Bela Weissmahr, “Kann Gott die Auferstehung Jesu durch innerweltliche Kräfte bewirkt haben?” in ZKTh100 (1978), 441-469, 456.