Come viene Dio al mondo?

All’inizio di questo Avvento, così ha esordito il profeta Isaìa (11,1): “In quel giorno, un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici”.

Il profeta ci parla di un germoglio nato da un tronco, che spunta dalla terra. È un germoglio che crescerà, diventerà più grande, un altero che darà frutti. Da virgulto a moltitudine; dal poco al molto; dal nulla all’essere. Una crescita; un cammino; un divenire. Un’evoluzione della creatura. Tutto conduce alla Vita. “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini […] veniva nel mondo la luce vera quella che illumina ogni uomo” v 1,4.9).

San Bernardo parla di triplice venuta del Signore (Disc. 5 sull’Avvento, 1-3; Opera omnia, Edit. cisterc. 4 [1966], 188-190). La prima e la terza sono manifeste: quella nella carne in Gesù di Nazareth e quella nella gloria alla fine dei tempi. La seconda venuta, invece, è occulta. Così come ne parla anche San Paolo (Col 3,3-4): “Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria”. La stessa Vita di Dio, che si è fatta carne in Gesù (ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο) e in lui si è resa manifesta (Gv 1,14) in un particolare momento della storia (2000 anni fai) e in un luogo del mondo (Nazareth), è presente ed abita in ciascuno di noi. “E il Verbo […] venne ad abitare in mezzo a noi (ἐν ἡμῖν, cioè “in” noi)” (Gv 1,14).

Questa venuta intermedia, dice San Bernardo, è occulta all’esterno: “solo gli eletti lo [= Cristo] vedono entro se stessi, e le loro anime ne sono salvate”. “Nella prima venuta dunque egli venne nella debolezza della carne, in questa intermedia viene nella potenza dello Spirito, nell’ultima verrà nella maestà della gloria. Quindi questa venuta intermedia è, per così dire, una via che unisce la prima all’ultima: nella prima Cristo fu nostra redenzione, nell’ultima si manifesterà come nostra vita, in questa è nostro riposo e nostra consolazione”. Da questo discorso di San Bernardo è chiaro che l’incarnazione non è una meteora nella storia del mondo. È un processo evolutivo, dinamico e differenziato. Anzi, direi, cosmico. L’inizio di questa incarnazione si ha già in quel momento singolare che è il Big Bang. La carne di Gesù è in intima relazione con la materia di quel momento singolare: germoglio e virgulto di materia e spirito che evolve verso la pienezza della gloria dell’ultima venuta: il Cristo cosmico, il Punto Omega (Teilhard de Chardin).

Questa venuta intermedia ci abita nel più profondo, così come ne parla San Giovanni nel suo Vangelo: “Se uno mi ama, – dice – custodirà la mia parola: e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui” (Gv 14, 23). Custodire la Parola di Dio, il Verbo, poiché il Verbo, la Vita, Dio, è già in me, ma questa Parola deve essere continuamente assimilata, assunta, divenire sempre più il mio essere. Così San Bernardo: “tu custodiscila in modo che scenda nel profondo della tua anima e si trasfonda nei tuoi affetti e nei tuoi costumi. Nùtriti di questo bene e ne trarrà delizia e forza la tua anima”.

È la stessa Parola, la stessa Vita, lo stesso Dio che nelle tre venute (in Gesù, in noi, nel cosmo) è presente. Dio si comunica in queste tre distinte venute con la stessa radicalità e totalità. Gesù è totus deus, sì, ma anche noi lo siamo, poiché la stessa Parola “abita” in noi, e così sarà anche nel cosmo. “Dio sia tutto in tutti” (1Cor 15,28). Nelle tre venute, Dio è presente “totum”, benché non totaliter. Né in Gesù, né in nessun’altra creatura, Dio è totalmente presente. Se lo fosse, anche solo in Gesù, ne risulterebbe che in noi non abiterebbe più Dio stesso ma una Sua creatura; in noi dimorerebbero delle parole, ma non la Parola.

Allora, non è propriamente la Parola che viene in tre modi diversi – nella debolezza, nella potenza e nella gloria – ma è la creatura che accoglie progressivamente e distintamente la stessa e medesima Parola. Parlando del Dio che diventa uomo, San Tommaso (STh I, q. 13, art. 7 ad secundum) così dice: “Nec fieri nec factum esse dicitur de Deo”, cioè Dio non diventa e non è divenuto … uomo. È la creatura, siamo noi, che diventiamo “uniti” a Dio. “Si dice infatti che Dio si è unito alla creatura, in quanto la creatura è stata unita a lui, senza mutamento di Dio” (STh III, q. 2, art. 7 ad primum). Gesù di Nazareth ha realizzato in pienezza tale inabitazione ed è per questo che di lui si dice che è il Figlio. E dato che la pienezza può essere una e una sola (non ci possono essere due pienezze, ciò sarebbe contradditorio), la fede cristiana confessa che Gesù è il Verbo incarnato. La dottrina cristologica parla in tal senso di unione ipostatica, cioè la natura umana sussiste nella persona divina del Verbo. Ma dato che questa “sussistenza” non muta affatto il Verbo ma è l’umanità che muta in unione con il Verbo, ne segue che tale mutazione avviene gradualmente e con intensità diverse: dal meno al più. La pienezza che l’unione dell’umano con Dio raggiunge in Gesù di Nazaret è ciò che cristologicamente viene chiamato: unio hypostatica. Ma tale confessione di fede – che Gesù è il Verbo incarnato – è insufficiente se si prescinde dalla dinamica di tutta l’incarnazione (dall’inizio alla fine), poiché separa la prima venuta dalla dinamica delle altre due venute del Verbo. Anche noi partecipiamo di questa “incarnazione” di Dio; anzi, tutto il creato è fin dall’inizio (Big Bang) coinvolto ed attratto verso l’eschaton cosmico.

Possiamo fare questo esempio, per spiegare meglio. Se sono in una stanza e fuori dalla stanza brilla e riscalda il sole, posso dire che il sole (soggetto) mi riscalda e mi illumina. Attribuisco al sole queste due azioni: riscaldare e illuminare. Sono le sue azioni su di me. Se ad un certo punto socchiudo la finestra della mia stanza, dirò che il sole non mi riscalda più come prima e mi illumina di meno. Attribuisco al sole questo cambiamento. Ma in effetti non è il sole che ha diminuito (o aumentato) la sua azione di riscaldare e di illuminare. È stata la mia azione a fare questo e ad attribuirla al sole, ma impropriamente.

Così avviene con Dio e le sue tre venute. Non è Dio che viene in persona in Gesù a Nazareth; in grazia santificante in noi; e in una nuova creazione alla fine dei tempi. Dio non è mai venuto al mondo, non è mai disceso dal cielo. Impropriamente attribuiamo a Dio ciò che appartiene alla creatura. Potremmo anche dire che Dio è eternamente incarnato nel senso che da sempre Dio è relazionato alle creature e queste sono la manifestazione secondo la temporalità, la gradualità e la distinzione creaturale dell’essenza divina. La nostra essenza è di essere ad immagine di Dio; se Dio è la Sua immagine, ne segue che l’essenza della creatura è la stessa essenza di Dio, in quanto Sua somiglianza. “[La] somiglianza di questa [= essenza divina] può essere da più cose diversamente partecipata” (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 44, art. 3). Con l’immagine del cerchio, possiamo dire che il centro è l’eterna essenza divina che si manifesta nel tempo, cioè nella circonferenza. In questa vi sono i vari istanti che realizzano differentemente l’istante simultaneo dell’eterno. Ogni istante porta a maturazione la manifestazione dell’eterno

È la creatura che germoglia sempre più fino alla sua pienezza definitiva. In Gesù – così crediamo – questo si è “già” compiuto nella risurrezione; in noi e nel cosmo “non ancora” pienamente ma alla fine dei tempi saremo anche noi manifestati per quello che siamo: generati da Dio (Gv 1,14), cioè figli di Dio. “Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2).

Così si esprime il teologo domenicano Giuseppe Barzaghi (in Oltre Dio, Giorgio Barghigiani Editore, Bologna 2000, 47). “L ’eterno non è una successione di istanti, è un istante permanente che è perfettamente simultaneo agli istanti successivi di ciò che chiamiamo tempo. Il centro di una circonferenza è perfettamente simultaneo ai singoli punti che sono sulla circonferenza.

L’incarnazione nella ‘pienezza del tempo’ vuol dire che c’è un istante nel tempo in cui l’eterno si manifesta perfettamente, come la pienezza di ogni istante. Quindi è definitivo. Allora, l’escatologia realizzata significa che in Cristo incarnato, paziente, morto, risorto, asceso al Cielo è tutto compiuto, non c’è più niente da aspettare se non con la fantasia!

L ’apocalittica è una proiezione fantastica e fantasiosa, su misura antropomorfica, delle attese che noi abbiamo rispetto a Dio: ma non è l’escatologia. L’escatologia è realizzata, perfettamente compiuta, non c’è più nulla da aspettare; non ci sono cose che si aggiungono, c’è soltanto la progres­siva manifestazione di ciò che si è già ma che non è ancora pienamente manifesto. Dio non agisce per aggiunte. Tutto è già compiuto.

Qui c’è l’istante fermato in cui c’è il palesamento assoluto della presenza assoluta di Dio presso la carne sofferente innocente. Presenza che è in tutti gli istanti del tempo, in tutto il tempo, in tutta la storia, in tutto il mondo perché è espressione del mondo e si esprime nel mondo”.


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