Tre sono le obiezioni fondamentali da parte cristiana all’utilizzo dello yoga e della meditazione di consapevolezza.
La prima fondamentale obiezione è che con la pratica dello yoga e della meditazione di consapevolezza la persona si rinchiude in se stessa, poiché lo yoga e la meditazione hanno il fine di conoscere se stessi (atman), e conoscendo sé si conosce Dio stesso (brahman). Nello yoga e nella meditazione, dunque, viene meno l’alterità della relazione duale: Dio non è più il “Tu” a cui volgermi ma il Sé in cui immergermi.
Vorrei ricordare a coloro che fanno questa obiezione che nella pratica cristiana della preghiera, per esempio, è sempre “latente” il rischio di una proiezione nel “Tu” divino di noi stessi: dei nostri pensieri, immagini ed aspettative. In definitiva, facciamo dire a Dio che “mi” parla quello che “io voglio”. La differenza tra la meditazione di consapevolezza e la preghiera cristiana, dunque, è che la prima è “consapevole” che Dio non è il “Tu” a cui volgermi ma la sorgente del mio essere.
La meditazione è conoscenza di noi stessi, dove il “noi stessi” (atman) non è altro da Dio ma è Dio stesso (brahman). Tuttavia, la meditazione di consapevolezza fa un passo in più. Dio non è semplicemente il “noi” di noi stessi, ma è la realtà sorgiva di noi stessi. La meditazione è “consapevole” di questa distinzione “formale” (benché non reale) tra “noi” e “Dio”. Propriamente, la conoscenza di “sé” non è la conoscenza di ciò che “so” del “mio” sé, ma è conoscenza che io “non” sono il “mio” sé, ma il sé (atman) che è Dio (brahman).
La preghiera cristiana è sì “colloquio con Dio”, “dialogo” con il “Tu” di Dio. Tuttavia, il “Tu” a Cui prego è ciò che mi fa pregare. È lo Spirito che fa pregare ed attiva il “mio” spirito. Quindi lo Spirito (di Dio) non è il “Tu” a cui prego ma la realtà da cui, in cui e per mezzo di cui prego. Anche nella preghiera cristiana, per sua costituzione, Dio (cioè lo Spirito di Dio) non è solamente un “Tu” a cui prego ma è ciò che mi costituisce come orante. Per quanto riguarda il “Tu”, come dicevo prima, rimane sempre il rischio della proiezione. Cosa è che mi permette di distinguere se mi sto illudendo, per cui ciò che considero un “dialogo con Dio” è un “monologo con me stesso”, o se invece sto realmente dialogando con un Altro che è Dio? La risposta che la spiritualità cristiana continuamente dà è: lo Spirito di Dio. Certamente, vi sono maestri e padri spirituali che aiutano in questo discernimento, ma questi se sono veramente “spirituali” rimandano l’orante allo Spirito. Ne segue, che per non illudermi che nella preghiera non stia a parlare con me stesso devo far riferimento allo Spirito di Dio ed è quella realtà che mi fa pregare. Ma lo Spirito è una realtà non “altra” da me poiché è lo Spirito che mi costituisce come orante. Lo Spirito è testimone del nostro spirito (Rom 8,16). Ne risulta, dunque, che la conoscenza di sé è costitutiva della stessa preghiera cristiana. La forma “dialogica” della preghiera cristiana, quindi, ha la sua condizione di possibilità nella consapevolezza dello spirito (atman). Questa consapevolezza originante e testimoniale è lo Spirito di Dio (brahman).
La seconda fondamentale obiezione consiste nell’affermare che nella comprensione non duale la singolarità dell’individuo si annienta nell’assoluto. L’io è sciolto (da se stesso, quindi liberato) e dissolto in Dio, cosicché l’io svanisce in Dio. È proprio del cristianesimo, invece, l’affermazione della singolarità, particolarità ed unicità della persona che non “si perde” nell’assoluto. Anche in questo caso, coloro che fanno questa obiezione dimenticano che Gesù invita coloro che lo seguono a rinnegare se stessi, a prendere la sua croce e a seguirlo. “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 16,25; Mc 8,35; Lc 9,23-24). “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,24-25). Il testo di Giovanni è indicativo della dinamica del “perdere” se stessi – il rimanere da “soli” della ψυχή (anima, vita) – per trovare se stessi come viventi (ζωή di Gv 10,10) in un orizzonte di vita maggiore ed abbandonante (vita eterna, la ζωή). Ciò che si perde è una modalità della propria vita perché la vera vita sia raggiunta. In questa trasformazione (da seme ad albero maturo) è necessario dissolversi e perdersi come fa un granello di sale nell’oceano.
Per comprendere meglio il rapporto tra singolarità ed assoluto può venirci in aiuto San Tommaso (Summa theologiae, I, q. 44, art. 3). “Nella divina sapienza si trovano le essenze di tutte le cose: le quali sono chiamate idee, cioè forme esemplari esistenti nella mente di Dio. E sebbene esse siano molteplici relativamente alle cose, tuttavia non sono in realtà distinte dall’essenza divina, in quanto la somiglianza di questa può essere da più cose diversamente partecipata. Dio stesso è la causa esemplare di tutte le cose”. Nell’essenza divina vi sono le essenze di tutte le cose, infatti, l’essenza divina è la causa esemplare di tutte le cose. Dio non conosce solo le idee di tutte le cose ma conosce anche ogni singolarità (ogni individuo, ogni singolo evento, ogni singolo aspetto). “Dio, quindi, se nel conoscere la propria essenza conosce nella sua universalità la natura dell’ente, deve anche conoscere il molteplice. Ma il molteplice non può essere conosciuto senza la distinzione. Dunque, Dio conosce le cose in quanto sono tra loro distinte” (Summa contra gentiles, Libro I, capitolo 50, n. 5). Come le idee di tutte le cose non sono distinte dall’essenza divina, per cui “sono” l’essenza divina, così ogni singolarità che è conosciuta da Dio è la sua essenza.
Dunque, i finiti nella loro singolarità sono presenti nell’essenza divina infinita. Il finito è presente nell’infinito in quanto – con termine tedesco – aufgehoben cioè sciolto dalla sua forma “separata” e “non relata” ma “conservato” nell’infinito. È quindi un “perdere” e “distacco” del finito nella sua singolarità ed individualità alienante, senza relazione all’intero. Ricordo che in greco holos e salvus in latino (nelle lingue germaniche selig, beato) dicono riferimento all’intero come salvezza/salute. La negazione (del perdere, rinnegare se stessi, dissolversi) è annullamento della singolarità “isolata” ma questa è riaffermata ed è compiuta (perfezione) in un orizzonte eccedente e sovrabbondante. Con un esempio numerico: se prendiamo il 10 come l’infinito, in esso sono presenti sia il 7 che l’8 – e tutti gli altri numeri che lo precedono – non nella loro forma “separata” ma in forma “sublimata”, cioè “innalzata” e “risorta”, finito-n/dell’-infinito.
Nella meditazione di consapevolezza e nella pratica yoga siamo immersi nell’infinita essenza divina e dissolvendo la forma “separata” del “nostro” essere, ci riconosciamo gocce d’acqua, granello di sale conservate nell’oceano.
La terza obiezione riguarda il rapporto tra la pratica della meditazione non duale e la grazia di Dio. Da parte cristiana si obietta che le tecniche di yoga e di meditazione intendono produrre l’effetto di ciò che è e rimane sempre un dono di grazia. A tale obiezione rispondo dicendo che la grazia di Dio tutto pervade e mette in moto tutto il cosmo e porta tutte le cose, e singolarmente, al loro compimento. La grazia è la inter-relazione con tutti gli esseri, è la Vita divina che precede, accompagna e segue tutte le cose, e dunque anche la “nostra” tecnica di meditazione. La meditazione di consapevolezza, essere presenti nel presente alla Presenza, è un esercizio spirituale. Come dice Sant’Ignazio nella Prima Annotazione degli Esercizi Spirituali, “con il termine di esercizi spirituali si intende ogni forma di esame di coscienza, di meditazione, di contemplazione, di preghiera vocale e mentale, e di altre attività spirituali, come si dirà più avanti. Infatti, come il passeggiare, il camminare e il correre sono esercizi corporali, così si chiamano esercizi spirituali i diversi modi di preparare e disporre l’anima a liberarsi da tutte le affezioni disordinate”. Si tratta di disporre il terreno all’accoglienza della grazia nella consapevolezza che anche questo disporre è grazia.
Attraverso il momento presente “entro” ed “assecondo” il flusso della grazia flusso. “Assecondare” il flusso di grazia, significa vivere secondo la natura di Dio che è “Amore”. In questo ci viene ben in aiuto Sant’Agostino che così descrive il flusso della grazia. “Ama e fa ciò che vuoi: se taci, taci per amore, se parli, parla per amore, se correggi, correggi per amore, se perdoni perdona per amore. Sia in te la sorgente dell’amore, perché da questa radice non ne può uscire che il bene” (Agostino, Commento alla Prima lettera di Giovanni 7, 8); “Ama il prossimo e mira dentro di te la fonte da cui scaturisce l’amore del prossimo, ci vedrai, in quanto ti è possibile, Dio” (Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni 17, 8); “Cosa è questa fonte, cos’è questo fiume che scaturisce dal seno dell’uomo interiore? È la bontà che lo spinge a provvedere al prossimo. Se tu ritieni che quanto bevi debba bastare solo a te stesso, non scaturirà dal tuo seno l’acqua viva: se ti affretti invece, a farne parte al prossimo, allora la fonte non seccherà, ma fluirà ininterrotta” (Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni 32, 4).
Anche la Preghiera del Padre Nostro vive di questa circolarità di grazia: “Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Dio non condiziona il Suo perdono al nostro merito di aver perdonato, ma il Suo incondizionato perdono ed amore (l’aria) è “esperibile” da noi e lo respiriamo, nel momento in cui “anche” noi amiamo incondizionatamente, nella pura gratuità.
Questo vale sia per l’agire che per il contemplare. La grazia di Dio che sempre ci precede, ci accompagna e ci segue – quindi è sempre gratuita – diventa esperibile nella responsabilità personale. A tale proposito scrive Sant’ Ignazio di Loyola: “Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio” (cfr Pedro de Ribadeneira, Vita di S. Ignazio di Loyola, Milano 1998). Ognuno di noi sa bene di dover fare tutto quello che può, anche attraverso tecniche di meditazione ed indicazioni spirituali, ma nella consapevolezza che il risultato finale dipende da Dio: questa consapevolezza ci sostiene specialmente nelle situazioni difficili della vita ed anche della meditazione silenziosa.
I was born in 1960, in a small town in Northern Italy, Ravenna, which had been the capital of the Western Roman Empire in the 6th century. Today it is an amazing, artistic Byzantine town, full of history and cultural heritage, and an important center for European and international meetings. During my youth, I used to go around downtown and stop foreign tourists visiting Ravenna so that I could encounter diverse people and new cultures and learn foreign languages. That xenophilia led me at the age of 16 to apply for an exchange program, AFS (American Field Service), and I spent one school year in Severna Park, Maryland, attending the local High School and living with an American family.
This desire for knowing new cultures and new human frontiers led me to join the Jesuits in 1983, and since then I have been a member of this Catholic religious order. My academic formation was mostly spent in Europe: Milan, where I got my Master of Philosophy (laurea in filosofia); Naples, where I acquired a Master in Divinity (baccalaureato in Teologia); Germany, where I received my Doctorate (PhD) in Sacred Theology at the Jesuit School of Philosophy and Theology in Frankfurt.
A few words of Pope Paul VI inspired my religious vocation: “Wherever in the Church, even in the most difficult and exposed fields, in the crossroads of ideologies, in the social trenches, there has been or is confrontation between the burning exigencies of humanity and the perennial message of the Gospel, there have been and are the Jesuits.” Since my Master Degree work in philosophy at the Sacred Heart University in Milan, I have been interested in confronting my religious background with other faiths and human experiences. My need to be inquisitive about and critical of human and religious experiences led me to engage several of the ultimate existential questions. In dialogue with modernity, that is with philosophy and science, I am interested in the question of how to understand God’s action in the World and the problem of evil. Since the time of my doctoral thesis I have been in dialogue with other Christians and with other religious traditions. Because of these experiential and intellectual concerns, I feel deeply involved and interested in pursuing a reassessment of what it means to be Christian and Catholic in a pluralistic and globalized world.
Areas of Inquiry and Publications
Catholic theology is usually divided into several fields: biblical studies, church history, canon law, ethics, pastoral theology, comparative theology and systematics. Systematics draws its method both from philosophy and hermeneutics, and from biblical studies and religious studies, and it is usually the largest branch of theology. Systematic theology is also very much interested in asking and answering the so-called “big” or “great” questions, such as: Does the universe have an ultimate origin and goal? What does it mean to be human? What is good and evil? How do we do good? Why do we often fail? Systematic theology also applies its method to specific subjects: Who is Jesus? Who or What is God? Who and What is Spirit? What is Human? How is God related to the world and humanity? What is the Church? My specialty is systematics, particularly as influenced by philosophy and comparative theology of religions. Within systematics, I have done research and teaching in Christology, Trinitarian Theology, Ecumenical Theology (study of other Christian churches) and Comparative Theology of Religions.
It has been a constant in my intellectual formation to integrate reflection with experience. I have been working since 1985 in the Ecumenical movement, especially with Anglicans and Lutherans. As a journalist for the Catholic Journal La Civiltà Cattolica, I attended the Lambeth Conference of Anglican Bishops in Canterbury, England in 1988, 1998 and 2008. I also spent periods of time visiting countries with Hindu (India, 1999) and Muslim (Egypt, 2001 and 2004) majorities in order to have a direct experience with these religious traditions and reflect upon them in my research. My pastoral activity as a priest and director of Spiritual Exercises has helped me to listen to the longing of many men and women, within the church and in the broader society, for a deeper spirituality and a renewed sense of the Mystery.
Because of this integration between reflection and experience, I have undertaken new paths of research in systematic theology. In 2005 I published a book on Christology (in Italian), This Jesus. Thinking the singularity of Jesus Christ, which received a wide appreciation and attention in many book reviews (Biblical Theology, New Testament Abstracts, La Civiltà Cattolica, Recherches de Sciences Religieuses, Nouvelle Revue Théologique, Rassegna di Teologia), and in a daily newspaper (“La Repubblica”). The Lateran University in Rome hosted a public presentation of my book (02/27/2007), held by the former Archbishop of Milan and biblical scholar, Cardinal Carlo Maria Martini, who praised “the comprehensiveness,” “the incisiveness,” and “the theological insightfulness” of my work. Many teachers of Christology in Italian theological faculties use this book as their required textbook: at the Pontifical Theological Faculty of Naples, the Theological Faculty of Apulia, and the Theological Institute of Ancona.
In this book, as in other articles and essays on Christology, published in peer reviewed journals of high academic level (Irish Theological Quarterly, ET-Studies, Transversalités, La Scuola Cattolica, Rassegna di Teologia), I explore new approaches to Christology. I have been developing a post-conciliar and relational paradigm to understand the mystery of God. I am interested in the quest for the historical Jesus, especially on retrieving the Jewishness of Jesus. I like to engage in challenging discussions with scholars, both believers and not, on issues related to the resurrection of Jesus and his divinity. One recent example of such publications is: “Dogmatics under Construction. The Challenges from the Jesus Quest for Dogmatic Theology.” (2015). Detailed reference to this and other publications cited in this narrative can be found in my CV.
In 2007 I published in Italian a book on the Doctrine of the Trinity (A Relational God) which approaches the Mystery of God, by inquiring about the Humanity of God in a relational paradigm. This book has received a wide appreciation and attention in many book reviews (Gregorianum, Archivio Teologico Torinese, Euntes Docete). Many who teach the Doctrine of the Trinity in Italian theological faculties use this book as their required textbook: the Pontifical Theological Faculty of Naples, the Theological Faculty of Apulia and the Theological Institute of Ancona.
As a scholarly reflection on my Ecumenical engagement, I have published many articles (both in Italian and English in peer-reviewed journals (Irish Theological Quarterly, One in Christ, Rassegna di Teologia) on several ecclesiological and ecumenical issues. One of the most controversial issues in today’s ecumenical debate is the question of “subsistit,” of how the Catholic church relates to the other Christian denominations.
I apply Comparative theology to the study of Christology, in dealing with the question of the preexistence of Jesus Christ from a Jewish and a Muslim perspective. I am rethinking the major categories of Christology and the Doctrine of the Trinity, like that of “essence” and “person” in dialogue with Asian religions.
The cultural exchange between West and East has influenced not only my research on Christology and the Doctrine of God, but it also triggered in me a new interest in looking at the connection between spirituality, theology and anthropology. First, I revisited the concept of human freedom and the question of evil. On this topic, I published an article in a peer-reviewed journal (Filosofia e Teologia) and four essays in other academic theological publications. Next, I addressed the concept of human body vis-à-vis the mystery of incarnation and sexuality. I have two publications on this topic, one as an article appeared in a peer-reviewed journal (Filosofia e teologia, 2005), “Caro cardo salutis. L’incarnazione come dono di trascendenza,” and an essay published by the title: “Caro Cara. La grazia del corpo. Per una grammatica cristiana della carne” (2007). In a series of articles and essays, published in Italian and German, I rethink new ways to envision Catholic identity in a multi-faith and globalized world, while facing the threats of both fundamentalism and indifference.
Most of these articles and essays have been revised and expanded versions of papers I gave at several International Congresses, from 2005 to 2017: at Centre Sévres (Paris, France); at the American Academy of Religion (Atlanta and Santa Clara University); at the European Academy of Religion (Bologna, Italy); at German Universities (Erfurt and Berlin); at Boston College, Loyola Marymount University, and Holy Cross College; At the Leuven Encounter in Systematic Theology in Leuven, Belgium; at the Italian Theological Association (Turin, Rome, Padova).
Research Vision
According to two contemporary theologians, Ewart Cousins and Leonard Swidler, a transformation of human consciousness has taken place on a global level. We may speak of “a second axial period.” Like the first axial period, mentioned by the philosopher Karl Jasper in the last century, this second period is happening simultaneously in various parts of the planet and is shaping the transcendental paradigm of human consciousness due to the greater interchange between cultures and religions, chiefly through the media and mass migration. As a consequence of this “Age shift,” religions are tempted either to deny each other (fundamentalism) or to impose one above the other (exclusivism-inclusivism). A new way of thinking about the religious experience is necessary; retrieving their nature (“re-ligio” is a Latin word which means to “connect”), religions are learning to relate to each other through a process of mutual understanding, changing their own way of considering the others’ religions, if necessary, and appreciating the values of the others.
I am realizing that former paradigms of theological thinking are outdated and a shift is needed towards a “relational” and “non-dual” approach to reality. By “relational” I mean an idea of being (ontology), in which the whole reality is comprehended as a bundle of “relations” and not of “substances” (self-closed monads). As quantum physics and the evolutionary concept of “emergence” state, the core of reality is intrinsically “relatedness.” By “non-dual” I mean an understanding of thinking (epistemology) that goes beyond the “subject-object” duality. Such a major shift in ontology and epistemology requires a different understanding of systematic theology.
I have already tackled this paradigm shift in a few of my essays and articles, including a 2005 essay “Relational Ontology and Mystical experience” whose ideas were further developed in a 2015 article, “Outlines for a non-theistic foundation of Christian faith".
In the immediate future, I intend to work on a publication which elaborates a theory of theology, shaped by the logic of the Trinitarian idea of God, as “three-in-one,” i.e. as a non-dual paradigm which avoids blurring differences together into an undifferentiated and nebulous monism. For my future research in Christology, it is my goal to publish an English edition of my Italian book on Jesus, by expanding its horizon towards Trinitarian theology and comparative theology, taking advantage of the in-depth study I did on the preexistence of the Word in Judaism and Islam, and on the idea of incarnation in Mahayana Buddhism (Doctrine of the Trikaya Buddha).
The framework I intend to develop for my future research is what can be called a Post-theistic approach to Christian faith. It is an attempt to move beyond the traditional categories of classical theism. Such paradigm shift does not engage only theology but also spirituality, and finally how traditional Christian churches exercise their pastoral ministry and elaborate their liturgies. This transformative vision of the Christian faith has brought me, in these past fifteen years, to offer Contemplative Retreats where elements from Eastern and Western Spirituality are connected together; at the same time, theological workshops for adults to help them articulate their faith-vision with the new scientific world-view which is not more the Biblical one.
Mostra tutti gli articoli di pgamberinisj