Pisa non è più Pisa

Certamente la riconoscerete questa città! È Pisa.Sì, ma da due prospettive diverse. La foto a destra è scattata “da terra”, mentre quella a sinistra è scattata “dalla torre di Pisa”. La stessa città ma da due prospettive diverse. Certamente, colpisce che dalla prospettiva di sinistra – scattata dalla torre – tutto si vede della città di Pisa, tranne ciò che “identifica” la città di Pisa: la sua Torre. Da questo punto di vista, la torre di Pisa non appare, non si rivela.

Orbene, questo confronto può aiutarci a comprendere quanto ho tentato di scrivere su preghiera di richiesta, teismo e post-teismo, mistica e Meister Eckhart. La prospettiva di destra (diciamo… tradizionale, ecclesiale e biblica) rappresenta la visione di Dio da parte della creatura; dell’infinito da parte del finito. Credere in Dio, e pregarlo nell’orizzonte della “mia” prospettiva, cioè da terra. In questo orizzonte, Dio è ciò che dà senso alla realtà, così come la torre di Pisa “identifica” la realtà della città di Pisa. Vedo Dio, comprendo Dio e Dio fa parte del “mio” mondo. Sì, ci credo perché è lì, ne faccio esperienza. Dio “c’è” !

La prospettiva di sinistra (diciamo… trasgressiva, mistica e carismatica) rappresenta la realtà così come Dio la vede; del finito da parte dell’infinito. Qui la creatura è “salita sulla torre”, immagine questo dell’itinerario di identificazione con Dio. Man mano si è unita ed è diventata “uno” con Dio. Non si tratta di solo sforzo umano (pelagiano!) ma di grazia mischiata all’umano.

Sì con le sue immagini forse semplici ed infantili così si esprime Santa Teresa di Lisieux:

“Sono troppo piccola per salire la dura scala della perfezione. Vorrei trovare un ascensore per innalzarmi fino a Gesù. Allora ho cercato nei libri santi l’indicazione dell’ascensore, oggetto del mio desiderio, e ho letto queste parole pronunciate dalla Sapienza eterna: «Se qualcuno è piccolissimo, venga a me». Allora sono venuta, pensando di avertrovato quello che cercavo, e per sapere, o mio Dio, quello che voi fareste al piccolissimo che rispondesse al vostro appello, ho continuato le mie ricerche, ed ecco ciò che ho trovato: «Come una madre carezza il suo bimbo, così vi consolerò, vi porterò sul mio cuore, e vi terrò sulle mie ginocchia!». Ah, mai parole più tenere, più armoniose hanno allietato l’anima mia, l’ascensore che deve innalzarmi fino al Cielo sono le vostre braccia, Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, al contrario bisogna che resti piccola, che lo divenga sempre più” (Storia di un’anima, n. 271).

Aggiungo, però, che questa salita con l’ascensore conduce in cima alla torre e “dal cielo” ovvero dall’infinito, nella visione di Dio (genitivo soggettivo) vedo tutta la realtà, sì, ma Dio è scomparso, si è nascosto. Dio “non” c’è più. Ma di fatto, non è andato via e nemmeno sta giocando al nascondino (come “banalmente” teologi e dottori spirituali dicono!).

Dio, non è scomparso, ma sono io che sono divenuto/a quello che Dio è. Io sono. Salire verso Dio è infatti scendere nel nulla della creatura, e lì proprio nel “nulla” scoprire nient’altro che Dio. Dio come non-aliud, “niente di altro”. Sono Dio, dice “l’anima” che salendo sulla scala con la grazia dell’ascensore diventa “spirito”. Il segno che questa trasformazione da “anima a “spirito” sta avvenendo è che Dio “non c’è”. Non lo si avverte più, anzi sembra di aver perso la fede in Lui. Il nulla della creatura si manifesta come “notte” dell’anima. E in quella notte… nasce il figlio/la figlia di Dio in Dio. Conoscere, in francese: connaître, cioè nascere-con.

Ci si accorge di non credere più “in Dio”, di non sapere più come pregarLo nell’orizzonte della “mia” prospettiva, cioè da terra. In questo “altro” orizzonte, Dio non è più ciò che dà senso alla realtà, così come dall’alto della torre di Pisa non vede più ciò che “identifica” la realtà della città di Pisa. Pisa non è più Pisa. Non vedo più Dio, non lo comprendo più. Dio non fa più parte del “mio” mondo. Perché? Forse non ci sono più perché o risposte. Divenendo “Dio” (divinizzazione), non credo più “in” Dio ma “vivo” Dio. Sono Dio.

“Il mio ‘io’ è Dio; non conosco altro che il mio Dio” […] “Il mio essere è Dio, non per sola partecipazione, ma per sua vera trasformazione e annichilazione” (p. 51). «Sono così posta e sommersa nella fonte del suo immenso amore, come se fossi nel mare tutta sott’acqua e in nessuna parte potessi toccare, vedere né sentire, se non solo acqua» (p. 77).

Caterina da Genova, “Vita Mirabile”, in Vita Mirabile. Dialogo. Trattato Sul Purgatorio, Città Nuova, Roma 2004.

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