Verbo divino e uomo Gesù

Atto di essere della persona divina del Verbo e individualità dell’uomo Gesù

L’atto di essere della natura umana di Gesù è l’atto di essere della persona divina del Verbo. Gesù “è” in virtù dell’atto di essere della persona divina. L’atto di essere della persona divina è lo stesso dell’uomo Gesù. Tutto ciò che è Gesù – compresa la sua irripetibile “individualità” – sussiste, ha il suo atto di essere, nella persona divina del Verbo.

Se comprendiamo “persona” (sussistenza) come ciò che conferiste l’“atto di essere” alla natura, si può affermare che, essendo l’atto di essere della natura umana di Gesù la persona divina del Verbo, questo atto di essere “individualizza” la natura umana di Gesù, cosicché questa sia Gesù. Gesù è individuo ed unico in virtù della persona divina; infatti, tutto ciò che Gesù è, ce l’ha dall’atto di essere che il Verbo gli conferisce.

Tuttavia, il Verbo non ha assunto “un uomo” ma “la natura umana”. Inoltre, la persona divina  è persona infinita in quanto divina. L’individualità dell’uomo Gesù – questo Gesù – sussiste nella persona divina, tuttavia il Verbo, avendo assunta la natura umana, “individualizza” non solo questo Gesù ma ogni uomo, con Gesù.

Non si può affermare che il Verbo – pur assumendo la natura umana – può individualizzare uno ed uno solo della natura umana. L’infinito della persona divina del Verbo non è “limitato” solo ad un individuo. Se così fosse, vorrebbe dire che solo “un” individuo della natura umana è la persona divina del Verbo, come se solo un individuo umano esprime la persona divina. Si rischia, in tal modo,  di equiparare “persona” e “individuo” in Dio. Mentre il rapporto non è simmetrico tra persona divina e natura umana. L’umano in Gesù è “individualizzato” dall’atto di essere della persona divina; ma la persona divina non è “un” individuo divino. Se così fosse, si cadrebbe nel triteismo, perché vorrebbe dire che la persona divina nella trinità è “individuale”. Tre persone divine – intese come individui – non corrisponde alla dottrina trinitaria della fede cristiana. Il rischio della cristologia neo-calcedonense (maggiore rispetto a quella del puro calcedonismo) è di sovrapporre la persona divina con l’individuo Gesù. Facendo così, si nega sia l’unità di Dio (avremmo tre dèi e non un solo Dio) e si finisce nel monofisitismo, facendo della persona divina del Verbo il soggetto unico (con coscienza, volontà e attività, divine e non anche umane).  

Se la persona divina del Verbo non è da considerarsi “un” individuo ma “sussistenza” o “distinto atto di essere” (modo di sussistenza) della natura divina, tale “distinto” atto di essere “individualizza” non solo Gesù ma ogni essere umano, proprio perché la persona divina del Verbo ha assunto non “un uomo” ma “la natura umana”.

Ne segue che dall’assunzione della natura umana da parte della persona divina del Verbo “non” segue logicamente che una e una sola deve essere l’individualizzazione della natura umana: Gesù di Nazareth. Invece, si deve dire che la persona divina del Verbo è principio di individualizzazione della natura umana, cioè la condizione di possibilità perché la natura umana si individualizzi. Perché questo avvenga “concretamente” è necessario volgere l’attenzione alla dinamica di individualizzazione “nella” natura umana, quindi attenzione alla dinamica evolutiva della stessa creazione. È “dal basso”, cioè dalla materia, che l’incarnazione ha luogo. È la materia che individualizza – secondo l’antropologia tommasiana – la forma dell’umano. Dunque – propriamente – la persona divina del Verbo ha assunto la materia del creato, affinché questa per auto-trascendenza attualizzi sempre più ciò che è donato dall’atto di essere della persona divina del Verbo.

“Nel mentre egli, data la sua perenne pienezza infinita, si estrinseca, sorge l’altro come realtà divina sua propria. Già Agostino affermava che Dio assumit creando ed anche che assumendo creat: nel mentre estrinseca se stesso e perciò, ovviamente, è presente nella stessa estrinsecazione, egli crea. Crea la realtà umana nel mentre la assume come propria. Egli —il Logos— costituisce ciò che è distinto da sé nel mentre lo detiene come suo proprio, e viceversa: dal momento che egli vuole veramente avere l’altro come realtà sua propria, lo costituisce nella sua genuina realtà”. (Karl Rahner, Corso fondamentale sulla fede, 290)

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