XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B

“Ichthus” in greco significa pesce. I primi cristiani usavano il simbolo del pesce per identificarsi. L’acronimo di ichthus è: Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. Chi è il Cristiano? Colui che crede in Gesù Cristo Figlio di Dio il Salvatore.

La gente che dice che io sia? Le risposte sono lì sul tavolo: Giovanni Battista, Elia e profeta: comunque un profeta.

E voi chi dite che io sia ? La risposta è semplice: il Cristo, il Messia.

Pietro dice sì “Messia” (= Cristo) ma come altri come lui, suoi contemporanei, intende il Messia secondo la concezione del giudaismo del Secondo Tempio. Se Messia, allora che siederà sul trono assieme a Dio a giudicare nel regno che verrà.

Il giudaismo del Secondo Tempio (così come l’Antico e la letteratura inter-testamentaria) non riconosceva che il Messia soffrisse, così come non si dà la figura del “Figlio dell’Uomo” con la sofferenza.  La comunità cristiana ha messo insieme i testi del Messia e del Figlio dell’Uomo con quelli del Servo sofferente, ed ha affermato: il Figlio dell’Uomo doveva soffrire, il Messia sofferente, per “comprendere” quanto era successo sulla croce.

Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.

Ma Gesù invita i discepoli ad andare più nel profondo di sé.

La sofferenza a cui allude Gesù, non è solo quella fisica della sua passione. È qualcosa di più profondo, direi paradossale.

Perdere e salvare la vita è un’espressione che solitamente viene riformulata in molti modi: perdere/guadagnare, lasciare/ricevere, controllare/fluire, diminuire/crescere, morire/vivere…

Tutto questo parla del fatto che siamo di fronte a un paradosso di validità universale, più a prescindere dalla specifica tradizione in cui è nato. Lo troviamo infatti in altre tradizioni sapienziali, segno della sapienza che racchiude. Ma non solo. È testimoniato anche dal mondo animale.

Per esempio. Il salmone non nasce nelle acque del mare ma nei torrenti e raggiunge il mare quando ha circa due anni di vita.

Nel mare cresce grazie all’abbondanza di plancton, aringhe e piccoli pesci, ma dopo quattro anni trascorsi nelle acque salate sente l’istinto di tornare a riprodursi nell’acqua dolce dove è nato.

Il salmone raggiunge quindi la foce del fiume, si immette nelle sue acque, le risale con fatica nuotando controcorrente e – pochi sono gli esemplari che ci riescono – giunto alla meta, si riproduce e muore senza più forze a causa del consumo energetico per il viaggio e la riproduzione.

Questo paradosso che troviamo qui rappresentato nel salmone – vive volendo dando la vita – racchiude ciò che – anche all’interno della tradizione evangelica – costituisce il mistero centrale della vita come processo di morte/risurrezione. Nel mondo delle forme tutto è un continuo morire-risorgere: “Se il chicco di grano non muore», diceva il Gesù del quarto Vangelo, “non può portare frutto” (Gv 12,24).

Nel linguaggio buddista, i due poli della realtà sono chiamati “vuoto” e “forma”, secondo il noto detto del Sutra del Cuore: “Il vuoto è forma e la forma è vuoto”. Non sono opposti irriducibili, ma le due facce della stessa medaglia, abbracciate nella non-dualità.

Nel nostro caso umano, possiamo nominare i due poli come “identità” e “personalità” (persona = maschera). La nostra identità si esprime nella nostra personalità. Lì è raccolto il nostro paradosso, con l’invito a vivere entrambe le realtà in modo armonico. Ed è proprio a questa armonia che punta l’espressione evangelica.

Se assolutizzo la personalità (il “mio” sé) al punto da immedesimarmi (ridurmi a) con essa, perdo contatto con la mia identità e perdo la mia vita: mi sto perdendo nella confusione e nella sofferenza.

Solo quando “rinnego” il “mio” sé, “rinnegare” nel senso di “dis-conoscere” che la mia personalità “costruita” non è la mia identità più profonda, cioè quando capisco che la mia vera identità non coincide con quella e non mi riduco ad essa, vivo pienamente, quindi anche contro-corrente come un salmone. In altre parole: chi cerca solo di “salvare” il “proprio” del Sé, ciò che lo fa “unico” e “irripetibile”, perde la vita; Chi “perde” questa sua “proprietà” – perché da esso si è dis-identificato e s-bloccato – la trova la vita. Cioè scopre il “proprio” sé non più nella “proprietà” di sé, nella “presa-di-sé” ma “nel Sé”, cioè “nella Vita”, nell’Infinito”.

Quanto più ci tuffiamo nelle acque dell’infinito Sé (divinità) tanto più ci stacchiamo dal “proprio” del sé e ci dis-identifichiamo da ciò che non siamo realmente ma virtualmente. In questa “dis”-identificazione c’è un morire, un soffrire, un perdere. Sì in questo è presente quella “sofferenza” a cui allude Gesù parlando del “Figlio dell’uomo”.

Non si tratta di demonizzare il “proprio” del sé – quello che chiamiamo anche “io” – e nemmeno eliminarlo. Nel brano evangelico di oggi, Gesù si rivolge a Pietro con l’appellativo “Satana”. Tale “espressione” si riferisce a quanto dicevamo della pulsione ’ Satana a volerci “identificare” e continuare ad identificarci con il nostro “nickname”. Satana ci “aliena” dalla nostra vera natura divina. “Satana” è un’espressione “mitica” ma indica una realtà che è appunto quella della “attaccamento” alle nostre maschere.

Ciò che costituisce la “proprietà” del sé, ciò che ci rende questo e non quello, “io” e non “tu”, è una realtà positiva. Rivela ciò che gli altri dicono di noi, ciò che noi pensiamo di noi stessi. Tutto quello che gli altri dicono “dall’esterno” ed io dico nel mio “interno” va accolto e vissuto, però, a partire dalla vera identità profonda: sé “nel” Sé.

Io sono la mia persona… io non sono la mia persona. Io sono.

Gesù è colui che testimonia questa libertà profonda dalla presa su di sé, consentendogli di trasformarsi nel Cristo, di diventare quel Cristo che anche noi siamo chiamati ad essere. Lasciando l’habitat cui siamo cresciuti e seguendo l’istinto, il desiderio di dare la vita rituffandoci in Dio. Il Cristiano del XXI secolo è un tipo di pesce. È simile al “salmone”. È un pesce, ma diverso. Sì, pesci controcorrente che seguono la corrente interna, del profondo, ritornare all’origine… là dove tutto è nato: in Dio, nella Vita, nello Spirito. Generare, morendo, dando la vita. Questa la vocazione del Cristiano del XXI secolo: realizzare la vocazione di “salmone”.

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