En travesti

La mia non è e non vuole essere una pro-vocazione se non nel senso di “richiamare” (vocare) al pubblico (pro-) un’allusione “cristologica” e quindi “teologica” del fenomeno “en travesti”.

Il termine “maschera” in greco è “prosopon” da quale proviene persona. Si indica la maschera che l’attore indossava (en travesti): persona-personaggio.  

L’attore è persona, perché rappresenta (ri-ad-presenta), rende presente l’idea del personaggio. In termini più attuali per la nostra era tecnologica, potremmo dire che la maschera dell’attore rende “attuale” il virtuale. La prima analogia è quindi “teatrale”. La persona è la maschera del teatro.

Come è stato sottolineato su FirenzeToday (14.01.2022), “Drusilla Foer non è solo un travestimento, ha una vita propria e infatti è difficile distinguere Gori da Foer, non per gli abiti ma perché i due ormai sono diventati, agli occhi del pubblico, una persona sola. E il loro successo è merito proprio del personaggio di Drusilla che convince in ogni sua parte”. Ormai Gianluca Gori è con-fuso con Drusilla Foer, la sua maschera, la sua persona. Non si tratta solamente di un è attore “e” la sua maschera. Qui è ben più. L’attore “è” la sua maschera. Ecco perché l’analogia teatrale della persona con la maschera trova il suo compimento nella maschera (persona) che è l’attore stesso. In termini propriamente teologici (o cristologici) si tratta di unione “personale” (o ipostatica). Come nella persona di Dio (verbo) sussiste la natura umana di Gesù, cosicché l’uomo Gesù è la persona di Dio, così nella maschera di Drusilla sussiste Gianluca.

Ci convince il travestimento di Gori fino in fondo. Gianluca recita alla perfezione il ruolo di Drusilla, “vera donna”. Così come il Verbo di Dio ha recitato alla perfezione il ruolo di “vero uomo” in Gesù. Vero uomo e Vero Dio; Vero uomo e vera donna.

Per chi conosce l’opera teatrale di Mario Vargas Losa ricorda forse il suo pezzo Appuntamento a Londra rappresentato per la prima volta al 52° Festival dei Due Mondi da Pamela Villoresi e David Sebasti, con regia di Maurizio Panici, nel 2009. Anche in quell’opera teatrale si offre un’acuta e profonda riflessione sul tema dell’identità e della vita segreta delle persone. Il pregio dell’opera vivente di Drusilla è di essere pubblica.

Un fenomeno analogo a quello dell’attore tedesco Georg Preuße (nato il 24 agosto 1950 ad Ankum, vero nome Georg Wilhelm Johannes Preuße) meglio conosciuto come artista di parodia con il nome di Mary. Ciò che caratterizzava la comparsa di Mary era che nel momento clou di ogni spettacolo Mary cantava So leb dein Leben (Così vivi la tua vita!), una interpretazione del classico di Frank Sinatra My Way nella versione di Mary Roos. Davanti al pubblico (e non nel camerino privato) l’attore Preuße si toglieva il trucco, i vestiti e la parrucca mentre cantava e da Mary ritornava ad essere semplicemente e nudamente Georg. Da maschera a realtà.

Chissà se a Sanremo 2022 Drusilla Foer che sarà una delle cinque co-conduttrici di Amadeus si stravestirà oppure rimanendo fino alla fine “en travesti” confermerà ciò che la nostra era tecnologica ormai testimonia: reale è virtuale, realtà è maschera… Dio è persona.

Il dogma cristologico, infatti, afferma che finito lo spettacolo di Gesù vero uomo, persona di Dio, sul palcoscenico terreno, il Verbo non si è tolto la maschera umana ma per l’eternità ha mantenuto la umanità di noi tutti.

Il cristiano agnostico

Uomini di Dio (2010)

Il Dio agnostos e l’umano che ci salva.

Ognuno di noi nel più profondo tende all’Infinito ma questo Infinito è avvolto in una Nube di «non-conoscenza». Accogliere il Dio Agnostos è il fondamento dell’agnosticismo che ci definisce come uomini che siamo a noi stessi e per noi stessi una domanda.

«Ero diventato un grosso problema a me stesso; mi chiedevo perché fossi così triste e così angosciato, e non sapevo darmi una risposta». Mihi magna quaestio factus sum(Agostino, Confessioni, Libro IV, 4).  

La luce accecante in cui è avvolto il Dio Agnostos è il Dio da cui ci sentiamo abbandonati ma allo stesso tempo a cui ci abbandoniamo, diventando noi stessi incomprensibili a noi stessi. E non siamo mai sicuri di averla accettata questa nube tenebrosa, perché anche quando i discorsi pii e meno pii del credente ci vogliono assicurare, in fondo fuggiamo sempre disperatamente verso un riparo che ci possa riaffermare con sicurezza confortante.

Speriamo di accettare questa tenebra e così di credere fermamente.

Speriamo di esserci realmente affidati all’incomprensibilità che chiamiamo Dio.

Ma possiamo udire nel centro più intimo della nostra esistenza la voce di questo amore di Dio, che non solo rende possibile il nostro amore per lui ma lo fa sgorgare anche realmente? Sì, lo osiamo, perché altrimenti l’uomo sarebbe absurdus: Voce senza senso.

Allo stesso tempo, in qualità di uomini corporei e storici, cerchiamo l’esperienza di qualcuno, di cui possiamo fidarci più che di noi stessi. Cerchiamo un uomo che ci permetta di convincerci realmente che vale la pena affidarsi al Dio agnostos. Qualcuno che ha accettato nella realtà della sua vita e non solo con parole vuote il Dio incomprensibile ed è stato da questi accolto.

Il cristiano conosce un evento storico in cui tale affidamento si è realizzato: Gesù di Nazareth. L’uomo Gesù è caduto realmente in maniera incondizionata nell’incomprensibilità di Dio (“Dio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”);  è  stato  accolto  da  tale  incomprensibilità (“Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito”) ed è diventato così l’eternamente valido e salvato: colui che la fede dei suoi discepoli, la fede di duemila anni di cristianesimo e la speranza che si pone in lui testimoniano come risorto. È questa una speranza che rinnegherebbe se stessa se lasciasse ingoiare questo Gesù da un Incomprensibile assurdo.

Poiché questo Gesù visse contemporaneamente in una solidarietà incondizionata con noi, egli è la promessa insuperabile e vittoriosa fattaci da Dio, la promessa che il Dio incomprensibile non è sordo (ab-surdus) ma ascolta. Gesù crocifisso e risorto è la Parola insuperabile fattaci dal Dio incomprensibile, perché egli è l’eternamente accolto da Dio nel suo mistero.

Nell’abbandono incondizionato di sé all’incomprensibilità di Dio sta l’agnosticismo radicale e propriamente il solo vero, perché ogni altra concezione dell’agnosticismo è un’ingenuità. Naturalmente ognuno deve chiedersi se si affida realmente a questo mistero che ascolta.

Sopportiamo l’incertezza dell’incomprensibilità di un Dio che ci viene incontro ascoltandoci ?

Il cristiano che teme, dubita ed è incerto della propria salvezza, è allo stesso tempo gettato in un abbandono incondizionato. Può soltanto dire che Dio è più grande del suo cuore e proprio perché più grande è e resta Dio incomprensibile.

Per questo l’agnosticismo è la forma teologica di credere.

(Rielaborazione di un testo di Karl Rahner: Motivazione della fede in un mondo agnostico, in Id., Scienza e fede cristiana. Nuovi saggi IX, Edizioni Paoline, Roma 1984, pp. 184-191, qui p. 187-191).