Pregare…tra Tu e il sé

XXX Domenica – Anno C

Il “fariseo” simboleggia l’ego che vive di confronto, giudizio ed esclusione.

Il confronto permette di affermarsi, separandosi dagli altri.

Il giudizio è uno stato mentale, poiché pensare equivale a giudicare, cioè apporre “etichette” su tutto e tutti.

L’esclusione degli altri implica l’affermazione della propria “superiorità” morale o personale sugli altri.

L’immagine del “pubblicano”, invece, rimanda alla consapevolezza della propria vulnerabilità, con il suo carico di debolezza, errore, menzogna e persino male: ciò che, genericamente, è stato inteso come “peccato”.

Il primo vive di un’ossessione fobica di sé e, da questo punto di vista, condanna tutto e tutti coloro che non può né accettare né poter vedere. “Il fariseo stando in piedi, disse tra sé questa preghiera”.

Si erge senza l’altro/a… fuori di lui e dentro lui. In questo senso vive nella menzogna, perché incapace di riconoscere e accettare la propria ombra, la propria diversità. E, non vedendolo, è costretto a proiettarlo sull’altro, senza accorgersi che, con ogni probabilità, ciò che condanna nell’altro/a è ciò che, nel suo inconscio – cioè nella sua parte d’ombra – vorrebbe vivere e fare!

Così, mentre è orgoglioso di non essere “come tutti gli altri: ladri, ingiusti, adulteri”, è come se dicesse: “Io non sono come gli altri…, ma mi piacerebbe esserlo”. Risultato? È un uomo non riconciliato con se stesso, non “giustificato”, nel senso che la parabola dà alla parola “giusto”.

Il primo “si rifugia” nell’immagine idealizzata di sé; il pubblicano, invece, semplicemente riconosce la sua verità e si accetta così com’è. “Sono un peccatore, abbi misericordia o Dio”.

Non fa paragoni, non giudica e non esclude altri.

Accetta semplicemente la sua unica verità, senza inventarla.

È semplicemente consapevole della sua condizione.

Questa è vera “umiltà”. Sguardo sereno sulla realtà, innanzitutto propria e poi degli altri. Ed è “giustificato” poiché è unificato e pacificato.

“Essere giustificati” non indica tanto una qualità ma uno stato, una condizione di essere.

Il Signore è un Dio di giustizia, che non conosce favori. Non favorisce i buoni e disdegna i cattivi.

Il latino ius, iustitia lex … legein, sono tutte parole che rimandano a: unire, connettere.

L’idea di base è che la GIUSTIZIA è l’atto di unire, la capacità di connettere: lex – légein. La parola sanscrita è Yoga la cui radice yuj significa “collegare, unire”. Il latino ius deriva dal sanscrito yuj; la funzione essenziale della giustizia è ristabilire il legame dell’individuo con gli altri, con la società, con l’ambiente circostante e infine con se stesso.

Dicendo che il pubblicano tornò a casa giustificato, Gesù sta rivelando il segreto dell’essere stesso di Dio. Dio è “giusto” perché giustifica, condivide il suo “stato” di essere-con (di “inter-esse”) con chi è “altro”, quell’“altro” che è l’empio, il peccatore.

Dio è giusto, Dio è santo, perché nessuno è così diverso da Lui, così escluso da Lui, da non poter essere “con-Lui.” Nessuno è così “altro” da essere per sempre “non-altro” in Dio. Non c’è altro che Dio.

È interessante notare che la parabola di Gesù ci dice che sia il fariseo che il pubblicano si trovano nell’area del tempio. All’interno dell’area sacra, il fariseo è al centro, il pubblicano è ai margini, ai margine dello spazio sacro.

Il Tempio rappresenta l’essere di Dio: chi è al centro, nel cuore di Dio? Colui il cui cuore abita in Dio. Colui che è consapevole di sé cioè nello spazio eterno dell’”Essere-con” di Dio.

La parabola non dice che Dio ha parlato all’uno e non all’altro.

Sia il fariseo che il pubblicano danno del “Tu” a Dio:

  • “O Dio, ti ringrazio perché non sono…” (Fariseo)
  • “O Dio, abbi pietà di me peccatore” (Pubblicano)

Ciò che fa la differenza tra i due non è tanto a motivo del “dare del Tu a Dio” (preghiera “teista”?) ma la differente consapevolezza che l’uno e l’altro hanno di “sé” (preghiera “non-duale”).

Il fariseo è-separato-da-altri/o (e il Dio che il fariseo invoca è Colui che è sacro/santo, separato-dal-mondo, così anche lui si comprende “separato” dagli altri ma anche da quel totalmente Altro che è Dio). Il pubblicano, invece, è consapevole di sé, poiché si comprende nell’orizzonte della pietà, misericordia: non separato dagli altri e da Dio, ma nell’amore di Dio, nella sua misericordia. Si sente a casa di Dio.

Chi si rende conto che Dio ha accolto le sue preghiere?

Colui che ha trovato la pace con se stesso, perché non ha nulla da nascondere, nemmeno la sua ombra. “Stando” nella luce, diventa. luce.

Come riconoscere se vivo nascosto nell’ombra o svelato nella luce?

Da questi sintomi lo possiamo riconoscere nella vita quotidiana:

  • nel confronto con gli altri,
  • nella compulsiva smania di giudicare tutto e tutti,
  • nell’escludere altri.

Ogni volta che sentiamo una certa rigidità nei confronti di certe persone, atteggiamenti, comportamenti.

Ovviamente non tutto ciò con cui non sono d’accordo sta lì a rivelare la mia ombra, il mio lato oscuro. Ma ciò che mi rende nervoso a motivo di ciò che altri dicono o sono, tutto questo è qualcosa che non riesco ancora ad accettare in me e voglio negare di me.

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