Ai margini della mangiatoia?

Per la tradizione cristiana, il Natale ci ricorda la nascita di Gesù, che nel Credo è confessato come “l’unigenito Figlio di Dio”.

Ma la continua celebrazione del Natale – anno dopo anno – ci ricorda anche che la comprensione di ciò che professiamo nel Credo non è ancora completa.

Il poeta Pablo Neruda una volta scrisse: “Nascere non basta. Per rinascere ogni giorno, nasciamo”. Nascere per Gesù non basta. Nascere di nuovo ogni giorno e per ogni singola creatura, ecco cosa si intende quando proclamiamo: “Un bambino è nato per noi”. Se il Figlio di Dio non nascerà in noi, nella nostra anima – e non solo nella carne a Betlemme o a Nazareth – invano e nulla il Figlio di Dio sarebbe deposto nella mangiatoia.

Ma dopo secoli che abbiamo ripetuto il Credo, siamo ancora lontani dalla mangiatoia dove è stato deposto Gesù. Siamo ancora al margine della mangiatoia. Essere “uno con il Padre” o come dice il Credo “consustanziale” non è qualcosa da considerare un’eccezione o un’esclusività, ma come un dono che Dio condivide con tutti noi. Non solo un bambino, un figlio è nato per noi o per noi, ma essenzialmente “in noi”.

Riconoscere che Gesù è “l’unico figlio di Dio”, consustanziale al Padre, non fa di questo Gesù un’eccezione, un estraneo all’ordine creato in cui viviamo, lasciandoci così fuori dal mistero, al margine della mangiatoia.

Il Natale ci ricorda che anche noi siamo figli di Dio “generati” dall’eternità come si dice di Gesù di Nazaret. Siamo tutti figli di Dio. Non meno Dio di Gesù.

Non siamo al margine della divinità di Dio. Siamo adagiati nella divina mangiatoia di Dio. Paolo ricorda alla chiesa in Galazia che lo stesso Spirito di Gesù è inviato nei nostri cuori per gridare “Abbà, Padre!”. E Paolo di conseguenza dice: “Quindi non sei più schiavo ma figlio, e se figlio allora anche erede, per mezzo di Dio”. (Gal 4,5).

Tutti i cosiddetti “misteri” cristiani proclamano questa verità essenziale. Il Natale è la celebrazione di ciò che siamo: noi siamo il non nato, l’unigenito figlio di Dio, vero Dio da vero Dio. Come afferma chiaramente il prologo di Giovanni: “Ci è stato dato il potere di diventare figli di Dio, noi che non siamo nati da sangue o desiderio umano o volontà umana, ma da Dio”. (Gv 1:13)

Purtroppo, una comprensione ristretta della dottrina trinitaria ha “bloccato” questa stupefacente Buona Notizia e ci ha deposto dal seno del Padre, al margine della mangiatoia.

Siamo arrivati a credere che la figliolanza divina di Gesù (secondo la natura di Dio) sia qualcosa di “esclusivo” per lui, come se questa consustanzialità divina, essere uno con Dio, essere nella forma di Dio, essere uguale a Dio, fosse qualcosa di riservato solo a Dio stesso, una cosa da afferrare e non da condividere. Ma l’essenza stessa di Dio è la “grazia”. L’essere stesso di Dio è “essere-con-noi”. Non solo le briciole che cadono dalla mangiatoia ci sono state date, come se fossimo inseriti nel presepe ma messi da parte come figli adottivi di Dio.

Siamo figli di Dio, figli e figlie di Dio “generati” da Dio. Nell’antica Roma, va ricordato che il bambino “adottato” non è meno ma più che essere il bambino “naturale” o “biologico”. Secondo l’interpretazione romana dell’adozione, il vero erede della famiglia non era il figlio “naturale” o nato “di sangue”, ma quello che il paterfamilias, ad esempio, l’imperatore sceglieva come suo erede. “Essere figlio” significa dunque “essere erede” – come dice Paolo nella lettera ai Galati – “se figlio allora anche erede, per Dio”, e non per sangue.

Siamo “figli/figli di Dio”, poiché condividiamo la stessa natura divina di Gesù. La tradizionale distinzione tra figlio di Dio “naturale” – Gesù – e figli di Dio “adottivi”, essendo per “grazia”, manca il vero punto e il nucleo della Buona Novella del Vangelo.

Dio è “grazia”. Se Dio per natura è grazia, ne consegue che essere figli di Dio per “uno” con Dio. Nascere non di sangue ma per mezzo di Dio.

Nel suo discorso alla Curia romana, il 22 dicembre, papa Francesco ha messo in guardia dal “cristallizzare il messaggio di Gesù in un’unica forma perennemente valida. Invece, la sua forma deve essere capace di cambiare continuamente, così che la sua sostanza possa rimanere sempre la stessa. La vera eresia consiste non solo nell’annunciare un altro vangelo (cfr Gal 1,9), come ci ha detto san Paolo, ma anche nel cessare di tradurne il messaggio nei linguaggi e nei modi di pensare di oggi, come ha fatto proprio l’Apostolo delle genti . Conservare significa mantenere vivo e non imprigionare il messaggio di Cristo”.

Questa è la Buona Novella del Natale. Non siamo al “margine” della “mangiatoia”. Il nostro cuore è la mangiatoia dove è deposto il figlio di Dio perché nasca continuamente in noi. Il modo migliore per approfondire questa verità, nella vita, nell’intelligenza e nella Chiesa, è imitare Maria che «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore». Nella sua carne, Maria concepì Gesù dopo nove mesi. Nel suo cuore, Maria ha partorito per tutta la sua vita il Figlio di Dio.

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