Dio è una “persona”?

Mi sento a mio agio nel parlare di Dio come divinità, un campo di soggettività che sta alla base di tutta la natura perché è ovunque, è immanente in ogni cosa. In questo senso divinità onnisciente per definizione. Tutto è espressione di questo campo di soggettività. Tale campo di soggettività può essere definito come “consapevolezza” o “coscienza” ma non come consapevolezza metacognitiva o coscienza metacognitiva.

Con tale termine “meta-” applicato alla conoscenza o alla volizione si intende la dimensione determinata della conoscenza e della volizione. Conosco questo e conosco quello; voglio questo e/o quello. La determinazione dell’intelligenza e della volontà – appunto la dimensione “metacognitiva” dell’intelligere e del volle – è una limitazione la cui condizione è data dall'”astrarre” (ab-straho: trarre fuori-da) dalla connessione originaria di tutte le cose in Dio. Dio non ha bisogno di decidere questo o quello, così come non conosce questo o quello in senso discorsivo e sequenziale. La conoscenza e la volizione di Dio non sono “astraenti” ma radicalmente concrete poiché Dio conosce e vuole in un solo istante tutte le cose nelle loro determinate e singolari connessioni. Questa determinazioni delle cose – genitivo essenzialmente “soggettivo” cioè delle cose stesse in quanto finite e non “oggettivo” cioè posta dall’atto di determinazione di Dio – fa sì che le cose siano eterne nella loro determinazione, senza con questo eliminare la loro temporalità. Per esempio: che Giovanni sia nato nel 1942 e morto nel 2022, è una determinazione di tempo ma in quanto determinazione di Giovanni (genitivo soggettivo) è eterna.

In tal senso Dio non è un soggetto intelligente e volente ma è assoluta, immanente intelligenza e volizione in tutte le cose. Tommaso d’Aquino distingue tra l’essere (“esse” in latino) e l’essere (“ens” in latino), quindi Dio è “Ipsum esse subsistens”, Dio è “esse”, “intelligere”. Dunque, Dio non è soggetto eterno intenzionale e volitivo che pensi questo o quello, voglia e scelga questo o quello. Allo stesso modo, definiamo Dio come “coscienza” e “volontà” e non come un essere volitivo e intenzionale.

La divinità è il campo della soggettività, alla base della nostra natura “personale” e di tutto il resto. Possiamo chiamare “divinità” la mente in generale, la consapevolezza cosmica, ma senza identificare questa mente in generale come capace di conoscenza e deliberazione. La questione se Dio sia una persona dipende da come pensiamo alla natura di Dio. Se Dio è “infinito” (esse, intelligere, volle) allora non possiamo attribuire a Dio lo status cognitivo, intenzionale e volitivo con cui solitamente si identifica una persona.

Dobbiamo smetterla di pensare alla divinità cristiana antropomorfa del Nuovo Testamento, il summun bonum, il bene assoluto, come Qualcuno la cui mente pensa questo e quello; decide cosa è buono e cosa è cattivo e risponde deliberatamente alle situazioni. Questa è una sorta di divinità reattiva, un Dio istintivo che si relaziona al mondo a volte misericordiosamente e altre volte con ira. Definendo Dio come “trans-personale” andiamo oltre una tale comprensione di Dio come reattivamente correlata alla creazione e all’umanità. La divinità di Dio è il fondamento di tutto, anche della capacità intenzionale e volitiva umana. Quando diciamo che Dio pensa questo e quello, vuole questo o quello, in realtà “finitiamo” l’infinito. Il Dio finito può essere chiamato “deus” mentre la divinità o mente in generale “divinitas”. La divinitas “diventa” deus ogni volta che l’umanità si rapporta alla divinità. Il Dio della rivelazione biblica, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, e infine di Gesù, è divinitas nel suo aspetto di rapportarsi all’umanità. Quando la coscienza divina e il fondamento creativo di ogni cosa diventa il “nostro” Dio, allora la divinitas si rivela come deus.

La “divinità” biblica è il “nostro” Dio. Questa dimensione della divinità è quella che identifichiamo come Dio “personale” che ha creato il mondo ad un certo momento, ha deciso di aprire il Mar Rosso, ha deciso di mandare suo Figlio sulla terra come risposta al peccato dell’umanità, e ha risuscitato Gesù dai morti. È il Dio che risponde alle preghiere dei fedeli quando ciò piace al Suo piano o non risponde alle nostre preghiere quando quelle richieste non Gli piacciono. Posso relazionarmi con questo “deus” o “Dio finito” nella consapevolezza che è il “mio” Dio, ma allo stesso tempo sapendo che i confini personali di Dio (“mio” o “nostro” Dio) dicono della relazione di Dio con noi così come noi la comprendiamo con i nostri limiti di tempo, spazio e crescita.

Questi due aspetti di Dio (divinitas e deus) corrispondono alla distinzione tra essere (esse) ed essere (ens). Differiscono formalmente ma non ontologicamente. L’unica realtà di Dio (monismo) è l’identità-in-relazione (relativa). L’espressione simbolica di questo monismo relativo è “x = x + y” dove “x” sta per “Dio” e “y” per creazione/umanità. Dio è Dio (x = x) nella Sua relazione-con-il-mondo, come fondamento cosciente di tutti gli esseri.

2 pensieri riguardo “Dio è una “persona”?

  1. Definizioni ancora troppo antiche. I nostri amici indigeni raràmuri della Sierra Tarahumara sanno che Dio è padre e madre Onoruame ed Eyeruame. Se ci stacchiamo dalla ns mentalità greca occidentale navighiamo nel mondo degli indigeni sentendoci affondare perché vengono a mancare fondamenta impossibili alla ns mente “chiusa”.

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