Salvezza e miti affini

La dottrina cristiana della salvezza e la dottrina del peccato originale si richiamano a vicenda. Per questo si parla di “salvezza dal peccato”.

Questa connessione spiega la difficoltà che la teologia trova nel considerare come mito ciò che è relativo al cosiddetto “peccato originale” o “caduta dei progenitori”. Se questo viene messo in discussione, si vanifica anche la dottrina della salvezza. Vale a dire, l’intera costruzione teologica attorno alla salvezza mediante la croce e la stessa figura di Gesù come “Salvatore”.

Ma come si può sostenere oggi, in modo letterale, la realtà del peccato originale così come narrato nel racconto biblico? Anche la teologia riconosce che Adamo (= “fatto di terra”) ed Eva (= “vitalità, madre dei viventi”) non sono state figure storiche, ma rappresentano semplicemente l’umanità.  

Sia il “peccato originale” che la “salvezza” sono miti, cioè racconti che hanno una verità ma che va compresa simbolicamente. Qual è il suo significato?

Il peccato originale afferma che l’umanità vive nell’ignoranza della sua vera identità. L’ignoranza che nasce con la nostra specie – in particolare, con l’emergere della mente che separa – e che riduce la nostra identità al “proprio io”, chiudendoci in una consapevolezza di separazione e, di conseguenza, solitudine, ansia, paura e colpa.

Se il peccato originale afferma l’ignoranza, la salvezza afferma invece la comprensione di ciò che siamo: la nostra vera identità è già salvata, lo è sempre stata. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è rendercene conto, capirlo.

Non si tratta di auto-salvezza. Non si tratta di garantire e salvare la sopravvivenza dell’io (ego) come propongono le religioni. L’ego non è l’originario, ma è il risultato della identificazione dell’incognita che noi siamo con le cose (percezioni, emozioni e pensieri). Infatti, noi ci riconosciamo nelle cose che sentiamo, percepiamo e pensiamo, e in base a tutto questo ci costruiamo come “io”. Ma la salvezza non avviene nel puntellare questa costruzione. La salvezza consiste nel distaccarci da tutto questo, riconoscendo che la verità dell’incognita che noi siamo sta nell’abbandonarci al Sé. Questo “Sé” costituisce la nostra vera identità. “Allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto” (1Cor 13,12).

È la comprensione di questo, non un “sacrificio espiatorio”, che ci salva. Gesù ci salva? Sì, nel senso che illumina il nostro cammino di comprensione, come tanti altri saggi della storia umana che ci mostrano come vivere correttamente o con saggezza. Gesù è come l’interruttore. Non è l’interruttore che genera e causa la Luce. Gesù ha reso solo presente la Luce (cioè Dio, deus/dies), vivendo in estrema fedeltà e perfetto abbandono l’identificazione con il Fondo di se stesso (“Abba”, Padre), amando fino alla fine gli altri.

Contento è Dio

“Lazzaro è morto e io sono contento” (Gv 11,15). In queste parole di Gesù riportate dal Vangelo di Giovanni è racchiusa tutta la teologia: cristologia, teodicea, escatologia e dottrina trinitaria. Sì, propria tutta. Perché?

L’amico di Lazzaro è morto, e Gesù è contento. È racchiuso qui tutto ciò che si è detto a proposito dell’onniscienza e onnipotenza di Dio. Come può un Dio permettere il male? Qui abbiamo il volto “umano” di Dio, il “buon Gesù” (come si dice devotamente), che dice: è bene che sia morto, sono contento che sia così. È Gesù che dice questo. Il Dio “evangelico”: quello buono, non quello cattivo. Ciò ci costringe a dire che anche Gesù è dalla parte di chi afferma che “tutto” concorre al bene, anche il male. Sia quello fisico che quello morale. Sia quello “naturale” (sofferenza, ignoranza e morte) che quello “voluto” dall’uomo (il peccato!). Tutto concorre al bene. E la bontà, assieme alla conoscenza, è beatitudine. Sat-cit-ananda. Realtà-Consapevolezza-Beatitudine.

Gesù è contento della morte di Lazzaro poiché questa morte, questa perdita, manifesta la gloria di Dio. “Gesù disse: ‘Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio’” (Gv 11,4).  Anche il male è nella gloria di Dio. Perché? Il male manifesta la gloria ( = pienezza e splendore dell’Infinito) poiché Deus semper maior. Dio è sempre il maggiore. Dio è infinito, eccedenza, s-misurato. C’è più Dio (e quindi Bene) quando Dio non solo contiene il bene ma anche ogni bene, cioè anche il bene “redento”, cioè quel bene che il male nega e Dio redime, salva, e trasforma. C’è “più” bene nel male vinto che semplicemente nel bene. Per questo il “buon” Gesù è contento. La gloria di Dio non conosce limiti, è smisurata!

Se trasferiamo questo discorso sul piano ontologico e teologico, possiamo e dobbiamo dire che c’è molto più Dio nell’infinito che contiene il finito (cioè, infinito concreto reale) che nell’infinito “astratto”, separato (ab-straho) dal finito. La gloria di Dio, che è l’Infinito, non è “astratta”, pura idea vuota, ma è “concreta”, “attualizzata”, “reale”. Il Dio infinito è “contento”, poiché “contiene” ogni finito non come “separato” ma “in se stesso”. È interessante che la parola “contento” deriva etimologicamente dal verbo latino “continere” che significa “tenere in sé”, contenersi, essere soddisfatti di ciò che si ha. Dio “tiene in sé” la totalità dei finiti, che è la manifestazione della gloria di Dio.

Ma allora anche il male manifesta Dio? “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato” (Gv 11,4-5). Il Male non è per il male, ma per la gloria del Bene. Tutto ciò che “è” e “accade”, manifesta Dio e lo manifesta non tanto nel “non” bene  – che, in quanto “non”, non-è –  ma nella “potenza” (dynamis) e “possibilità” di bene, che, anche nel “non-bene”, è presente. “Gesù disse a Marta: ‘Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?’” (Gv 11,40). La fede  – infatti –  è vedere tutto ciò che “è” e “accade” con gli stessi occhi di Dio, e Dio vede le cose/eventi come potenza-di-bene. “Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” (Rom 8,28).

Vedere la realtà tutta – nella sua determinatezza e finitezza – come “gloria” di Dio significa che la realtà (la totalità degli enti creati) è riflesso di Dio, del “figlio di Dio” che viene glorificato.  Noi siamo – e tutto il creato è – una cosa sola nell’unico “Figlio di Dio” che è l’espressione, l’immagine di Dio. “Chi vede me (= Gesù), vede il Padre” (Gv 12,45). Ma chi vede ogni uomo, vede Gesù (Mt 25, 31-46).  

Trasfigurazione della libertà

“Chi ha esperienza lo capirà, e vedrà che sono riuscita a dire qualcosa; Chi non ce l’ha, non mi stupirei se sembrasse una totale assurdità”

Teresa di Gesù, Il Libro della Vita 26,6.

Le cose non sono come sembrano, la scienza moderna – fisica quantistica e neuroscienze – ce lo ricorda ad ogni istante. E questo vale anche per noi: non siamo ciò che sembriamo.

Sembriamo essere -la nostra mente lo vede così- un sé particolare che ha coscienza, autonomia, libero arbitrio… E tendiamo ad essere così identificati con quel modo di vedere noi stessi che, in generale, è estremamente difficile aprirsi fino ad un altro modo.

È uno stato di ipnosi. La persona ipnotizzata non può vedere oltre ciò che lo stato stesso consente. Identifica il suo mondo ipnotico con la verità e descriverebbe le parole di qualcuno che gli parlasse di un’altra realtà, al di là di quella che percepisce entro i suoi stretti limiti, come “sciocchezze” – per usare l’espressione di Teresa de Jesús – o allucinazione.

L’allegoria della caverna di Platone viene ripetuta più e più volte. Come quei personaggi, chiusi nel buio di una mente chiusa in se stessa, non ci rendiamo conto di vedere solo “ombre” ed etichettiamo come “follia” ogni altra realtà che trascenda i limiti mentali.

Le “ombre” sono tutti oggetti che possiamo percepire. E l’oggetto è anche il sé, poiché possiamo osservarlo. La domanda che può interrogare la nostra ipnosi è questa: Cos’è Quello che è consapevole degli oggetti e del sé? Perché solo Quello sarà l’unico soggetto, l’unica cosa veramente reale, l’unica cosa che non sia solo un’ombra passeggera.

Ciò che è cosciente -la prima realtà- è consapevolezza (vita, totalità…). E posso scoprirlo da solo grazie silenziando la mente.

E quello che vengo a scoprire è che, propriamente parlando e senza negare il livello di “personalità”, non sono una persona che ha consapevolezza, ma consapevolezza “rivestita” con una “maschera” cioè una “persona”.

Oltre la persona (ego) c’è la consapevolezza che è la Mente di Dio o Cosmica che si esprime nella finitezza delle sue manifestazioni. Quando comprendo questa manifestazione o apparenza della consapevolezza dal punto di vista della finitezza, cioè la mia mente, questa manifestazione diventa la mia persona o impersonificazione della Consapevolezza Assoluta. La nostra persona è la rappresentazione mentale della Pura Consapevolezza che si esprime nei suoi molteplici modi. In noi ri-suona (per-sona) la voce o suono di Dio o Assoluto. Noi siamo questo “ri-” cioè “ri-ad-presentatio” della realtà Originaria

Ma allora la nostra libertà è un’illusione? È un’illusione il mondo che ti si presenta nel sogno? Fintanto che sei nel sogno è vero; nel momento che ti svegli riconosci che quel mondo è un’illusione. Il libero arbitrio, la libertà di scelta, è libertà imperfetta! Poiché crediamo di poter scegliere il bene e il male, ma se il male è mancanza di bene, la capacità di scegliere il bene e il male diventa capacità di scegliere il bene e il meno-bene o non-bene. Ma il “non” bene – se scelto – è scelto per il bene e non per il nulla (il “non” – del bene).

Il libero arbitrio è una illusione. Se scegliamo, scegliamo comunque sempre e solo il bene! C’è solo la libertà determinata al bene – non “in-“determinata – … ma questa libertà determinata “al” bene è resa possibile “dal” bene, ovvero, è libertà determinata dal bene. Il bene “mi” determina a sceglier”lo”. La fede cristiana parla di “grazia” cioè che la GRAZIA (= BENE) determina la mia libertà.

Dunque, è una illusione considerare la libertà come libertà di scelta tra il bene e il male. Se così fosse, di Dio non si potrebbe dire che è “libero”. Essendo perfetto non sceglie l’imperfetto bene ma solo ed esclusivamente il Bene. Poiché Dio è il Bene, Dio sceglie solo ed esclusivamente se stesso. Ma la perfezione di Dio si dà in infiniti modi perché il Bene è per sua natura DIFFUSIVO e COMUNICAZIONE di SÈ.

Dio sceglie se stesso (= BENE) e tutti i modi con cui si manifesta. Le manifestazioni del BENE sono dette “imperfette” quando la mente paragona Dio con le sue molteplici manifestazioni, confronta il Bene “perfetto o compiuto” con le manifestazioni infinite del Bene. Ma ogni singola manifestazione del Bene è detta “impropriamente” imperfetta. E ciò accade quando “ASTRAIAMO” ovvero “SEPARIAMO” questa o quella manifestazione dal BENE che è DIO, confrontando questa manifestazione con quell’altra oppure con il BENE stesso. Ma dal punto di vista del BENE cioè di Dio (sub specie dei) ogni singola manifestazione di Bene è “perfetta” e “unica” nel senso che è “relazione-al-Bene”, raggio dello Splendore del Bene.

Ciascuno di noi, ogni creatura, è una TEOFANIA eterna, perfetta, gloriosa e splendente. Il lavoro spirituale consiste semplicemente (!) nell’adeguare la mente con la visione, passando così dall’illusione alla verità.

Libertà di scelta e Spontaneità


È libero Dio di fare qualunque cosa? No. Perché? Perché Dio non può scegliere tra bene e male, tra vero e falso, tra giusto e ingiusto. La libertà non è poter “scegliere”. Poter scegliere è non essere ancora sicuri, è ignoranza. Se una mamma prende per mano il bambino per traversare una strada piena di traffico, gli sta togliendo “la libertà” o gliela sta dando? A prima vista può sembrare che gliela toglie, ma è evidente che gliela sta trasmettendo, la sta condividendo con lui; il piccolo sarebbe schiavo della sua incapacità e dalla sua ignoranza dei pericoli.

Occorre distinguere il comune concetto di libertà e il suo vero concetto, cioè: che cosa è la libertà secondo Dio. Di solito si considera che libertà sia poter fare qualunque cosa vogliamo: in questo concetto appare protagonista il proprio volere umano. E questo è già l’errore. Invece il vero concetto di libertà si trova in Dio. Ma per averne un’idea chiara occorre domandare: È libero Dio di fare ciò che vuole? Può fare ciò che vuole? Sì, non vi è dubbio!

Pertanto, il contrario di “libertà” non è propriamente “servitù” o “schiavitù” in senso materiale, ma è “ignoranza” di che cosa sia quella vera, buona o giusta. Una volta che so, che sono in possesso della verità rispetto ad una cosa, non scelgo, ma vado dritto, senza alcun dubbio decido. Così fa Dio. «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi» (Gv 8,31-32). Ma quei Giudei equivocarono il concetto di libertà –come tanti di noi adesso– in senso materiale, dicendo: «Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno –in che non era vero–. Come puoi Tu dire: diventerete liberi?» (v. 33) In questo modo si considera che libertà sia “fare ognuno ciò che vuole”. Ma Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero» (vv. 34-36).

Perciò, anche per noi, libertà non è poter “fare qualunque cosa”. Libertà è aderire alla Volontà di Dio che coincide con il suo Essere. L’essere “di Dio” è SUO e di tutte le cose. La libertà “radicale” è vivere secondo natura, secondo la natura divina. Schiavitù è svincolarsi da essa per fare la “propria” volontà: il peccato. Chi è “in Dio” non pensa più, non agisce più, non fa più la “propria” volontà ma è UNO-CON ( = UNICUM) Dio. Dice il Signore: «Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a Lui» (Deuteronomio 30,19-20). Non ha detto “puoi scegliere qualunque cosa”. Libertà coincide con Verità, e la Verità è l’essere-uno-in/con-Dio.

Poiché la dualità è ciò che specifica la condizione della finitezza … la libertà della finitezza è la libertà di scelta o libero arbitrio. Scelgo questo o quello. Ma la libertà “divina” dell’infinito non è libertà di scelta ma libertà-da-costrizioni . Pura libertà per il bene. Spontaneità. Dio non ha la libertà di scelta del bene o del male, di scegliere questi o quello! Dio non sceglie il bene! In questo mi trovo all’opposto rispetto a Pareyson & Company. Dio non ha o non aveva la possibilità di creare o non creare il mondo. Dio è spontaneità originaria per il bene e tale spontaneità è creatività.

Dio non può non creare il mondo non perché costretto ma perché irradia se stesso o esprime se stesso in modi finiti, appunto le creature. La nostra libertà è partecipazione di questa spontaneità divina ma nella condizione o stato della finitezza si dà la libertà originaria come libertà di scelta (o questo o quello). Quando la nostra finitezza si dà nella condizione dell’infinità divina ovvero trasformati nell’infinito di cui siamo partecipazione allora non avremo più la libertà di scelta ma questa sarà trasformata anch’essa nella pura ed originaria libertà della spontaneità divina. Dopo la morte – questa è la mia risposta alla tua domanda – NON manteniamo la nostra libertà che sperimentiamo qui, cioè il libero arbitrio, ma  emergerà definitivamente la libertà divina che già sperimentavamo in maniera offuscata o nascosta già qui.