Contento è Dio

“Lazzaro è morto e io sono contento” (Gv 11,15). In queste parole di Gesù riportate dal Vangelo di Giovanni è racchiusa tutta la teologia: cristologia, teodicea, escatologia e dottrina trinitaria. Sì, propria tutta. Perché?

L’amico di Lazzaro è morto, e Gesù è contento. È racchiuso qui tutto ciò che si è detto a proposito dell’onniscienza e onnipotenza di Dio. Come può un Dio permettere il male? Qui abbiamo il volto “umano” di Dio, il “buon Gesù” (come si dice devotamente), che dice: è bene che sia morto, sono contento che sia così. È Gesù che dice questo. Il Dio “evangelico”: quello buono, non quello cattivo. Ciò ci costringe a dire che anche Gesù è dalla parte di chi afferma che “tutto” concorre al bene, anche il male. Sia quello fisico che quello morale. Sia quello “naturale” (sofferenza, ignoranza e morte) che quello “voluto” dall’uomo (il peccato!). Tutto concorre al bene. E la bontà, assieme alla conoscenza, è beatitudine. Sat-cit-ananda. Realtà-Consapevolezza-Beatitudine.

Gesù è contento della morte di Lazzaro poiché questa morte, questa perdita, manifesta la gloria di Dio. “Gesù disse: ‘Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio’” (Gv 11,4).  Anche il male è nella gloria di Dio. Perché? Il male manifesta la gloria ( = pienezza e splendore dell’Infinito) poiché Deus semper maior. Dio è sempre il maggiore. Dio è infinito, eccedenza, s-misurato. C’è più Dio (e quindi Bene) quando Dio non solo contiene il bene ma anche ogni bene, cioè anche il bene “redento”, cioè quel bene che il male nega e Dio redime, salva, e trasforma. C’è “più” bene nel male vinto che semplicemente nel bene. Per questo il “buon” Gesù è contento. La gloria di Dio non conosce limiti, è smisurata!

Se trasferiamo questo discorso sul piano ontologico e teologico, possiamo e dobbiamo dire che c’è molto più Dio nell’infinito che contiene il finito (cioè, infinito concreto e reale) che nell’infinito “astratto”, separato (ab-straho) dal finito. La gloria di Dio, che è l’Infinito, non è “astratta” pura idea vuota, ma è “concreta”, “attualizzata”, “reale”. Il Dio infinito è “contento”, poiché “contiene” ogni finito non come “separato” ma “in se stesso”. È interessante che la parola “contento” deriva etimologicamente dal verbo latino “continere” che significa “tenere in sé”, contenersi, essere soddisfatti di ciò che si ha. Dio “tiene in sé” la totalità dei finiti che è la manifestazione della gloria di Dio.

Ma allora anche il male manifesta Dio? “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato” (Gv 11:4-5). Il Male non è per il male, ma per la gloria del Bene. Tutto ciò che “è” e “accade”, manifesta Dio e lo manifesta non tanto nel “non” bene – che in quanto “non” non-è – ma nella “potenza” (dynamis) e “possibilità” di bene che anche nel “non-bene” è presente. “Gesù disse a Marta: ‘Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?’” (Gv 11:40). La fede – infatti – è vedere tutto ciò che “è” e “accade” con gli stessi occhi di Dio, e Dio vede le cose/eventi come potenza-di-bene. “Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” (Rom 8,28).

Vedere la realtà tutta – nella sua determinatezza e finitezza – come “gloria” di Dio significa che la realtà (la totalità degli enti creati) è riflesso di Dio del “figlio di Dio” che viene glorificato.  Noi siamo – e tutto il creato è – una cosa sola nell’unico “Figlio di Dio” che è l’espressione, l’immagine di Dio. “Chi vede me (= Gesù), vede il Padre” (Gv 12:45). Ma chi vede ogni uomo, vede Gesù (Mt 25, 31-46).  

Trasfigurazione della libertà

“Chi ha esperienza lo capirà, e vedrà che sono riuscita a dire qualcosa; Chi non ce l’ha, non mi stupirei se sembrasse una totale assurdità”

Teresa di Gesù, Il Libro della Vita 26,6.

Le cose non sono come sembrano, la scienza moderna – fisica quantistica e neuroscienze – ce lo ricorda ad ogni istante. E questo vale anche per noi: non siamo ciò che sembriamo.

Sembriamo essere -la nostra mente lo vede così- un sé particolare che ha coscienza, autonomia, libero arbitrio… E tendiamo ad essere così identificati con quel modo di vedere noi stessi che, in generale, è estremamente difficile aprirsi fino ad un altro modo.

È uno stato di ipnosi. La persona ipnotizzata non può vedere oltre ciò che lo stato stesso consente. Identifica il suo mondo ipnotico con la verità e descriverebbe le parole di qualcuno che gli parlasse di un’altra realtà, al di là di quella che percepisce entro i suoi stretti limiti, come “sciocchezze” – per usare l’espressione di Teresa de Jesús – o allucinazione.

L’allegoria della caverna di Platone viene ripetuta più e più volte. Come quei personaggi, chiusi nel buio di una mente chiusa in se stessa, non ci rendiamo conto di vedere solo “ombre” ed etichettiamo come “follia” ogni altra realtà che trascenda i limiti mentali.

Le “ombre” sono tutti oggetti che possiamo percepire. E l’oggetto è anche il sé, poiché possiamo osservarlo. La domanda che può interrogare la nostra ipnosi è questa: Cos’è Quello che è consapevole degli oggetti e del sé? Perché solo Quello sarà l’unico soggetto, l’unica cosa veramente reale, l’unica cosa che non sia solo un’ombra passeggera.

Ciò che è cosciente -la prima realtà- è consapevolezza (vita, totalità…). E posso scoprirlo da solo grazie silenziando la mente.

E quello che vengo a scoprire è che, propriamente parlando e senza negare il livello di “personalità”, non sono una persona che ha consapevolezza, ma consapevolezza “rivestita” con una “maschera” cioè una “persona”.

Oltre la persona (ego) c’è la consapevolezza che è la Mente di Dio o Cosmica che si esprime nella finitezza delle sue manifestazioni. Quando comprendo questa manifestazione o apparenza della consapevolezza dal punto di vista della finitezza, cioè la mia mente, questa manifestazione diventa la mia persona o impersonificazione della Consapevolezza Assoluta. La nostra persona è la rappresentazione mentale della Pura Consapevolezza che si esprime nei suoi molteplici modi. In noi ri-suona (per-sona) la voce o suono di Dio o Assoluto. Noi siamo questo “ri-” cioè “ri-ad-presentatio” della realtà Originaria

Ma allora la nostra libertà è un’illusione? È un’illusione il mondo che ti si presenta nel sogno? Fintanto che sei nel sogno è vero; nel momento che ti svegli riconosci che quel mondo è un’illusione. Il libero arbitrio, la libertà di scelta, è libertà imperfetta! Poiché crediamo di poter scegliere il bene e il male, ma se il male è mancanza di bene, la capacità di scegliere il bene e il male diventa capacità di scegliere il bene e il meno-bene o non-bene. Ma il “non” bene – se scelto – è scelto per il bene e non per il nulla (il “non” – del bene).

Il libero arbitrio è una illusione. Se scegliamo, scegliamo comunque sempre e solo il bene! C’è solo la libertà determinata al bene – non “in-“determinata – … ma questa libertà determinata “al” bene è resa possibile “dal” bene, ovvero, è libertà determinata dal bene. Il bene “mi” determina a sceglier”lo”. La fede cristiana parla di “grazia” cioè che la GRAZIA (= BENE) determina la mia libertà.

Dunque, è una illusione considerare la libertà come libertà di scelta tra il bene e il male. Se così fosse, di Dio non si potrebbe dire che è “libero”. Essendo perfetto non sceglie l’imperfetto bene ma solo ed esclusivamente il Bene. Poiché Dio è il Bene, Dio sceglie solo ed esclusivamente se stesso. Ma la perfezione di Dio si dà in infiniti modi perché il Bene è per sua natura DIFFUSIVO e COMUNICAZIONE di SÈ.

Dio sceglie se stesso (= BENE) e tutti i modi con cui si manifesta. Le manifestazioni del BENE sono dette “imperfette” quando la mente paragona Dio con le sue molteplici manifestazioni, confronta il Bene “perfetto o compiuto” con le manifestazioni infinite del Bene. Ma ogni singola manifestazione del Bene è detta “impropriamente” imperfetta. E ciò accade quando “ASTRAIAMO” ovvero “SEPARIAMO” questa o quella manifestazione dal BENE che è DIO, confrontando questa manifestazione con quell’altra oppure con il BENE stesso. Ma dal punto di vista del BENE cioè di Dio (sub specie dei) ogni singola manifestazione di Bene è “perfetta” e “unica” nel senso che è “relazione-al-Bene”, raggio dello Splendore del Bene.

Ciascuno di noi, ogni creatura, è una TEOFANIA eterna, perfetta, gloriosa e splendente. Il lavoro spirituale consiste semplicemente (!) nell’adeguare la mente con la visione, passando così dall’illusione alla verità.

Libertà di scelta e Spontaneità


È libero Dio di fare qualunque cosa? No. Perché? Perché Dio non può scegliere tra bene e male, tra vero e falso, tra giusto e ingiusto. La libertà non è poter “scegliere”. Poter scegliere è non essere ancora sicuri, è ignoranza. Se una mamma prende per mano il bambino per traversare una strada piena di traffico, gli sta togliendo “la libertà” o gliela sta dando? A prima vista può sembrare che gliela toglie, ma è evidente che gliela sta trasmettendo, la sta condividendo con lui; il piccolo sarebbe schiavo della sua incapacità e dalla sua ignoranza dei pericoli.

Occorre distinguere il comune concetto di libertà e il suo vero concetto, cioè: che cosa è la libertà secondo Dio. Di solito si considera che libertà sia poter fare qualunque cosa vogliamo: in questo concetto appare protagonista il proprio volere umano. E questo è già l’errore. Invece il vero concetto di libertà si trova in Dio. Ma per averne un’idea chiara occorre domandare: È libero Dio di fare ciò che vuole? Può fare ciò che vuole? Sì, non vi è dubbio!

Pertanto, il contrario di “libertà” non è propriamente “servitù” o “schiavitù” in senso materiale, ma è “ignoranza” di che cosa sia quella vera, buona o giusta. Una volta che so, che sono in possesso della verità rispetto ad una cosa, non scelgo, ma vado dritto, senza alcun dubbio decido. Così fa Dio. «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi» (Gv 8,31-32). Ma quei Giudei equivocarono il concetto di libertà –come tanti di noi adesso– in senso materiale, dicendo: «Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno –in che non era vero–. Come puoi Tu dire: diventerete liberi?» (v. 33) In questo modo si considera che libertà sia “fare ognuno ciò che vuole”. Ma Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero» (vv. 34-36).

Perciò, anche per noi, libertà non è poter “fare qualunque cosa”. Libertà è aderire alla Volontà di Dio che coincide con il suo Essere. L’essere “di Dio” è SUO e di tutte le cose. La libertà “radicale” è vivere secondo natura, secondo la natura divina. Schiavitù è svincolarsi da essa per fare la “propria” volontà: il peccato. Chi è “in Dio” non pensa più, non agisce più, non fa più la “propria” volontà ma è UNO-CON ( = UNICUM) Dio. Dice il Signore: «Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a Lui» (Deuteronomio 30,19-20). Non ha detto “puoi scegliere qualunque cosa”. Libertà coincide con Verità, e la Verità è l’essere-uno-in/con-Dio.

Poiché la dualità è ciò che specifica la condizione della finitezza … la libertà della finitezza è la libertà di scelta o libero arbitrio. Scelgo questo o quello. Ma la libertà “divina” dell’infinito non è libertà di scelta ma libertà-da-costrizioni . Pura libertà per il bene. Spontaneità. Dio non ha la libertà di scelta del bene o del male, di scegliere questi o quello! Dio non sceglie il bene! In questo mi trovo all’opposto rispetto a Pareyson & Company. Dio non ha o non aveva la possibilità di creare o non creare il mondo. Dio è spontaneità originaria per il bene e tale spontaneità è creatività.

Dio non può non creare il mondo non perché costretto ma perché irradia se stesso o esprime se stesso in modi finiti, appunto le creature. La nostra libertà è partecipazione di questa spontaneità divina ma nella condizione o stato della finitezza si dà la libertà originaria come libertà di scelta (o questo o quello). Quando la nostra finitezza si dà nella condizione dell’infinità divina ovvero trasformati nell’infinito di cui siamo partecipazione allora non avremo più la libertà di scelta ma questa sarà trasformata anch’essa nella pura ed originaria libertà della spontaneità divina. Dopo la morte – questa è la mia risposta alla tua domanda – NON manteniamo la nostra libertà che sperimentiamo qui, cioè il libero arbitrio, ma  emergerà definitivamente la libertà divina che già sperimentavamo in maniera offuscata o nascosta già qui.

Il Sosia di Dio

Carnevale e Quaresima… cosa hanno in comune? La maschera…. Ovvero giocare la parte di qualcun altro. Fare il sosia di, la controfigura di.

Infatti, mettendoci una maschera impersonifichiamo qualcun altro. Facciamo finta di essere quell’altro.

Se questo vale per il Carnevale, la Quaresima non è altro che un lasciar andare la maschera, togliersi il volto del “falso sé”. Il racconto delle tentazioni ci parlano di un Sosia, di una controfigura: il Diavolo (dia-bolos), il Sosia di Dio. Infatti, qual è il ruolo del serpente in Genesi 3, qual è la strategia di Satana? Privare l’uomo di essere come Dio! È troppo invidioso di questo.

Satana oppone Dio all’uomo, laddove invece Dio è con l’uomo, è l’uomo come Dio. Essere-come-Dio è la realtà divina; essere-separati-da-Dio è la realtà anti-divina.

Il Sosia di Dio ci vuol far credere che tra Dio e l’uomo ci sia un abisso di trascendenza, c’è una separazione, una radicale lontananza.

Questo Sosia è l’Anti-Cristo, cioè il Satana, l’Ombra di Dio! La Maschera di Dio. L’alter-ego di Dio. Religiosamente… mascherata.

Il Cristo, invece, è il “volto” di Dio, la vera immagine di Colui-che-è-con-noi e noi-come-Dio! Eritis sicut dei! Sì, siamo “Dio”! Non è diabolico dirlo e crederlo! Anzi, è l’opposto – non esserlo – satanico e diabolico…

I racconti evangelici delle tentazioni ci narrano proprio questo. Il Diavolo tenta Gesù nell’originaria fiducia che c’è tra Dio e uomo, facendogli credere che deve “provare” e mettere a verifica tale fiducia e dimostrare la realtà di fatto che l’uomo è Figlio-di-Dio.

L’uomo Gesù non crede che Dio e uomo siano in opposizione e in contrasto, e che deve “guadagnarsi” il titolo di Figlio o di Cristo! Lo è già e lo è in modo beato, semplice, direi innocente.

Anche noi… non lasciamoci ingannare da chi ci dice: sei peccatore! Sei dannato! Dio è lassù e tu quaggiù. Non crederti Dio! Il Dio in cui crediamo di essere e un Dio-con-noi e come-noi. Una cosa sola, né uno “da solo”, né due separati. Ma non-due… ovvero. Unici… “uni-cum”.

Amore radicale

6ª domenica – anno A

Matteo scrive il suo Vangelo a una comunità proveniente dal giudaismo. L’evangelista si vede costretto a bilanciarsi tra la continuità con l’ebraismo e la rottura che comporta il messaggio di Gesù. Le due parole chiave sono: non abolire ma adempiere.

Gesù rispetta tutta la legge ebraica, la Torah, ma, nello stesso tempo, la trascende radicalmente. “Io vi dico, se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”.

Adempiere la Legge significa superare la Legge, sovrabbondare, andare continuamente oltre la lettera della Legge, quindi trasgredire la Legge, per raggiungere il nucleo della Legge, la radice, il centro e l’essenza della Legge.

L’interpretazione radicale che Gesù dà ai comandamenti di Dio non lo rende un fondamentalista religioso, un letteralista della Torah e ancor più un moralista ossessivo!

A volte, la nostra mente associa la “radicalità” al rigore, al volontarismo, al perfezionismo, alla mortificazione… È probabile che lo stesso Matteo sia caduto in questa stessa trappola quando parla di “strapparsi un occhio” o “tagliarsi una mano”. Il Gesù di Matteo era una specie di talebano del I secolo d.C.?

La parola “radicalità” fa riferimento a “radice”. Con ciò, l’enfasi si sposta da “cosa faccio”, quale azione radicale devo fare, a “da dove”, “da cosa” agisco. Perché è proprio il tipo di origine o principio, a partire dal quale agisco come persona religiosa, che definisce la mia radicalità religiosa. È una radicalità che allude a una radice, a una profondità di Vita: una sorgente di Fiducia.

L’apostolo Paolo definisce così questo grembo sottostante e avvolgente dal quale entriamo in contatto con la vita e nasciamo: “Parliamo della sapienza di Dio, misteriosa, nascosta, predeterminata prima di tutti i secoli per la nostra gloria”.

Questa stessa Divina Sapienza è il fondamento della Legge, il seno dal quale siamo generati come figli e figlie di Dio. “Benedetto sei tu, Padre, Signore del cielo e della terra; hai rivelato ai piccoli i misteri del regno».

La radicalità non consiste, quindi, nel cambiare il “contenuto” della norma – il cosa – e aggiungere un sovrappiù di tanti altri comandamenti. Radicalità significa vivere e dimorare in quel “luogo”, in quel “grembo”, in quel “seno”, – il dove – in cui si trova la nostra vera identità.

Matteo ha un altro nome per questo luogo dove siamo nati. Matteo lo chiama il “segreto” in cui il Dio invisibile “vede”. È un luogo dove gli occhi di Dio sono spalancati, come ci dice la prima lettura del libro del Siracide: “Grande è la sapienza del Signore; è potente e tutto vede. Gli occhi di Dio sono su quelli che lo temono; comprende ogni azione dell’uomo.

Nel capitolo 6, Matteo parla di preghiera-digiuno-elemosina. “Ma quando preghi/digiuni/fai l’elemosina, entra nella tua stanza, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è invisibile. Allora il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. (Mt 6:6) Siamo visti dal Dio invisibile, e quella vista divina ci genera come figli di Dio.

“Gesù rispose: ‘Non è scritto nella vostra Legge: ‘Ho detto che siete dei’?” La Legge – dice Gesù – chiama dèi coloro “ai quali è stata rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere infranta”. (Gv 10:34-35)

Questa è la “radicalità” di cui parla Gesù. È questa la “radicalità” di cui parla l’apostolo Paolo, additando lo Spirito che “scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio”. In questa profondità di radicalità, nasciamo come figli e figlie di Dio.

Quando l’occhio vede “ciò che occhio non ha visto” e l’orecchio ode, “ciò che orecchio non ha udito” e il cuore sperimenta ciò che non è entrato mai nel cuore dell’uomo, ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano e che Dio ci ha rivelato attraverso lo Spirito, allora si dà compimento della Legge.

Gesù è stato la primizia di questo compimento, realizzando così ciò che il profeta Geremia (31,33) promette:
“Questa è l’alleanza che stipulerò con il popolo d’Israele. Metterò la mia legge nella loro mente e la scriverò nei loro cuori. Io sarò il loro Dio e loro saranno il mio popolo”.

Perciò, dice il Vangelo di Giovanni riguardo a Gesù: “Tu, che sei uomo, ti fai Dio” (Gv 10,33). E Gesù risponde: “Perché mi accusi di bestemmia quando ho detto: ‘Sono Figlio di Dio’?”. (Gv 10:36).

La radicalità che Gesù sta indicando è l’eco di quell’eccesso di amore e gioia di cui fa esperienza e che scaturiscono da quella fonte che Gesù chiama “Abba – Padre”.

È l’esperienza dello Spirito che ci spinge continuamente oltre la lettera della Legge, per raggiungere il nucleo della Legge, la radicalità di quell’Amore in cui siamo generati continuamente.

“Questo è il suo comandamento, che ci amiamo gli uni gli altri”. (1Gv 3:23). “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri; perché l’amore è da Dio, e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio». (1Giovanni 4:7)

Radical & Divine

6th Sunday – Year A

Matthew writes his Gospel to a community of Jewish origin. The evangelist is forced to balance between the continuity with Judaism and the break that Jesus’ message entails. The two keywords are: not abolish but fulfill.

Jesus complies with all Jewish law, with the Torah, but, at the same time, radically transcends it. “I tell you, unless your righteousness surpasses that of the scribes and Pharisees, you will not enter the kingdom of heaven.”

Fulfilling the Law means to exceed the Law, superabound, continuously moving beyond the letter of the Law, therefore transgressing the Law, in order to reach out the core of the Law, the root, the center, and the essence of the Law.

Jesus’ radical interpretation of God’s commandments does not make him a religious fundamentalist, a literalist of the Torah and even more an obsessive moralist!

Sometimes, our mind associates “radicality” with demand, voluntarism, perfectionism, mortification… It is probable that Matthew himself fell into this same trap when he talks about “tearing out an eye” or “cutting off a hand.” Was Matthew’s Jesus a kind of Taliban of 1st century AD?   

Radicality refers to the word “root.” With that, the emphasis shifts from “what I do”, what radical action I need to do, to “from where,” “out of what” I do act. Because it is precisely the kind of source, out of which I act out as a religious person, that defines my religious radicality. It is a radicality that hints to a root, a depth of Life: a wellspring of Trust.

The apostle Paul so defines this underlying and encompassing womb out of which we contact life and are born: “We speak of God’s wisdom, mysterious, hidden, predetermined before all ages for our glory.”

This very Divine Wisdom is the foundation of the Law, the bosom out of which we are begotten as sons and daughters of God. “Blessed are you, Father, Lord of heaven and earth; you have revealed to little ones the mysteries of the kingdom.”

Radicality does not consist, therefore, in changing the “content” of the norm—the what— and adding a surplus of many other commandments.” Radicality means to live and abide in that “place,” in that “womb,” in that “bosom,” —the where—in which our true identity is.

Matthew has another name for this place where we are born. Matthew calls it the “secret” where the unseen God “sees.” It is a place where God’s eyes are open wide as the first reading from the book of Sirach is telling us: “Immense is the wisdom of the Lord; he is mighty in power, and all-seeing. The eyes of God are on those who fear him; he understands man’s every deed.”

In his chapter 6, Matthew speaks about prayer-fasting-almsgiving. “But when you pray/fast/give alms, go into your room, close the door and pray to your Father, who is unseen. Then your Father, who sees what is done in secret, will reward you.” (Mt 6:6) We are seen by the unseen God, and that Divine sight generates us as children of God.

“Jesus replied, ‘Is it not written in your Law: ‘I have said you are gods’?” The Law – says Jesus – calls gods those “to whom the word of God came – and the Scripture cannot be broken.” (Joh 10:34-35)

This is the “radicality” Jesus is talking about. This is the “radicality” the apostle Paul is talking about, by pointing to the Spirit who “scrutinizes everything, even the depths of God.”  In this depth of radicality, we are born as sons and daughters of God.

When eye sees “what eye has not seen” and ear hears, “what ear has not heard” and heart experiences that what has not entered the human heart, what God has prepared for those who love him, this God has revealed to us through the Spirit,” then the Law has been fulfilled.

Jesus has been the first fruit of this fulfillment, thus fulfilling what the prophet Jeremiah (31:33) had promised:

“This is the covenant I will make with the people of Israel. I will put my law in their minds and write it on their hearts. I will be their God, and they will be my people.”

Therefore, says the Gospel of John about Jesus: “You, who are a man, declare Yourself to be God” (Joh 10:33). And Jesus answers: “Why do you accuse me of blasphemy because I said, ‘I am God’s Son’?” (Joh 10:36).

The radicality Jesus is pointing to resonates from the excess of love and joy of his experience with the source and he calls it “Abba – Father.”

It’s the experience of the Spirit that continuously moves us beyond the letter of the Law, in order to reach out the core of the Law, the radicality of that Love in which we are born.

“This is His commandment, that we love one another.” (1Joh 3:23). “Beloved, let’s love one another; for love is from God, and everyone who loves has been born of God and knows God.” (1John 4:7)

amor quo caelum regitur

Love
Gives herself to all things the most cohesive bond
Most excellent in the depths,
And above the stars

(Hildegard of Bingen, Antiphon for Divine Love)

 “The devout Christian of the future will either be a ‘mystic’—someone who has ‘experienced something’—or will cease to be anything at all.”

Karl Rahner, “Christian Living Formerly and Today,” Theological Investigations, Vol. 7 (New York: Herder and Herder, 1971), 15.

This is a quotation by Raimon Panikkar which Karl Rahner has made his own to indicate the mystical turn Christianity needs to make in the post-religious age. In his assertion Rahner does not say “has experienced Someone” but rather “has experienced Something,” thus referring to a verb “be-ing,” the infinite ground of being and creative consciousness.

We hear resonance of that “something” when we are told that all the saints will “know the love of Christ which surpasses knowledge […]  and thus, be filled with all the fullness of God” (Eph 3:19). It is a superabundance, an overflow of divine life and spirit which in Jesus bodily dwells (Col 2:9) but exceeds his individuality/locality and permeates the whole Body of Christ (the church) and the whole universe, so that all beings are saturated with “the mind of Christ,” νοῦν Χριστοῦ (1Cor 2:16).

This is what the famous Italian poet, Dante Alighieri (Divine Comedy, Canto 33, lines 142-145) points to in the final paradisiac contemplation of the Divine reality as that

“Love which moves the sun and the other stars.”

The loving bond Dante speaks of in these lines that connects everything created (légein logos) was mentioned by Boethius in his Consolation of Philosophy (Book II, Met VIII) where the philosopher describes the universe as continuously changing but at the same time

“[…] firmly bound by Love, which rules both earth and sea, and has its empire in the heavens too. If Love should slacken this its hold, all mutual love would change to war; and these would strive to undo the scheme which now their glorious movements carry out with trust and with accord. By Love are peoples too kept bound together by a treaty which they may not break. Love binds with pure affection the sacred tie of wedlock and speaks its bidding to all trusty friends. O happy race of mortals, if your hearts are ruled as is the universe, by Love.”

Christian faith is called either to remain faithful to its vocation of being continuously reformed or to move in another direction, going backwards rather than going forward, as Pope Francis mentioned in his address to the Roman Curia. Both science and religion have been experiencing the overcome of their “classical” paradigms whose essential feature was the pattern of “duality”: God and world, reality, and observer, subject and object. The present “Post-Religious” and “Post-Physicalist” perspective is leading us into a different Weltanschauung, that is a different view of life, the world and God. Everything is intrinsically connected, and consciousness is the irreducible background within which physicality, the representation of the cosmic connections, emerges.

The Christian and Jewish mystical tradition offer resources to identify the creative and conscious ground of everything as that infinite No-thingness (Ein Sof for the Zohar, intelligere for Meister Eckhart, Nada for John of the Cross) out of and in which things are without stand-alone existence.


Il cielo tra i rami

In questa fotografia in bianco e nero appaiono i rami di colore scuro, la rete dei rami intrecciati tra di loro appare nel latente sfondo bianco del cielo. Il cielo di sottofondo appare a chiazze, più o meno grandi, dischiudendosi tra e in mezzo ai rami e alla rete dei rami intrecciati tra loro.

È immagine questa della Pura Consapevolezza, la Mente Cosmica o Divina che è di sfondo e di sottofondo all’intreccio e alla connessione di tutte le cose. La mia, la tua individuale soggettività è “delineata” ed emerge “più o meno” grande tra e in mezzo all’intreccio delle connessioni. Queste connessioni, infatti, delimitano uno spazio ben preciso e singolare della Pura Consapevolezza (come lo era del cielo bianco nella fotografia) da cui emerge uno chiazza bianca ovvero di Pura Consapevolezza che chiamo “mia” e “tua”. È il mio spirito, è la “mia” soggettività. Sono io!

Ma come risulta evidente, non è quel ritaglio bianco tra i rami e il reticolato di rami “un ritaglio” del cielo, accanto ad altri spazi bianchi che emergono qui e là. Come non c’è un cielo bianco composto di tanti ritagli bianchi, o un cielo bianco con attorno tanti altri ritagli bianchi di cielo, così non c’è una consapevolezza divina (“un” Soggetto che chiamiamo “Dio”), intelligente e volente, accanto a tanti soggetti individuali, ciascuno volente e intelligente.

C’è una sola e unica soggettività cosmica, Pura consapevolezza o Mente divina, che emerge nel reticolato delle relazioni, in e tra i rami delle connessioni. Quella che chiamo “mia” soggettività, individuale e singolare (il “mio” Io Sono) non è altro che un ritaglio “apparente” del cielo dell’Infinito che è lo Spirito di Dio.

L’Io “appare” in e tra le relazioni ma ciò che veramente è, è Pura Consapevolezza. La salvezza è riconoscer-si come Sé nell’apparire di tutte le cose. La non-salvezza è ignoranza, cioè identificare sé e risolver-si, considerare cioè assoluti i “miei” pensieri, le “mie” emozioni, le “mie” sensazioni e le “mie” percezioni. La non-salvezza, ovvero, è ignoranza dell’unico cielo che ci pervade, ci comprende e ci salva.

Dio è una “persona”?

Mi sento a mio agio nel parlare di Dio come divinità, un campo di soggettività che sta alla base di tutta la natura perché è ovunque, è immanente in ogni cosa. In questo senso divinità onnisciente per definizione. Tutto è espressione di questo campo di soggettività. Tale campo di soggettività può essere definito come “consapevolezza” o “coscienza” ma non come consapevolezza metacognitiva o coscienza metacognitiva.

Con tale termine “meta-” applicato alla conoscenza o alla volizione si intende la dimensione determinata della conoscenza e della volizione. Conosco questo e conosco quello; voglio questo e/o quello. La determinazione dell’intelligenza e della volontà – appunto la dimensione “metacognitiva” dell’intelligere e del volle – è una limitazione la cui condizione è data dall'”astrarre” (ab-straho: trarre fuori-da) dalla connessione originaria di tutte le cose in Dio. Dio non ha bisogno di decidere questo o quello, così come non conosce questo o quello in senso discorsivo e sequenziale. La conoscenza e la volizione di Dio non sono “astraenti” ma radicalmente concrete poiché Dio conosce e vuole in un solo istante tutte le cose nelle loro determinate e singolari connessioni. Questa determinazioni delle cose – genitivo essenzialmente “soggettivo” cioè delle cose stesse in quanto finite e non “oggettivo” cioè posta dall’atto di determinazione di Dio – fa sì che le cose siano eterne nella loro determinazione, senza con questo eliminare la loro temporalità. Per esempio: che Giovanni sia nato nel 1942 e morto nel 2022, è una determinazione di tempo ma in quanto determinazione di Giovanni (genitivo soggettivo) è eterna.

In tal senso Dio non è un soggetto intelligente e volente ma è assoluta, immanente intelligenza e volizione in tutte le cose. Tommaso d’Aquino distingue tra l’essere (“esse” in latino) e l’essere (“ens” in latino), quindi Dio è “Ipsum esse subsistens”, Dio è “esse”, “intelligere”. Dunque, Dio non è soggetto eterno intenzionale e volitivo che pensi questo o quello, voglia e scelga questo o quello. Allo stesso modo, definiamo Dio come “coscienza” e “volontà” e non come un essere volitivo e intenzionale.

La divinità è il campo della soggettività, alla base della nostra natura “personale” e di tutto il resto. Possiamo chiamare “divinità” la mente in generale, la consapevolezza cosmica, ma senza identificare questa mente in generale come capace di conoscenza e deliberazione. La questione se Dio sia una persona dipende da come pensiamo alla natura di Dio. Se Dio è “infinito” (esse, intelligere, volle) allora non possiamo attribuire a Dio lo status cognitivo, intenzionale e volitivo con cui solitamente si identifica una persona.

Dobbiamo smetterla di pensare alla divinità cristiana antropomorfa del Nuovo Testamento, il summun bonum, il bene assoluto, come Qualcuno la cui mente pensa questo e quello; decide cosa è buono e cosa è cattivo e risponde deliberatamente alle situazioni. Questa è una sorta di divinità reattiva, un Dio istintivo che si relaziona al mondo a volte misericordiosamente e altre volte con ira. Definendo Dio come “trans-personale” andiamo oltre una tale comprensione di Dio come reattivamente correlata alla creazione e all’umanità. La divinità di Dio è il fondamento di tutto, anche della capacità intenzionale e volitiva umana. Quando diciamo che Dio pensa questo e quello, vuole questo o quello, in realtà “finitiamo” l’infinito. Il Dio finito può essere chiamato “deus” mentre la divinità o mente in generale “divinitas”. La divinitas “diventa” deus ogni volta che l’umanità si rapporta alla divinità. Il Dio della rivelazione biblica, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, e infine di Gesù, è divinitas nel suo aspetto di rapportarsi all’umanità. Quando la coscienza divina e il fondamento creativo di ogni cosa diventa il “nostro” Dio, allora la divinitas si rivela come deus.

La “divinità” biblica è il “nostro” Dio. Questa dimensione della divinità è quella che identifichiamo come Dio “personale” che ha creato il mondo ad un certo momento, ha deciso di aprire il Mar Rosso, ha deciso di mandare suo Figlio sulla terra come risposta al peccato dell’umanità, e ha risuscitato Gesù dai morti. È il Dio che risponde alle preghiere dei fedeli quando ciò piace al Suo piano o non risponde alle nostre preghiere quando quelle richieste non Gli piacciono. Posso relazionarmi con questo “deus” o “Dio finito” nella consapevolezza che è il “mio” Dio, ma allo stesso tempo sapendo che i confini personali di Dio (“mio” o “nostro” Dio) dicono della relazione di Dio con noi così come noi la comprendiamo con i nostri limiti di tempo, spazio e crescita.

Questi due aspetti di Dio (divinitas e deus) corrispondono alla distinzione tra essere (esse) ed essere (ens). Differiscono formalmente ma non ontologicamente. L’unica realtà di Dio (monismo) è l’identità-in-relazione (relativa). L’espressione simbolica di questo monismo relativo è “x = x + y” dove “x” sta per “Dio” e “y” per creazione/umanità. Dio è Dio (x = x) nella Sua relazione-con-il-mondo, come fondamento cosciente di tutti gli esseri.

Is God a “person”?

I am comfortable talking about God as divinity, a field of subjectivity that underlies all nature because it’s everywhere, it’s immanent in everything. In this sense divinity is omniscient by definition. Everything is an expression of this field of subjectivity. Such field of subjectivity can be defined as “awareness” or “consciousness” but not as metacognitive awareness or metacognitive consciousness.

By this term “meta-” applied to knowledge or volition we mean the determined dimension of knowledge and volition. I know this and I know that; I want this and/or that. The determination of intelligence and will – precisely the “metacognitive” dimension of intelligere and volle – is a limitation whose condition is given by “abstracting” (ab-straho: drawing out) from the original connection of all things in God. God does not need to decide this or that, just as he does not know this or that in a discursive and sequential sense. God’s knowledge and volition are not “abstract” but radically concrete since God knows and wills all things in a single instant in their determined and singular connections. This determination of things – essentially “subjective” genitive, i.e. of the things themselves as finite and not “objective”, posited by God’s act of determination – causes things to be eternal in their determination, without thereby eliminating their temporality . For example: that John was born in 1942 and died in 2022 is a determination of time but as a determination of John (subjective genitive) it is eternal.

In this sense, God is not an intelligent and willing subject but he is absolute, immanent intelligence and volition in all things. Thomas Aquinas distinguishes between being (“esse” in Latin) and being (“ens” in Latin), therefore God is “Ipsum esse subsistens”, God is “esse”, “intelligere”. Therefore, God is not an eternal intentional and volitional subject who thinks this or that, wants and chooses this or that. God is “beingness.” In the same way, we define God as “consciousness” and “willingness” and not as a volitional and intentional being.

Divinity is the field of subjectivity, underlying our “personal” nature and everything else. We may call “divinity” the mind at large, the cosmic awareness but without identifying this mind at large as capable of knowledge and deliberation. The question whether God is a person depends on how we think of God’s nature. If God is  “infinite” (esse, intelligere and volle) then we cannot ascribe to God cognitive, intentional and volitional status by which usually a person is identified.

We have to stop thinking of the anthropomorphic Christian deity of the New Testament, the summun bonum, the absolute good, as Someone whose mind thinks of this and that; decides what is good and bad, and responds to situation deliberately. This is a kind of a reactive deity, an instinctive God that relates to the world sometime mercifully and other time wrathfully.  By defining God as “trans-personal” we move beyond such an understanding of God as reactively related to creation and to humanity. The divinity of God is the ground of everything, even of the human intentional and volitional capacity. When we say that God thinks this and that, wills this or that, actually we “finitize” the infinite. The finitized God can be called “deus” whereas the divinity or mind at large “divinitas”. The divinitas “becomes” deus any time humanity relates to divinity. The God of the biblical revelation, the God of Abraham, Isaac and Jacob, and finally of Jesus, is divinitas in its aspect of being-related-to-humanity. When the divine consciousness and the creative ground of everything becomes “our” God then divinitas is revealed as deus. The Biblical “deity” is “our” God. This dimension of the deity is what we identify as “personal” God that has created the world at a certain moment, has decided to open the Red Sea, decided to send His Son to earth as response to the sin of humanity, and has raised Jesus from the dead. It is the God that answers the prayers of the faithful when that pleases His plan or does not answer our prayers when those petitions are not pleasing Him. I can relate to this “deus” or “finitized God” in the awareness that is “my” God but at the same time knowing that God’s personal boundaries (“my” or “our” God) define God’s relationship to us as we come to comprehend with our limitations in time, space and growth.

These two aspects of God (divinitas and deus) correspond to the distinction between beingness (esse) and being (ens). They formally differ but not ontologically. The one and only reality of God (monism) is identity-in-relation (relative). The symbolic expression of this relative monism is “x = x + y” where “x” stands for “God” and “y” for creation/humanity. God is God (x = x) in His relation-to-the-world, as the conscious ground of all beings.