«Ciò che accadde una volta fisicamente nella Vergine Maria, quando la pienezza della divinità rifulse in Cristo attraverso la Vergine, si compie anche in tutte le anime che sull’esempio del Logos vivono una vita verginale» (Gregorio di Nissa, De Virginitate 2 [PG 46, 324 B]).
«What happened once physically in the Virgin Mary, when the fullness of divinity shone in Christ through the Virgin, is also fulfilled in all souls who, following the example of the Logos, live a virginal life».
όπερ γαρ έν τή άμιάντψ Μαρία γέγονε σωματικώς, τοϋ πληρώματος τής θεότητος έν τφ Χριστώ δια τής παρθένου έκλάμψαντος, τοϋτο και επί πάσης ψυχής κατά Λόγον παρθενευούσης γίνεται.
CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA n. 460
“Il Verbo si è fatto carne perché diventassimo «partecipi della natura divina» (2 Pt 1,4): «Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio» (83)
«Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio» (84)
«Unigenitus […] Dei Filius, Suae divinitatis volens nos esse participes, naturam nostram assumpsit, ut homines deos faceret factus homo – L’unigenito […] Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei» (85)
Note:
(83) Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 19, 1: SC 211, 374 (PG 7, 939).
(84) Sant’Atanasio di Alessandria, De Incarnatione, 54, 3: SC 199, 458 (PG 25, 192).
(85) San Tommaso d’Aquino, Officium de festo corporis Christi, Ad Matutinas, In primo Nocturno, Lectio 1: Opera omnia, v. 29 (Parigi 1876) p. 336.
Per la tradizione cristiana, il Natale ci ricorda la nascita di Gesù, che nel Credo è confessato come “l’unigenito Figlio di Dio”.
Ma la continua celebrazione del Natale – anno dopo anno – ci ricorda anche che la comprensione di ciò che professiamo nel Credo non è ancora completa.
Il poeta Pablo Neruda una volta scrisse: “Nascere non basta. Per rinascere ogni giorno, nasciamo”. Nascere per Gesù non basta. Nascere di nuovo ogni giorno e per ogni singola creatura, ecco cosa si intende quando proclamiamo: “Un bambino è nato per noi”. Se il Figlio di Dio non nascerà in noi, nella nostra anima – e non solo nella carne a Betlemme o a Nazareth – invano e nulla il Figlio di Dio sarebbe deposto nella mangiatoia.
Ma dopo secoli che abbiamo ripetuto il Credo, siamo ancora lontani dalla mangiatoia dove è stato deposto Gesù. Siamo ancora al margine della mangiatoia. Essere “uno con il Padre” o come dice il Credo “consustanziale” non è qualcosa da considerare un’eccezione o un’esclusività, ma come un dono che Dio condivide con tutti noi. Non solo un bambino, un figlio è nato per noi o per noi, ma essenzialmente “in noi”.
Riconoscere che Gesù è “l’unico figlio di Dio”, consustanziale al Padre, non fa di questo Gesù un’eccezione, un estraneo all’ordine creato in cui viviamo, lasciandoci così fuori dal mistero, al margine della mangiatoia.
Il Natale ci ricorda che anche noi siamo figli di Dio “generati” dall’eternità come si dice di Gesù di Nazaret. Siamo tutti figli di Dio. Non meno Dio di Gesù.
Non siamo al margine della divinità di Dio. Siamo adagiati nella divina mangiatoia di Dio. Paolo ricorda alla chiesa in Galazia che lo stesso Spirito di Gesù è inviato nei nostri cuori per gridare “Abbà, Padre!”. E Paolo di conseguenza dice: “Quindi non sei più schiavo ma figlio, e se figlio allora anche erede, per mezzo di Dio”. (Gal 4,5).
Tutti i cosiddetti “misteri” cristiani proclamano questa verità essenziale. Il Natale è la celebrazione di ciò che siamo: noi siamo il non nato, l’unigenito figlio di Dio, vero Dio da vero Dio. Come afferma chiaramente il prologo di Giovanni: “Ci è stato dato il potere di diventare figli di Dio, noi che non siamo nati da sangue o desiderio umano o volontà umana, ma da Dio”. (Gv 1:13)
Purtroppo, una comprensione ristretta della dottrina trinitaria ha “bloccato” questa stupefacente Buona Notizia e ci ha deposto dal seno del Padre, al margine della mangiatoia.
Siamo arrivati a credere che la figliolanza divina di Gesù (secondo la natura di Dio) sia qualcosa di “esclusivo” per lui, come se questa consustanzialità divina, essere uno con Dio, essere nella forma di Dio, essere uguale a Dio, fosse qualcosa di riservato solo a Dio stesso, una cosa da afferrare e non da condividere. Ma l’essenza stessa di Dio è la “grazia”. L’essere stesso di Dio è “essere-con-noi”. Non solo le briciole che cadono dalla mangiatoia ci sono state date, come se fossimo inseriti nel presepe ma messi da parte come figli adottivi di Dio.
Siamo figli di Dio, figli e figlie di Dio “generati” da Dio. Nell’antica Roma, va ricordato che il bambino “adottato” non è meno ma più che essere il bambino “naturale” o “biologico”. Secondo l’interpretazione romana dell’adozione, il vero erede della famiglia non era il figlio “naturale” o nato “di sangue”, ma quello che il paterfamilias, ad esempio, l’imperatore sceglieva come suo erede. “Essere figlio” significa dunque “essere erede” – come dice Paolo nella lettera ai Galati – “se figlio allora anche erede, per Dio”, e non per sangue.
Siamo “figli/figli di Dio”, poiché condividiamo la stessa natura divina di Gesù. La tradizionale distinzione tra figlio di Dio “naturale” – Gesù – e figli di Dio “adottivi”, essendo per “grazia”, manca il vero punto e il nucleo della Buona Novella del Vangelo.
Dio è “grazia”. Se Dio per natura è grazia, ne consegue che essere figli di Dio per “uno” con Dio. Nascere non di sangue ma per mezzo di Dio.
Nel suo discorso alla Curia romana, il 22 dicembre, papa Francesco ha messo in guardia dal “cristallizzare il messaggio di Gesù in un’unica forma perennemente valida. Invece, la sua forma deve essere capace di cambiare continuamente, così che la sua sostanza possa rimanere sempre la stessa. La vera eresia consiste non solo nell’annunciare un altro vangelo (cfr Gal 1,9), come ci ha detto san Paolo, ma anche nel cessare di tradurne il messaggio nei linguaggi e nei modi di pensare di oggi, come ha fatto proprio l’Apostolo delle genti . Conservare significa mantenere vivo e non imprigionare il messaggio di Cristo”.
Questa è la Buona Novella del Natale. Non siamo al “margine” della “mangiatoia”. Il nostro cuore è la mangiatoia dove è deposto il figlio di Dio perché nasca continuamente in noi. Il modo migliore per approfondire questa verità, nella vita, nell’intelligenza e nella Chiesa, è imitare Maria che «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore». Nella sua carne, Maria concepì Gesù dopo nove mesi. Nel suo cuore, Maria ha partorito per tutta la sua vita il Figlio di Dio.
For the Christian tradition, Christmas reminds us of the birth of Jesus, who is confessed in the Creed as “the only begotten Son of God.”
But the ongoing celebration of Christmas – year by year –also reminds us that the understanding of what we profess in the Creed is not yet complete.
The poet Pablo Neruda once wrote: “Being born is not enough. To be born again every day, we are born”. Being born for Jesus is not enough. To be born again every day and for every single creature, that is what is meant when we proclaim: “A child is born to us”.
If the Son of God is not going to be born in us, in our soul – and not only in the flesh in Bethlehem or Nazareth – in vain and null would the Son of God be laid in the manger.
But after centuries we have been repeating the Creed, we are still far away from the manger where Jesus has been laid. We are still at the margin of the manger. Being “one with the Father” or as the Creed says “consubstantial” is not something to be considered an exception or exclusivity, but as a gift God shares with all of us. Not only a child, a son has been born to us or for us, but most essentially “in us.”
Recognizing that Jesus is “the only son of God,” consubstantial of the Father, does not make this Jesus an exception, and outsider of the created order we live in, thus leaving us off from the mystery, at the margin of the manger.
Christmas reminds us that we too are children of God “begotten” from eternity in the same way it is said of Jesus of Nazareth. We all are sons of God. No less God than Jesus.
We are not at the margin of God’s divinity. We are laid in God’s divine manger. Paul reminds the church in Galatia that the same Spirit of Jesus is sent into our hearts to cry out “Abba, Father!”. And Paul consequently says: “So you are no longer a slave but a son, and if a son then also an heir, through God.” (Gal 4:5).
All the so-called Christian “mysteries” proclaim this essential truth. Christmas is the celebration of who we are: we are the unborn, the only begotten son of God, true God from true God. As the prologue of John clearly states: “We are granted the power to become children of God, we who are born not from blood or human desire or human will, but from God.” (Jo 1:13)
Unfortunately, a narrow-minded understanding of the Trinitarian doctrine has “blocked” this amazing Good News and has laid us off from the Father’s bosom, at the margin of the manger.
We came to believe that Jesus’ divine sonship (according to God’s nature) is something “exclusive” to him, as if this divine consubstantiality, being one with God, being in the form of God, being equal with God, is something reserved only to Godself, a thing to be grasped, and not to be shared. But God’s very essence is “grace.” God’s very being is “being-with-us.”
Not only the crumbs that fall off the manger have been given to us, as if we were inserted into the Crèche setting but set aside as God’s adopted children.
We are sons of God, God’s “begotten” sons and daughters of God. In ancient Rome, we should be reminded that the “adopted” child is not less but more than being the “natural” or “biological” child. According to the Roman understanding of adoption, the true heir of the family was not the “natural” son or born “by blood”, but the one the paterfamilias, for example the emperor was choosing as His heir. “Being a son” means therefore “being heir” – as Paul says in the letter we have heard – “if a son then also an heir, through God,” and not by blood.
We are “children/sons of God,” since we share the same divine nature as Jesus does. The traditional distinction between “natural” son of God – Jesus – and “adopted” sons of God, being by “grace,” is missing the true point and the core of the Good News of the Gospel.
God is “grace.” If God by nature is grace, it follows that to be children of God by “one” with God. Being born not by blood but through God.
In his address to the Roman Curia, on Dec 22, Pope Francis has warned against “crystallizing the message of Jesus in a single, perennially valid form. Instead, its form must be capable of constantly changing, so that its substance can remain constantly the same.
True heresy consists not only in preaching another gospel (cf. Gal 1:9), as Saint Paul told us, but also in ceasing to translate its message into today’s languages and ways of thinking, which is precisely what the Apostle of the Gentiles did. To preserve means to keep alive and not to imprison the message of Christ.”
This is the Good News of Christmas. We are not at the “margin” of the “manger.” Our heart is the manger where the son of God is laid so that He may continuously be born in us. The best way to deepen this truth, in life, intelligence and in the church, is to imitate Mary who “kept all these things, reflecting on them in her heart.” In her flesh, Mary conceived Jesus after nine months. In her heart, Mary gave birth to the Son of God for all her life.
Sembra che la cosa più evidente sia fare esperienza del fatto io sono materia. Ma che io “sia” materia non è immediato. Ciò che è immediatamente evidente è l’esperienza di essere qualcosa che identifico come fisico. La cosa più evidente non è, dunque, che “io sono-materia” ma che io conosco me stesso “come” materia. Ho immediata esperienza di me, prima ancora di distinguere “me” e “ciò-con-cui” mi identifico (materia o mente).
Quindi l’esperienza è il punto di partenza e intrascendibile. È questa “mia” consapevolezza estendibile per analogia alle altre cose attorno a me? Dico di sì, in quanto sono materia come tutte le altre realtà cose. Ma io sono quella materia che sa di essere materia. La materia – per così dire – ha un punto di vista interno a me accessibile a partire dall’immediata esperienza che ho di me stesso in quanto essere materiale.
Allo stesso tempo non ho alcuna esperienza di ciò che si dà oltre l’esperienza. Per definizione, ciò che è oltre all’esperienza è “nonesperibile” e in quanto tale è posto come “mondo esterno” e mondo “materiale o fisico”. Tale supposizione è un atto di fede in qualcosa di cui per definizione dico che è nonesperibile, poiché è ciò-che-causa e da cui emerge la mia esperienza di ciò che è nonesperibile.
Questo è il postulato dei fisicalisti. Il salto di fede del fisicalismo. Ed è un postulato essenzialmente aporetico, poiché pongo qualcosa là fuori che affermo che non può essere posto. Pongo e non pongo.
A questo punto tra una fede in qualcosa di cui non faccio esperienza e l’evidenza di ciò che esperisco immediatamente, ovvero che sono consapevole, scelgo questa seconda!
C’è un secondo atto di fede che il fisicalismo richiede di fare. Non solo chiede di credere in qualcosa che è nonesperibile (mondo fisico ed esterno) ma che il nonesperibile (materia) sia ciò da cui emerge l’esperibile! Doppio salto di fede. Due postulati del fisicalismo in nome dell’evidenza … cosiddetta “scientifica”.
Non ho bisogno di fede, né in un Dio creatore (del mondo materiale) là fuori, né in un mondo materiale “creduto” esistere “indipendentemente” dalla consapevolezza in cui e senza cui né Dio, né il mondo fisico, possono essere esperiti. È l’esperienza immediata della consapevolezza che mi dà l’evidenza di ciò che la religione e il fisicalismo mi chiedono invece di credere.
Si badi bene, l’evidenza non è della “mia” consapevolezza ma della pura consapevolezza. L’alternativa al fisicalismo non è il solipsismo, ma la pura consapevolezza in cui tanto la “mia” quanto la “tua” consapevolezza sono rappresentazioni mentali successive e non immediate. L’esistenza di un mondo “esterno” non è negata nell’evidenza della pura consapevolezza, poiché questa stessa consapevolezza è “principio e fondamento” intrascendibile da cui e in cui emergono il mondo esterno (stati fisici) e il mondo interno (stati mentali). Tali “stati” sono modulazioni o attività della pura consapevolezza. In termini spirituali, possiamo dire che questi stati o contenuti di coscienza sono “pensieri” o “idee” della mente divina.
Se la coscienza è ciò in cui e attraverso cui si danno contenuti di coscienza che sono gli stati fisici e mentali, non si può escludere che nel futuro sia possibile “produrre” intelligenza artificiale capace di ri-produrre “contenuti” di coscienza, cioè simulare “emozioni”, “percezioni”, “pensieri” e persino “auto-riflessioni”. Ma ciò che la tecnologia artificiale potrà compiere sarà di riprodurre il comportamento di un determinato sistema, processo o fenomeno, cosiddetto “classico” ma non di “produrre” pura consapevolezza in quanto questa già c’è e ciò che è producile è la simulazione degli stati fisici e mentali di essa.
“Understanding” is not reduced to “thinking”. Understanding is therefore not an exclusively mental activity. The mind moves into the world of objects – “object” is anything that can be observed and measured – and tries to understand them through analysis and reasoning. It is an essential task. However, if we reduce ourselves to it, we remain closed in the worst ignorance.
“Understanding” is equivalent to “seeing”. The Sanskrit root “vid”, from which the Latin verb “video” = “I see” means, at the same time, “to know” and “to see”. This is the understanding I am talking about. And we don’t reach it through the mind, but on the contrary, in the silence of the mind, in a bare attention that transcends forms or objects.
“Understanding” means knowing by experience what we are, “savoring” it in the etymological sense of “savor”, “taste”, “relish”. “Sapore” in Italian language, sapientia in Latin from the same root that has “sap” in English.
In English we use the word “under-stand”, “stay beneath, lower things”. What is underneath, usually, it is hidden. What is hidden, most of the times is a secret. Concealed and covered under the earth. It takes time to get in tune, feel empathetically, therefore knowing what things are in their being “covered” and “veiled”. No objective measurement is allowed at this deep level of reality.
“Here is my secret. It is very simple: one can only see well with the heart. The essential is invisible to the eye” (Antoine de Saint-Exupéry, The Little Prince).
We remain stuck in ignorance, if we detach ourselves from “what-we-are” and “what-is-beneath” and we risk missing our identity, not really knowing the true nature of things and events of what is out there in the world and what happens to our life.
But how can we remain focused on what is essential in life?
I give you an example. Our mind presents the objects of the world as a projector does when it shows a film on a screen. For the objects to appear adequately, clear and distinct, the screen on which the film is projected must be “absolutely” white, with no other objects or things drawn on it. If the movie were projected on a wall where there are various objects of different shapes and colors, the objects that are projected would not be seen clearly and distinctly, but confused and imprecise.
The white screen represents what we call “understanding”, the knowledge of “what-we-are” and “what-is-beneath-reality”. I am not my feelings, my thoughts, my perceptions. If we identify ourselves with things, objects, thoughts, emotions, or perceptions, we risk no longer understanding the substance (sub-stantia, what stays under, under-stands) of reality.
Shortly, if Self-knowledge is the beginning of wisdom, the identification of the Self with things, objects, thoughts, emotions or perceptions is the beginning of ignorance.
Understanding and wisdom are not something that we achieve. It is already and has always been present. We need only to get out of the bottle of our perceptions, emotions, and thoughts, even from the image we have of ourselves (person, mask) to let “our” water (“finite” form) be “one” with that of the ocean (“infinite” form). By way of trans-formation, conversion, resurrection.
Christmas celebrates the gratitude of our true nature, our being in the infinite (God), and becoming aware of the sapiential experience of transformation that takes place in us any time we let things go and focus on the essential. “Let’s go to Bethlehem and see this thing that has happened” (Lk 2:15). What is this thing that has happened? What is the place where the Son of God is born? That place is “in” us, not “outside” of us.
Christmas celebrates our birth into the light, the passage from ignorance to the understanding of “what I am”, letting go of the “little” ego to the greater “Self” of my deep identity that comprehends and embraces all things in the silence of the mind. “While a profound silence enveloped all things, and the night was in the middle of its rapid course” (Wis 18:14).
“So, you must be silent.
Then God will be born in you,
utter his word in you and you shall hear it;
but be very sure that if you speak,
the word will have to be silent.
If you go out,
he will most surely come in;
as much as you go out for him
He will come into you; no more, no less….
When shall we find and know,
this birth of God within us?
Only when we concentrate
all our faculties within us
and direct them all towards God.
Then he will be born in us
and make himself our very own.
He will give himself to us as our own,
more completely ours than anything
we have ever called our own.
“A child is born to us, and a son is given to us.”
He is ours.
He is all our own, more truly ours than anything else we own,
and constantly, ceaselessly, he is born in us.
Johann Tauler (1300 – 1361), disciple of Meister Eckhart
“Comprendere” non si riduce a “pensare”. Comprendere non è, quindi, un’attività esclusivamente mentale. La mente si muove nel mondo degli oggetti – “oggetto” è tutto ciò che può essere osservato e misurato – e cerca di comprenderli attraverso l’analisi e il ragionamento. È un compito essenziale. Tuttavia, se ci riduciamo ad esso, rimaniamo chiusi nella peggiore ignoranza.
Comprendere equivale a “vedere”. La radice sanscrita “vid”, da cui il verbo latino “video” = “vedo” significa, allo stesso tempo, “conoscere” e “vedere”. Questa è la comprensione di cui parliamo. E non la raggiungiamo attraverso la mente (pensiero), ma al contrario, nel silenzio della mente, in una nuda attenzione che trascende il piano delle forme o degli oggetti.
Comprendere significa conoscere esperienzialmente ciò che siamo, “saperlo” nel senso etimologico del “sapore”, della linfa vitale (in inglese: “sap”), del gustare, cioè conoscere esperienziale è sapienziale. In inglese si usa la parola “under-stand”, “stare al di sotto delle cose”: entrare in sintonia, empatia, dunque conoscere ciò che le cose sono nell’invisibilità, oltre l’oggettiva misurazione.
“Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”
Antoine de Saint-Exupéry, Il Piccolo principe
Rimaniamo nell’ignoranza, se tentiamo di dis-taccarci da “ciò-che-siamo” e da “ciò-che-sta-sotto” e rischiamo di non sapere più quello che siamo e di non conoscere veramente le cose stesse del mondo.
Per fare un esempio. La mente presenta gli oggetti del mondo come fa un proiettore quando mostra un film sulla parete dello schermo. Perché gli oggetti possano apparire adeguatamente e farli apparire chiari e distinti è necessario che il tendone sul quale il film viene proiettato sia “assolutamente” bianco, senza oggetti o cose disegnate sopra. Se si proiettasse il film su una parete dove sono presenti oggetti vari di diverse forme e colori, gli oggetti che la pellicola proietta non verrebbero visti chiari e distinti, ma confusi e imprecisi.
Il tendone bianco rappresenta la comprensione, la conoscenza di “ciò-che-siamo” e di “ciò-che-sta-sotto”. Noi non siamo qualcosa o qualcuno. Se ci identifichiamo con le cose, gli oggetti, i pensieri, le emozioni o le percezioni rischiamo di non comprendere più la sostanza (sub-stantia, stare sotto, under-stand, hypó-stasi) della “realtà-che-è-Sé”. In breve: se la conoscenza di Sé è l’inizio della saggezza, l’identificazione del Sé con le cose, gli oggetti, i pensieri, le emozioni o le percezioni, è l’inizio dell’ignoranza.
La comprensione e la sapienza non viene conquistata o raggiunta. È già e da sempre presente. Basta uscire dalla bottiglia delle nostre percezioni, emozioni e pensieri, perfino dall’immagine che abbiamo di noi stessi (persona, maschera) per unire la “nostra” acqua(forma “finita”) con quella dell’oceano (forma “infinita”): trans-formazione, conversione, risurrezione.
Il Natale celebra la riconoscenza di essere l’infinito (Dio) e l’esperienza sapienziale di trasformazione dalla forma finita a quella infinita. “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere” (Lc 2, 15). Qual è mai l’avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere, etimologicamente: “nascere-con” (con-naïtre)? Il luogo dove il Figlio di Dio nasce è “in” noi, non “fuori-di-noi”. Se q quando Dio nasce, nasce sempre “con noi”.
Il Natale celebra la nostra nascita alla luce, il passaggio dall’ignoranza alla conoscenza della luce che è la Vita di tutto. Aprendomi a ciò che sono al di là di ciò che penso di essere; sperimentando la mia quotidianità a partire da e nello sfondo di “ciò-che-sta-sotto” a tutte le cose e gli avvenimenti della vita, passando dall’io “piccino” al “Sé” della mia identità profonda che è Pura Consapevolezza e com-prende, abbraccia tutte le cose nel silenzio della mente. “Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo rapido corso” (Sap 18,14).
“In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (…) Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto” (Gv 1,1.3)
Perché Dio ha creato? Qual era lo scopo di Dio nel creare? L’universo stesso è eterno o l’universo è una creazione nel tempo come lo conosciamo, come Gesù stesso? Ammettiamo che probabilmente non sapremo mai il “come” e nemmeno il “quando” della creazione. Ma la domanda a cui la religione cerca di rispondere è principalmente il “perché”. Qual è l’intenzione divina di creare il mondo? Abbiamo persino bisogno di un “Dio” creatore per spiegare l’universo?
Tutto ciò che esiste in forma “materiale”, proviene da una Sorgente originaria che esiste solo come Spirito. Ciò viene detto in tutte le tradizioni religiose. Questa fonte infinita, invisibile originaria, “spirito”, in qualche modo si dà in forme “finite” e “visibili”, cioè “crea” enti finiti, crea “cose” finite, espressioni di questa sorgente infinita spirituale. Rocce, acqua, piante, organismi, animali ed esseri umani, sono tutte “forme” finite, materiali, limitate, della forma “infinita” spirituale.
Questa auto-rivelazione di Dio nella creazione – fisica, limitata e visibile – è la prima “incarnazione” della sorgente originaria, lo spirito-verbo-parola, molto prima della seconda incarnazione personale che i cristiani credono sia avvenuta con Gesù.
Quando i cristiani sentono la parola “incarnazione”, la maggior parte di noi pensa alla nascita di Gesù a Betlemme. In Gesù di “Nazareth” (probabilmente è questo il luogo dove Gesù è storicamente nato), si è data l’unità personale di Dio con l’umanità, di Dio con la materia. Ma il modello della “prima” e “originaria” incarnazione ci viene descritto in Gen 1,3 quando si parla dello “spirito” che aleggia sulle acque e la “parola” l’universo fisico. Lo spirito/parola diventa così la luce all’interno di ogni cosa. La “luce” è la prima creatura, embrione creaturale di ciò che si svilupperà fino ad arrivare a Gesù di Nazareth e poi si compirà nel cosmo divenuto Cristo.
L’Incarnazione, quindi, non è solo “Dio che si fa Gesù”. È un evento molto più ampio, motivo per cui Giovanni descrive per la prima volta la presenza di Dio nella parola generica “carne” (Gv 1,14). Giovanni sta parlando del Cristo onnipresente che continuiamo a incontrare in altri esseri, animati e non animati: uomini, montagne, fili d’erba o batteri. “Cristo” è una parola per il “modello” primordiale (Logos,Verbo, Esemplare) per mezzo del quale “tutte le cose sono state create e nessuna cosa ha avuto origine se non per mezzo di lui” (Gv 1,3). Vedere in questo modo l’evento dell’incarnazione ci permette di rileggere il “Credo” della Chiesa in modo trans-disciplinare: in dialogo con la scienza, le religioni e la mistica.
Attraverso l’atto della creazione, Dio ha manifestato la Presenza Divina che fluisce eternamente nel mondo fisico e materiale (vedere Romani 8:19–25). La materia ordinaria è il “nascondiglio” dello Spirito: il “tesoro” nascosto nel campo della mente di Dio.
I cristiani credono che questa presenza universale di Cristo, la Parola, l’Esemplare, sia successivamente “nato da una donna sotto la legge” (Gal 4,4), dentro al “nostro” paradigma cronologico. Questo è il modo con cui la fede cristiana “rilegge” questa verità cosmica.
Noi cristiani crediamo che la presenza di Dio sia stata riversata in un singolo essere umano, in modo che l’umanità e la divinità possano essere viste operare come una cosa sola in lui – e quindi in noi! Ma invece di dire che Dio è venuto nel mondo “attraverso” Gesù, forse sarebbe meglio dire che Gesù è uscito “da” un mondo già intriso di Cristo. Sono queste le metafore bibliche naturali – germoglio, tronco, terra – che ci indicano come la “seconda” incarnazione sia scaturita dalla prima, dall’unione amorosa di Dio con la creazione fisica.
L’uomo Gesù ha realizzato nella sua vita la Parola-Esemplare-Spirito dando a noi un esempio e una promessa di ciò che ciascuno di noi e ogni altra creatura è chiamato a realizzare: la “terza” incarnazione o “seconda” venuta di Gesù Cristo. È ciò che il “credo” confessa dicendo: “… e nella vita del mondo che verrà”.
Gesù ha offerto al mondo un esempio vivente di Amore pienamente incarnato che è emerso dalle nostre situazioni di vita ordinarie e limitate. In Gesù, Dio è entrato a far parte del nostro mondo piccolo e familiare. Gesù ha reso evidente come Dio sia presente nei limiti umani e nell’ordinarietà. Il “Nome” di Gesù ha svelato l’”Anonimato” di Dio, di ciò che è rimasto anonimo e in gran parte invisibile dall’inizio dell’universo. Questo è anche il senso dei primi trent’anni di vita di Gesù: anonimo galileo. Durante tutta la sua vita, Gesù stesso non trascorse tempo a salire-in-alto (far carriera), ma a scendere, “svuotando se stesso e divenendo uomo tra gli uomini” (cfr Fil 2,7), “tentato in ogni modo in cui siamo” (Eb 4,15) e “vivere nei limiti della debolezza” (Eb 5,2). Gesù è “veramente” Dio, poiché “veramente” uomo come noi.
Gesù ha percorso tutto il cammino umano, senza “scimmiottare” Dio, poiché si è compiaciuto di essere “umano”. La sua vita ha “esemplificato” il mistero della nostra vita. Come afferma Eb 4,15, “Poiché non abbiamo un sommo sacerdote che non sia in grado di simpatizzare con la nostra debolezza, ma ne abbiamo uno che era come noi in ogni cosa, ha sperimentato ogni tentazione e non si è mai tirato indietro”. Non dobbiamo aver paura della profondità e dell’ampiezza della nostra vita, di ciò che questo mondo ci chiede. Ci viene dato il permesso di entrare in intimità con le nostre esperienze, imparare da esse e permetterci di scendere nella profondità delle cose, anche dei nostri errori, prima di provare troppo velocemente a trascendere tutto in nome di una purezza o superiorità idealizzata. Dio si nasconde nelle profondità e spesso viene solo “intra-visto” poiché rimaniamo alla superficie delle cose e della nostra vita, perfino dei nostri peccati. Ma se entriamo in profondità, passeremo dall’ “intra-vedere” al “vedere” ciò che Gesù vide nella sua persona umana: di essere figlio di Dio, consustanziale alla Sorgente infinita, cioè in termini “teisti”, il Padre.
La parola “vedere” fa riferimento alla radice sanscrita “vid”, da cui il verbo latino “video” = “vedo”. “Vid” significa, allo stesso tempo, “conoscere” e “vedere”. È una conoscenza, un “con-naître”, un “vedere” che ci fa “nascere”. Gesù ha “conosciuto” e quindi “visto” la Sorgente da cui è generato. Per questo (Gv 1,18) ci ha rivelato il mistero del Padre. Questo è il mistero che anche noi conosceremo poiché siamo il mistero che conosciamo. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna“ (Gv 3,16).
Come Dio amando la carne diventa carne, così anche noi che siamo “carne” amando Dio diveniamo “Dio”, spirito. Le tre religioni monoteistiche – ebraismo, islam, cristianesimo – affermano che Dio ha creato tutte le cose. Ciò significa. allora, che ogni cosa, ogni carne, porta in sé il DNA divino. Dio comunica se stesso in tutte le cose, fino a quei bellissimi fili d’erba che crescono nel campo. Dio è in tutte le cose; tutte le cose sono in Dio. Il cristianesimo autentico è “pan-en-teista”. La fede cristiana non può non “vedere” tutte le cose in Dio. Deus suum ipsius et omnium esse (Dio è il suo e l’essere di tutte le cose). Solo essendo Dio l’essere di tutte le cose, tutte le cose possono conoscerlo. Ed essendo Dio, ogni uomo lo può conoscere. Su questo principio si fonda la “terza” incarnazione. “Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2-3). Amando, diventeremo Dio poiché Dio è amore.
Confondere la correlazione con la causalità è un errore noto nella scienza, come l’errore del “cum hoc ergo propter hoc”. Se gli stati mentali sono correlati agli stati cerebrali, ci sono almeno quattro opzioni logiche:
Il cervello causa la mente (questa è l’opzione paradigmatica);
La mente causa il cervello;
Sia gli stati cerebrali che quelli mentali sono causati da un terzo processo trans-materiale sconosciuto;
La correlazione illustra uno schema, non una causalità.
Supponiamo che si stia guardando attraverso una fessura in una recinzione. Dall’altra parte, un serpente corre lungo il recinto. Attraverso la fessura si vede prima la testa del serpente, poi la coda del serpente. Ogni volta, la coda segue la testa. Concludete dunque che la testa causi la coda? O viceversa? No, la correlazione tra coda e testa è semplicemente la conseguenza di uno schema più ampio (vale a dire, la forma del corpo del serpente), non di una causalità locale.
Secondo l’opzione 4, gli stati cerebrali e gli stati mentali sono correlati tra loro semplicemente perché sono entrambi parte di una realtà trans-materiale che non possiamo vedere completamente, nello stesso modo in cui non possiamo vedere l’intero corpo del serpente in una volta attraverso la fessura nella recinzione.
1. La perfezione non è mai inizio, ma sempre compimento. Ogni inizio è dunque segnato non dal peccato che riduce lo stato di perfezione concesso all’uomo, ma da una benedizione, da una promessa di compimento rivolta ad ogni creatura1(cf Molari e Torres Queiruga)
2. L’azione di Dio non è puntuale, qui ed ora, e nemmeno privilegiata, a questi e non a quelli. L’azione di Dio è data una volta per tutte a tutte le creature, e tutto il creato attualizza secondo la dinamica storica e la differenziazione creaturale ciò che è stato dato ed è continuamente dato da Dio a tutti e sempre (Rahner, Wiles, Torres Queiruga).
3. All’inizio sta la benedizione e la promessa di pienezza che Dio offre, ma nulla si compie senza la creatura, che è incompiuta e che non può ricevere questa benedizione tutta intera in un solo istante, ecco perché da subito al bene si accompagna sempre il male.
4. Ogni creatura adempie questa promessa attraverso il suo sì in ogni momento della sua storia; ma può anche rinnegare questa promessa attraverso il no. Ciò è dovuta all’inevitabile imperfezione creaturale.
5. Maria è immagine ecclesiale della benedizione originaria (immacolata concezione) ma ha il suo fondamento reale nella persona di Gesù suo figlio. Gesù è il compimento sublime di questa benedizione originaria (Dio ci ha benedetti con ogni benedizione nel Figlio e come figli). Gesù è principio e fondamento della benedizione data fin dalle origine a tutti/e e sempre. Tutti noi come Maria siamo stati concepiti “immacolati” … in spe e nel Figlio.
Perfection is never a beginning, but always a fulfillment. Every beginning is therefore marked not by sin which reduces the state of perfection granted to humanity from its creation, but by a blessing, by a promise of fulfillment addressed to every creature.
God’s action is not punctual, here and now, nor is it privileged, to these and not to those. God’s blessing is given once and to all from eternity. All creation realises this eternal blessing according to its temporal and dynamic receptivity.
At the beginning is the blessing and the promise of fullness that God offers to all, but nothing is accomplished without the creature, which is incomplete and cannot receive this blessing entirely in a single instant, which is why good is realised in becoming. Progress not Perfection.
Every creature embodies the promise of blessing through its receptivity in every moment of its history, but it can also reject such promise. This possibility is inevitable due to creaturely imperfection.
Mary is the ecclesial image of the Original Blessing (Immaculate Conception) but its source is Jesus Christ, her son. The human Jesus is the “real” historical fulfillment of the Original Blessing (God has blessed us with every blessing in the Son and as his children). Jesus Christ is the principle and foundation of Divine Blessing given from the very beginning to everyone. All of us – like Mary – were conceived “immaculate” … “in spe” and “in filio”.
Jesus Christ is the foundation of the Immaculate Conception; as any other creatures, Mary received the eternal blessing from Christ. She was “full of grace” as we all are “full of grace”. She totally fulfilled her Divine destiny in the Assumption in Heaven. We are on the Way (the Way of Jesus Christ) to that Destiny as well.