Gesù “ebreo”? Sì, ma io “no”.

Gesù è stato pienamente un ebreo del suo tempo, vivendo nella cultura religiosa del giudaismo del Secondo Tempio come riformatore.

“Ci abituiamo poco a poco a ritrovare il carattere giudaico dell’uomo di Nazareth, ad addomesticare in un qualche modo l’idea che storicamente è più corretto vedere in Gesù un ebreo riformatore del giudaismo che un archetipo di cristiano” (Daniel Marguerat).

Ne segue che ciò che è specifico della cultura e tradizione religiosa (monoteista) di Gesù, con i suoi riti, codici morali e di purità, non è rilevante o essenziale per la fede cristiana.

Non è necessario che un cristiano diventi ebreo come lo è stato Gesù o perché Gesù lo è stato, anche se va riconosciuto pienamente che Gesù visse e pensò da ebreo fino in fondo.

Gesù può e deve rimanere quello che è, ma tra lui e un cristiano contemporaneo ci sono duemila anni di storia e di cultura religiosa differenti. Credere in Gesù non significa credere in quel Gesù (secondo la carne) ma nel Gesù reso vivo dallo Spirito (secondo lo Spirito): “[Cristo] reso vivo nello spirito” (1Pt 3,18). È questa azione dello Spirito che rende per noi Gesù “contemporaneo” in quanto “ora” Gesù è Cristo.

Per cui possiamo anche trasgredire ciò che Gesù ha detto e compiuto, a motivo della maggiore comprensione ed evoluzione spirituale che ne abbiamo di lui nello Spirito: “Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera” (Gv 16,13).

Per Sœren Kierkegaard, si diventa contemporanei di Gesù nell’imitazione. Non è sentimentalismo, non è ammirazione, ma imitazione. Mentre l’imitatore aspira ad essere ciò che egli ammira, il semplice ammiratore invece “rimane personalmente fuori”, come fece il giovane ricco del vangelo, che ammirava Gesù ma non decise di seguirlo e imitarlo.

Anzi, non si tratta nemmeno di una imitatio, quanto di una conformatio.

“Si dovrà liberare il Divino in noi, perché si manifesti come avvenne in Gesù Cristo Il processo di redenzione in noi mira ad una trasformazione nel corso della quale diventiamo Cristo, che in ultima analisi corrisponde al pieno processo di incarnazione ad un processo di umanizzazione, anzi, di divinizzazione. Gesù intendeva farci da guida verso il Regno di Dio, noi invece abbiamo troppo sottolineato la sua divinità. Finché sarà presente un abisso invalicabile tra noi e Gesù, il cristianesimo non realizzerà la sua vera missione. Finché continueremo solo ad adorare Gesù, non lo seguiremo come una guida. Egli è il primogenito tra molti fratelli e sorelle, egli ci ha detto chi siamo veramente, che siamo figura di Dio. Dobbiamo fare esperienza di tale figura. Il divino vuole sbocciare in noi” (Willigis Jäger)

Diventare “contemporanei” di Gesù in Cristo significa “diventare Cristo”.