Dell’unicità dei qualia

La domanda che pongo è questa: l’unicità di una determinata sensazione è da attribuire al soggetto che percepisce e quindi rende “unica” una generica sensazione oppure è la sensazione che è unica, singolare e talmente privata che il soggetto percepente “generalizza” attribuendola a sé?  La soggettività dell’esperienza è qualcosa di costruito oppure è originaria e irriducibile al soggetto percepente?

La mia tesi: Non è il soggetto che rende “unica” un’esperienza, cioè il sapore di una ciliegia, la visione di un dipinto, ma è l’esperienza stessa (qualia) che è unica e singolare.

Ogni esperienza è unica di per sé e in se stessa. Queste vengono appropriate o comprese da quel racconto mentale, l’identità narrativa che un soggetto elabora di sé e che fa sì che si appropria di tali esperienze, venendo queste identificate come le “mie” esperienze.

Anche questa soggettività è un’esperienza, una “meta-esperienza” o una “meta-cognizione” che fa sì che questa o quella esperienza, di per sé unica, irripetibile e singolare, diventa comunicabile. Ma ciò che comunico è solo – per così dire – il volto visibile della mia soggettività (cf. l’immagine della luna), il volto invisibile, invece, rimane incomunicabile ed è solo immediatamente, privatamente, conoscibile.