Divinità e trinità

Una comprensione pan-en-teista di Dio ci sollecita a comprendere il mondo (= gli enti) nella divinità ( = Essere). Nella tradizione tomista Dio è stato definito Ipsum Esse subsistens, cioè l’essere tout-court. L’essere nella forma verbale dell’infinito. L’essere, dunque, è infinito.

L’essere è il Fondamento (Ground of Being, Tillich). Proprio perché è fondamento di tutto, tale essere “infinito” è indeterminato. Eccede ed è al di là di ogni determinazione. E come la luce che in se stessa non è alcun colore ma fa essere tutti i colori. Tale fondamento dell’Essere è in-determinato. Il “far essere” del fondamento è propriamente un “dar l’essere” , “partecipare l’essere”. La divinità è “dar-si”. “Es gibt” (in tedesco: c’è, alla lettera esso dà). In italiano possiamo semplicemente dire: È. Un altro modo di indicare questo “dar-si” è “spirito”. La divinità è spirito, poiché “non sai di dove viene e dove va” (Gv 3,8)

Il fondamento dell’essere “si” determina – in virtù del suo darsi – in fondamento fondante. La divinità in-determinata (deità, Gottheit, Godhead) si dà e, dandosi, si determina come “Dio” che crea dal nulla. Possiamo chiamare questo “Dio” l’Ente supremo o seguendo la tradizione di Shankara (advaita vedanta) il Saguna Brahman: l’Assoluto (Brahman) con le qualità, con relazioni.

Si tratta della divinità nel suo aspetto “personale” di Soggetto. È il Dio persona/tripersonale della fede cristiana. Tale Dio “soggetto” crea un mondo ( = gli enti). La creazione è il fondamento “fondato”, cioè l’oggetto “creato” che è correlato del soggetto creante. Dio se è Creatore significa che è “definito” dalla creazione.

Si tratta, tuttavia, di una relazione “logica” cioè non reale per Dio. Dio non aggiunge nulla al suo essere “Ente” creando. Si dice pertanto che è una relazione “logica”, come quando diciamo che il sole gira intorno alla terra. Tale relazione è di ragione, non è reale, poiché è la terra che “realmente” gira intorno al sole! Il mondo in quanto creato è costituito da una relazione “reale” verso Dio. Senza questa relazione reale, il mondo non sarebbe. Dunque, il mondo “è” poiché “sussiste” nella relazione logica di Dio.

Cosa è mai questa relazione logica? È il Logos, la Mente di Dio, l’esemplare di Dio stesso (cf Col 1,17). Il mondo è l’apparire (oggettività divina) di Dio. La determinazione del fondamento è il destino della divinità indeterminata. Tutto è “contenuto” nella divinità come sua auto-determinazione. Il dar-si della divinità è la sua determinazione.

In concreto: il mondo è apparizione della divinità in ogni singolo ente, in ogni più piccola realtà microcosmica e nello splendore di ogni universo. Il Dio “soggetto” è la realtà personale della divinità, Colui che invochiamo come Padre, Figlio e Spirito Santo (tri-personalità di Dio): è il volto ( = “persona”) visibile di Dio, determinazione del volto “in-visibile” che è la divinità indeterminata.

A questa divinità, non ci si rivolge in modo “personale” ma “trans-personale” poiché essa trascende ogni determinazione, anche quella di Padre-Figlio-Spirito Santo (cf Eckhart). Se ne fa pura esperienza di Presenza trascendendo ogni pensiero, immaginazione e sentimento. Trascendendo la mente dell’ego ed abbandonandosi alla divinità che è puro spirito che “non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3,8).

Ri-pensare la fede?

Extraterrestri/Spaziotempo/Materia.

Solo alcune delle novità che nel secolo scorso sono state rivisitate dalla scienza. È probabile che…. ci siano altre forme di vite in galassie a noi distanti; spazio e tempo non sono realtà “fisse” entro cui sia accadono “eventi” (tempo) sia hanno il loro luogo e presenza “cose” (spazio). La “materia” stessa è possibilità e relazionalità fondamentale. Non ci sono “cose” ma “relazioni” di cui le cose e gli eventi sono le loro espressioni spaziali e temporali.


Orbene…

Non deve stupire il fatto che una cosa che si sa da un secolo non sia ancora diventata conoscenza comune di tutti: è successo lo stesso per molte grandi rivoluzioni concettuali, come la rivoluzione copernicana. Molta gente era convinta che fosse il Sole a girare attorno alla Terra, e non il contrario, anche parecchio tempo dopo la scoperta di Copernico. D’altra parte, la ricerca del sapere va avanti e non aspetta che ad ogni passo seguano tutti da presso. Ora, la novità che viene dalla gravità quantistica è che lo spazio non esiste. Esiste solo il campo gravitazionale, che, come ho raccontato, è fatto di probabilità di quanti di spazio collegati in reti. Mettendo insieme le due idee, la non esistenza dello spazio implica anche la non esistenza del tempo. Il tempo non esiste. È necessario imparare a pensare il mondo in termini non temporali, sebbene questo risulti difficile, sul piano dell’intuizione, perché siamo abituati a pensare il tempo come una cosa a sé stante, che scorre.

Carlo Rovelli, Cos’è il tempo, Cos’è lo spazio?


Come si fa a continuare a dire – come se nulla fosse cambiato nella prospettiva cosmologica, fisica e biologica – che “nella pienezza dei tempi” il Verbo si è incarnato?
Come si fa a continuare a dire che vi sarà un tempo in cui il Cristo ritornerà e accadrà il Giudizio Universale?
Come si fa a continuare a dire che la tomba di Cristo doveva essere vuota perché altrimenti la carne/corpo di Gesù non sarebbero risorti?


Si continua – come se niente fosse – a “raccontare” la Buona Novella con la stessa musica di sottofondo! Certo, vi sono alcuni nella chiesa che vivono in modo schizofrenitco: credendo da tolemaici, pensando da quantistici.

No, non ci sto!

Intellectus quaerens fidem (Sant’Anselmo)… E il viceversa (fides quaerens intellectum) solo nella consapevolezza che la fede interroga le categorie dell’intelletto non per dire e comandare all’intelletto “come” pensare, ma semplicemente per dirgli che l’intelletto non può pensare l’im-pensabile, cioè Dio. Ma niente di più di questo.


Come “pensare” l’im-pensabile….

è compito dell’intelletto, e non della fede.

Il cristianesimo è chiamato a ri-pensarsi “radicalmente”: per esempio, mettendo in questione il concetto di “incarnazione” puntuale (nozione di tempo) di un Dio che “entra” nella storia e nello spazio; il concetto “di in-carnazione“, cioè cosa è la materia, in cui il Verbo si incarna?

Queste ed altre sfide sono inevitabili. Se non le si affrontano, la fede cristiana diventerà sempre più una “favola” e un “mito” da museo dei pensieri che furono.

Pisa non è più Pisa

Certamente la riconoscerete questa città! È Pisa.Sì, ma da due prospettive diverse. La foto a destra è scattata “da terra”, mentre quella a sinistra è scattata “dalla torre di Pisa”. La stessa città ma da due prospettive diverse. Certamente, colpisce che dalla prospettiva di sinistra – scattata dalla torre – tutto si vede della città di Pisa, tranne ciò che “identifica” la città di Pisa: la sua Torre. Da questo punto di vista, la torre di Pisa non appare, non si rivela.

Orbene, questo confronto può aiutarci a comprendere quanto ho tentato di scrivere su preghiera di richiesta, teismo e post-teismo, mistica e Meister Eckhart. La prospettiva di destra (diciamo… tradizionale, ecclesiale e biblica) rappresenta la visione di Dio da parte della creatura; dell’infinito da parte del finito. Credere in Dio, e pregarlo nell’orizzonte della “mia” prospettiva, cioè da terra. In questo orizzonte, Dio è ciò che dà senso alla realtà, così come la torre di Pisa “identifica” la realtà della città di Pisa. Vedo Dio, comprendo Dio e Dio fa parte del “mio” mondo. Sì, ci credo perché è lì, ne faccio esperienza. Dio “c’è” !

La prospettiva di sinistra (diciamo… trasgressiva, mistica e carismatica) rappresenta la realtà così come Dio la vede; del finito da parte dell’infinito. Qui la creatura è “salita sulla torre”, immagine questo dell’itinerario di identificazione con Dio. Man mano si è unita ed è diventata “uno” con Dio. Non si tratta di solo sforzo umano (pelagiano!) ma di grazia mischiata all’umano.

Sì con le sue immagini forse semplici ed infantili così si esprime Santa Teresa di Lisieux:

“Sono troppo piccola per salire la dura scala della perfezione. Vorrei trovare un ascensore per innalzarmi fino a Gesù. Allora ho cercato nei libri santi l’indicazione dell’ascensore, oggetto del mio desiderio, e ho letto queste parole pronunciate dalla Sapienza eterna: «Se qualcuno è piccolissimo, venga a me». Allora sono venuta, pensando di avertrovato quello che cercavo, e per sapere, o mio Dio, quello che voi fareste al piccolissimo che rispondesse al vostro appello, ho continuato le mie ricerche, ed ecco ciò che ho trovato: «Come una madre carezza il suo bimbo, così vi consolerò, vi porterò sul mio cuore, e vi terrò sulle mie ginocchia!». Ah, mai parole più tenere, più armoniose hanno allietato l’anima mia, l’ascensore che deve innalzarmi fino al Cielo sono le vostre braccia, Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, al contrario bisogna che resti piccola, che lo divenga sempre più” (Storia di un’anima, n. 271).

Aggiungo, però, che questa salita con l’ascensore conduce in cima alla torre e “dal cielo” ovvero dall’infinito, nella visione di Dio (genitivo soggettivo) vedo tutta la realtà, sì, ma Dio è scomparso, si è nascosto. Dio “non” c’è più. Ma di fatto, non è andato via e nemmeno sta giocando al nascondino (come “banalmente” teologi e dottori spirituali dicono!).

Dio, non è scomparso, ma sono io che sono divenuto/a quello che Dio è. Io sono. Salire verso Dio è infatti scendere nel nulla della creatura, e lì proprio nel “nulla” scoprire nient’altro che Dio. Dio come non-aliud, “niente di altro”. Sono Dio, dice “l’anima” che salendo sulla scala con la grazia dell’ascensore diventa “spirito”. Il segno che questa trasformazione da “anima a “spirito” sta avvenendo è che Dio “non c’è”. Non lo si avverte più, anzi sembra di aver perso la fede in Lui. Il nulla della creatura si manifesta come “notte” dell’anima. E in quella notte… nasce il figlio/la figlia di Dio in Dio. Conoscere, in francese: connaître, cioè nascere-con.

Ci si accorge di non credere più “in Dio”, di non sapere più come pregarLo nell’orizzonte della “mia” prospettiva, cioè da terra. In questo “altro” orizzonte, Dio non è più ciò che dà senso alla realtà, così come dall’alto della torre di Pisa non vede più ciò che “identifica” la realtà della città di Pisa. Pisa non è più Pisa. Non vedo più Dio, non lo comprendo più. Dio non fa più parte del “mio” mondo. Perché? Forse non ci sono più perché o risposte. Divenendo “Dio” (divinizzazione), non credo più “in” Dio ma “vivo” Dio. Sono Dio.

“Il mio ‘io’ è Dio; non conosco altro che il mio Dio” […] “Il mio essere è Dio, non per sola partecipazione, ma per sua vera trasformazione e annichilazione” (p. 51). «Sono così posta e sommersa nella fonte del suo immenso amore, come se fossi nel mare tutta sott’acqua e in nessuna parte potessi toccare, vedere né sentire, se non solo acqua» (p. 77).

Caterina da Genova, “Vita Mirabile”, in Vita Mirabile. Dialogo. Trattato Sul Purgatorio, Città Nuova, Roma 2004.

Finiti sì, ma come e nell’infinito

TESI: Il finito è presente nell’infinito come infinito e non come finito; altrimenti l’infinito non è più infinito ma finito.

La creatura è presente in Dio come Dio e non come creatura; altrimenti Dio non è più Dio ma creatura.

Esempio: se paragoniamo il 10 all’infinito e i numeri dall’1 al 9 ai finiti, possiamo dire che il 5 (finito) è presente nel 10 come 10 e non come 5; altrimenti il 10 non sarebbe più 10 poiché il 5 sarebbe “fuori” dal 10, e il 10 senza il 5 non sarebbe più 10 ma 5.

Così è per ogni finito. Andando a noi. Ognuno di noi è stato creato da Dio. Sì, Dio è infinito: è l’infinito oceano della divinità e dell’amore. Ognuno di noi è presente nell’essenza divina non da creatura finita ma da Dio; se fossimo in Dio senza essere della sua stessa essenza, Dio non sarebbe più Dio ma creatura. Infatti, noi saremmo “fuori” di Dio, e Dio senza di noi non sarebbe più Dio.

Ora si badi bene: ciò non vuol dire che noi ( = 5) creature “aggiungiamo” qualcosa a Dio ( = 10), come se 5 + 5 = 10.

Senza di noi, Dio non sarebbe Dio, poiché Dio è: colui senza del quale nulla è. Dio non sarebbe colui senza del quale nulla è, se qualcosa “fosse” fuori di Dio. Ciò vorrebbe dire, infatti, che Dio non sarebbe più colui senza del quale nulla è.

Ma se siamo in Dio, “ci” siamo con la nostra identità “divina”. Se non fossimo “Dio”, Dio non sarebbe più Dio, e noi non saremmo. Certo, non lo siamo “totalmente”. Se lo fossimo, cioè Dio fosse “questo” finito, e “uno” di noi fosse “totalmente” Dio, un altro finito non potrebbe essere “Dio”. Non solo, se “questo” finito fosse totalmente Dio, vorrebbe dire che Dio sarebbe “finito”, questo non quello; qui e non là; ieri ma non oggi. Mentre solo se l’identità del finito è “totum divinum” e non “totaliter divinum”, deus divinus est.

Il Nuovo testamento esprime questa profonda verità con la metafora della figliolanza. Noi siamo figli di Dio e lo siamo “realmente”. Se l’autore della Prima Lettera di Giovanni avesse pensato che noi, creature, fossimo “figli” non come il Figlio, quindi non della stessa sua identità divina, avrebbe negato Dio!

Mi spiego.

La stessa realtà può vedersi da due punti di vista differenti. Se sto sulla terra, il sole si muove rispetto alla terra ; se mi metto fuori dalla terra vedo che è la terra che si muove.

Se mi vedo come Dio mi vede, Lui mi vede non come qualcuno fuori, altro, oltre di sé. Poiché non c’è nulla fuori dell’infinito.

Se io mi vedo come io mi sto vedendo ora, mi vedo “finito” e Dio è sì visto come infinito, ma come qualcuno che è fuori di me, oltre. altro da me; proprio perché sono finito e non infinito.

Ma dalla prospettiva di Dio, vedendomi così come Dio mi vede, io sono “figlio/a suo/a. Sono propriamente la Sua immagine.

Solo dal mio punto di vista mi vedo “propriamente” finito “fuori” ed “oltre” di Dio. Se mi vedessi come Dio mi vede, mi vedrei “finito” nell’infinito.

Dunque, riconosciamo chi veramente siamo. Lasciamo l’ignoranza di chi siamo, ignoranza barattata per fedeltà alla Bibbia e alla Chiesa.

Noi siamo dall’eternità e per l’eternità splendore della gloria di Dio.

Speculum dei

Tutte le cose sono Dio, perché in Dio.

Non perché vi sono infiniti e piccoli “déi” (panteismo) ma perché tutte le cose rispecchiano l’unico Dio.

Sono il riflesso, l’immagine, dell’unico volto.

Tutte le cose ed ogni cosa è Dio; non perché Dio si moltiplica in tante divinità (panteismo) ma perché lo stesso Dio, il suo stesso essere e pensiero, è riflesso nell’infinità del creato.

Il creato è uno specchio. Nulla “ha” di proprio di ciò che rispecchia, ma “è” tutto ciò che rispecchia. Dio stesso.

Proprio perché il creato è come uno specchio, nella sua essenza il creato è pura relazione-a (Dio).

Ritornando all’immagine della donna, nello specchio non c’è la donna (!) così come nel creato non c’è Dio. Ciò che c’è nello specchio è l’immagine speculare della donna. L’immagine “appare” nello specchio perché lo specchio “riceve” ed “accoglie” la realtà della donna nella sua immagine.

Se questo specchio fosse rotto o completamente opaco, l’immagine “non apparirebbe” ma ciò non vuol dire che non ci sia l’immagine. In un altro specchio “apparirebbe” l’immagine. Lo specchio, dunque, è condizione dell’apparire dell’immagine ma non del suo essere. Lo specchio è condizione dell’esser”ci” dell’immagine.

Questa “ricezione” dell’immagine possiamo chiamarla “somiglianza”. Lo specchio, dunque, fa sì che “ci” sia l’immagine. Senza specchio, nessuna immagine “ci” sarebbe, ma non vuol dire che nessuna immagine sarebbe. Solo la ricezione e l’apparire dell’immagine sono permesse dallo specchio ma non l’essere dell’immagine. L’essere dell’immagine, infatti, non è data dalla ricezione di essa ma dalla presenza della realtà della donna. Senza la donna, nessuna immagine.

Tradotto in termini teologici. Dio (cf la donna) è la sua presenza (= immagine). La presenza di Dio è l’immagine di Dio (genitivo soggettivo). Dio e/è la sua immagine. Una cosa sola con la realtà di Dio benché formalmente distinti.

Dio si rispecchia nel creato dunque è presente ma “vi” è presente solamente quando il creato lo riceve e lo accoglie. L’immagine di Dio (o la Sua presenza) solo “impropriamente” può essere detta l’immagine dello specchio. Questa immagine è solamente la ricezione della immagine di Dio. Cioè è la sua somiglianza.

Quando diciamo che in questa esperienza o persona “c’è” Dio, non si vuol dir altro che questa creatura o situazione contingente creata “assomiglia” all’immagine di Dio. L’uomo Gesù “assomiglia” al Verbo. In lui “c’è” il Verbo, in lui “appare” il Verbo di Dio. Ma Gesù non è il Verbo, così come la somiglianza non è l’immagine. L’umanità di Gesù non è la divinità del Verbo! La presenza di Dio – che è il Verbo/Immagine – “appare” ed “è rivelata” quando il creato lo riceve ed accoglie. Quando nella storia dell’umanità viene percepita, ricevuta e vissuta da “qualcuno”.

Questo “qualcuno” rende presente – possiamo dire “incarna” – la presenza di Dio (genitivo soggettivo).

Verbum caro factum est.