Comunione alle coppie gay?

Si può dare la comunione a chi è in un’unione civile con un partner dello stesso sesso?

È tale unione un peccato mortale “manifesto” per cui secondo il canone 915 del CDC non gli può essere data la comunione? “Non siano ammessi alla sacra comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto”.


Risposta: Come a tutti/e coloro che accedono alla Comunione non faccio lo scrutinio del modo “particolare” in cui credono alla Presenza Reale (con o senza l’uso della parola o il concetto di “transustanziazione”), così ad una persona unita civilmente con un’altra persona dello stesso sesso “presumo” che stia in una relazione in cui l’esercizio della sessualità – benché possa essere presente non necessariamente lo sia – non è “intrinsecamente” ed “essenzialmente” implicito nel concetto stesso di unione civile.


Nel concetto di “unione civile” (a differenza di matrimonio) il significato “procreativo/genitale” non è essenzialmente implicito in quello di “relazione stabile”. Tale distinzione tra “matrimonio” e “unione civile” è fondamentale per un cattolico, perché solo così si evita di venire a identificare “relazione” tra due persone dello stesso sesso con “l’esercizio” della sessualità, cosa che invece nel matrimonio è dato e definisce il matrimonio in quanto tale. Possiamo “fare” l’amore ma non è necessario che lo facciamo perché stiamo insieme e viviamo la nostra relazione. Mentre nel matrimonio, se non “faccio” l’amore non osservo il matrimonio!


Per essere esplicito.

Se io sono in una unione civile con un altro uomo e vado a fare la comunione, e ci vado a far la comunione poiché in coscienza vivo la mia sequela a Gesù nella condizione propria del mio desiderio di amare e di avere una relazione stabile con qualcuno, il prete che mi dà la comunione non è obbligato a pensare che io abbia esercitato “sessualmente” la relazione in cui vivo. Così come il prete non è obbligato a pensare che coloro che si accostano alla comunione abbiano ben chiaro il concetto o l’espressione “transustanziazione”.

Misteri da comprendere

Che hanno in comune Concepimento verginale di Maria, Transustanziazione e filiazione divina?

Tutti e tre rinviano all’epiclesi, l’invio dello Spirito su di una realtà umana. Tuttavia, dobbiamo intendere questa discesa dello Spirito Santo sulla realtà umana (l’uomo Gesù, il pane e il vino, la nostra umanità) non come “trasformazione fisica” ma trans-significazione o disvelamento della realtà di Dio.

Con il concepimento verginale si intende “lo stesso” Mistero della filiazione divina che si ha nel sacramento del Battesimo. Una realtà umana viene ri-significata in un orizzonte divino. Come Gesù, così anche noi siamo stati “concepiti per opera dello Spirito Santo” non nel “seno di Maria” ma nel “seno della Chiesa, nostra Madre”. Come dice Gv 1,12-13: “A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”. Non è un caso che alcuni manoscritti riportano la dizione al singolare di questo versetto: “il quale non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio è stato generato”, riferendolo a Gesù di Nazareth.

Sia di noi che di Gesù è disceso (EPICLESI) lo Spirito Santo e ci ha inseriti in un orizzonte più ampio della realtà, anzi nell’orizzonte della realtà stessa che è DIO. Come l’orizzonte del mondo è coglibile con la ragione, così l’orizzonte di Dio è coglibile con la fede, nello Spirito Santo. Ma tale “discesa” ( = EPICLESI) non “altera” la realtà fisica del mondo ma la inserisce in un orizzonte più ampio: l’orizzonte di Dio.

È lo stesso che avviene nel mistero eucaristico. Il pane e il vino “diventano” corpo e sangue di Cristo ma non c’è alcuna trasformazione “fisica” delle molecole chimiche del pane e del vino. Il mutamento non è della fisicità (delle specie, che rimangono tali!) ma della sostanza del pane e del vino. Ma che cosa è la “sostanza” se non la realtà “più ampia” di “questo” pane e di “questo” vino?

Sì, sostanza = realtà. Dunque, nell’epiclesi dello Spirito questa realtà “fisica” è compresa in un orizzonte più ampio: quello di Dio. Il pane e il vino “sono” il corpo e il sangue di Cristo. Non è un cambiamento della realtà fisica del pane e del vino, ma un trasferimento del pane e del vino in un orizzonte teologico.

Similmente, va concepito il mistero del concepimento verginale di Maria e della nostra filiazione divina. Non si tratta di un “cambiamento delle leggi di natura” (realtà fisica). Il concepimento di Maria non è di carattere BIOLOGICO così come la transustanziazione non è un evento CHIMICO.

Detto in termini ancora più espliciti. Transustanziazione e Concepimento verginale, l’uno “aristotelice” l’altro “piscatorice”, l’uno filosoficamente l’altro midrashicamente, dicono una realtà “METAFISICA” e non fisica. Parlano della realtà e non dell’apparenza.


Similmente, l’incarnazione del Verbo in Gesù di Nazareth non implica l’alterazione dell’umanità di Gesù (e quindi nostra). Puramente e semplicemente uomo, Gesù è stato assunto in Dio attraverso la discesa dello Spirito (Cristologia dello Spirito o Cristologia dal basso), senza modificarne l’antropologia. Dal punto di vista di Dio (sub specie dei) e quindi dall’eternita, questa discesa dello Spirito è “da sempre” (Preesistenza di Gesù Cristo o Cristologia dall’alto).

Similmente, anche noi “da sempre” siamo figli di Dio nel Figlio di Dio, se ci comprendiamo dal punto di vista di Dio.

Cosa è mai questo “punto di vista di Dio”? È la visione della fede nel suo momento di identità “intenzionale”. Cioè comprendere il mondo e noi stessi “in Dio, nell’orizzonte di Dio”. Tuttavia, Dio è ancora un orizzonte (eccedente quello del mondo) in cui il mondo viene compreso.

La visione della fede nel suo momento di identità “reale” sarà quando comprenderemo il mondo e noi stessi non più “in Dio” ma “come Dio”, pura teofania, “cieli e terra nuova”. Allora saremo come colui che contempleremo. Una cosa sola con Dio. La “nostra” visione coinciderà con la “visione di Dio”. Ci vedremo così come siamo visti.

L’Eucarestia è il Sacramento che ci abitua “in itinere” a questo esercizio di visione. Maria di Nazareth è colei che ha iniziato tale esercizio su di sé (διετήρει πάντα: Lc 2,51).

Un vescovo dice sì alle benedizioni

Lettera alle parrocchie del vescovo Franz-Joseph Overbeck di Essen (Germania),

La lettera della Congregazione per la dottrina della fede sulla questione della benedizione delle unioni omosessuali sta suscitando reazioni dentro e fuori la Chiesa cattolica. Ho ricevuto molti feedback da moltissimi credenti impegnati e soprattutto da pastori che sono indignati per la valutazione dell’omosessualità espressa in questa lettera. Le persone con un orientamento omosessuale si sentono offese e ferite. Le reazioni molto massicce all’interno della nostra diocesi, in Germania e oltre, mi toccano moltissimo. Diventa più che chiaro che la semplice ripetizione della precedente posizione del Magistero e della sua valutazione dell’omosessualità in base alla legge naturale non è più compresa e nemmeno più accettata ai nostri giorni. Al contrario: sta accelerando la drammatica perdita di credibilità e plausibilità della morale sessuale cattolica, anche tra i credenti con i più stretti legami ecclesiali. I tanti segnali pubblici delle parrocchie e soprattutto di molti pastori esprimono un aperto rifiuto delle posizioni del Magistero, che non può più essere ignorato.

L’insegnamento della Chiesa richiede quindi con urgenza una visione più ampia della sessualità umana. I progressi nell’apprendimento e nella conoscenza degli ultimi decenni nel campo di molte scienze umane e, ultimo ma non meno importante, le esperienze della pastorale quotidiana devono essere integrati molto più profondamente nell’insegnamento della Chiesa rispetto a quanto accadeva prima. Con tutto il rispetto per la Sacra Scrittura, il Magistero e la Tradizione, l’obiettivo qui è quello di intendere i segni dei tempi, che, fin dall’inizio del cristianesimo, aiutano a comprendere l’intera tradizione come un evento vivente. Risposte semplici, inequivocabili e senza tempo raramente rendono giustizia alla vita umana e alla storicità di ogni conoscenza. Non dobbiamo quindi soccombere alle tentazioni fondamentaliste nella Chiesa. Vi ricordo anche espressamente le importanti informazioni provenienti dalla ricerca scientifica sulla violenza sessuale, che attira con urgenza l’attenzione sul fatto che anche una visione ristretta della sessualità umana fa parte del terreno fertile per la terribile storia di abusi nella nostra chiesa.

Apprezzo la raccomandazione del nostro Papa Francesco, che sottolinea ripetutamente, ed invita a promuovere discernimento, su tutte le questioni della vita, assumendo prospettive diverse e astenendosi da giudizi e valutazioni affrettati. L’atteggiamento di fondo si basa sul fatto che la presenza di Dio si manifesta in tutti i tempi e in tutte le situazioni della vita, e realizza dovunque ciò che è veramente buono e umano. Ciò accade soprattutto in tutte le relazioni – rispettose e amorevoli – che le persone intrattengono tra loro.

C’è bisogno di una rivalutazione seria e profonda dell’omosessualità nella nostra chiesa, in modo che possa giungere alle molte persone con un orientamento omosessuale una liberazione da immense storie di sofferenza, passate e presenti. Moltissimi di loro portano – insieme ai loro familiari – innumerevoli ferite che non sono ancora guarite. Questo cambiamento è atteso da tempo, e deve prodursi anche indipendentemente dalla delicata questione del riconoscimento ecclesiale delle relazioni e delle unioni tra persone dello stesso sesso.

Il Concilio Vaticano II dice di un simile approccio: “Chi, con modestia e tenacia, cerca di indagare i misteri della realtà, anche se non ne è consapevole, è guidato dalla mano di Dio che porta tutta la realtà e la inserisce nella propria essere” (GS 36). I gay cristiani capiscono che le loro vite sono giustamente considerate una sequela di Cristo e si realizza in relazioni di amore fiducioso e reciproco.

Ecco perché il desiderio di benedire queste relazioni mutue rimane comprensibile, perché vogliono rispondere liberamente e responsabilmente alla formazione della propria vocazione battesimale nella vita della chiesa. Nel citato documento vaticano, questa possibilità è totalmente rifiutata al presente.

Molte attuali scoperte teologiche e delle scienze umane, ma anche la fede testimoniata da credenti, vanno in una direzione diversa. È necessario riconoscere la persona nella sua interezza e considerare la sua sessualità al di fuori di questa realtà personale. La sessualità è una parte inseparabile della sua identità, soprattutto quando le persone vivono la propria sessualità in modo responsabile e con assoluto rispetto della dignità dell’altro nelle relazioni.

In questo contesto, la nostra situazione attuale, caratterizzata da tensione, deve essere vissuta come un mandato e un incentivo a continuare a cercare modalità e concetti appropriati nella cura pastorale che aiutino i cristiani omosessuali a rimanere in contatto con la nostra chiesa perché come battezzati sono parte di essa.

Le celebrazioni di benedizioni di coppie omosessuali svolgono soprattutto un ruolo importante in questo contesto e queste sono la risposta alla cura pastorale delle persone colpite.

Bene-dire il bene di una vita non assomiglia a un matrimonio, ma è un segno di accompagnamento, ed è “nel nome della chiesa”, in quanto Dio è presente in questa relazione. Non dobbiamo rompere questa “porcellana delicata” nelle persone credenti, ma piuttosto rafforzarle nelle loro relazioni fruttuose e benefiche.

19 marzo 2021

Oltre la devozione della Passione

La passione è davvero il mistero di tutti i misteri, il cuore dell’esperienza di fede cristiana. Con la parola “passione” intendiamo gli eventi che mettono fine alla vita terrena di Gesù: il suo tradimento, il processo, l’esecuzione su una croce e la morte.

Lo spettacolo di un uomo innocente e buono distrutto dai poteri di questo mondo è un’esperienza umana archetipica. Suscita i nostri sentimenti più profondi di rimorso ed empatia (e se siamo onesti, anche le nostre ombre più profonde). Questo spettacolo – “Tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo” (Lc 23,48) – è stato usato per suscitare rabbia e trovare un capro espiatorio. È stato usato per alimentare l’antisemitismo, per indurre sensi di colpa – “Cristo è morto per i tuoi peccati” – e per suscitare devozione, molte volte in maniera fanatica.

Ma cosa ci vuol dire la passione di Gesù ? È fondamentale – in tal senso – leggere la vita di Gesù come un sacramento, che comunica la grazia attraverso la sua narrazione. Ciò che la grazia vuole produrre in noi – così come in altri sacramenti – non è quello di suscitare “emozioni” di empatia ma di creare una capacità.

Gesù non è particolarmente interessato ad aumentare in noi la percezione delle nostre colpe o sentimenti di devozione, ma piuttosto ad approfondire in noi la capacità personale di trasformarci in “Cristo”, divenendo così “una cosa sola” con il Mistero.

La via che Gesù ha percorso è precisamente quella che ha liberato in lui pienamente le risorse di trasformazione vitale. Gesù ha modellato la sua vita ed è passato attraverso la cruna dell’ago per compiere “l’unica cosa necessaria”: morire a se stessi. È la stessa “via” che ciascuno di noi può percorrere, per giungere alla resurrezione e alla trasformazione.

Gesù ci mostra come crescere oltre gli istinti di sopravvivenza del nostro cervello animale e del nostro sistema operativo “egoico” per trasformarli in una mente universale: nella mente di Cristo (νοῦς τοῦ Χριστοῦ, 1Cor 2,16).

Qual è il significato della passione? Prima di tutto, non c’entra nulla l’ira di Dio. Di nuovo: Dio non era adirato! Quante volte anche nella devozione di tanti santi e sante si è fatta strada l’idea che Dio si è talmente stancato dei peccati e delle colpe del popolo d’Israele che alla fine ha riversato la sua ira. “Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti velenosi i quali mordevano la gente e un gran numero d’Israeliti morì. Allora il popolo venne a Mosè e disse: ‘Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; prega il Signore che allontani da noi questi serpenti’” (Num 21,6-7). Se non sempre serpenti, Dio ha chiesto “regolarmente” un sacrificio d’espiazione. Ma ovviamente questa interpretazione trasformerebbe Dio in un mostro.

Come può Gesù, che è amore, irradiare e riflettere un Dio che è principalmente un mostro? E come possono i cristiani, che seguono la via dell’amore, accettare di vivere sotto un regime “religioso” di terrore? No, dobbiamo seppellire una volta per tutte questi spettacoli di paura e punizione. Sì, è vero. Fin dall’infanzia sono stati indotti in tanti di noi per tenerci buoni e da adulti per tenerci “dentro” al sistema politico e religioso.

Ma lassù nel cielo e quaggiù sulla terra non è il Dio Moloch che ci libera. Non è il Dio torturatore che libera i propri “prigionieri” sacrificando il proprio Figlio.  Solo l’amore è in attesa di liberarci. In questo 700° anniversario della morte di Dante Alighieri va ricordato che è solo “l’amor che move il sole e l’altre stelle”– come recita l’ultimo verso della Divina Commedia (Paradiso, XXXIII, v. 145) – che vuole risvegliarsi in noi nell’ascolto dei racconti della passione di Gesù: né per suscitare in noi devozione verso “Gesù sofferente e crocifisso”, né per generare in noi sentimenti di colpa per i nostri peccati. Ma perché in noi sia risvegliato l’amore che ci fa amare i fratelli e le sorelle. “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli” (1Gv 3,14).