
“I miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore.
Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is 55,8-9)
Gesù era stato formato da questa citazione di Isaia, che insegna agli ebrei l’umiltà davanti al mistero di Dio (cf Qoh 3,11; Gb 11,6; Sal 139). Quando presumiamo di sapere tutto, diventiamo molto arroganti e tiriamo diritto per la nostra strada senza prestare attenzione alle persone. Quando sappiamo, invece, di non sapere tutto, siamo molto più preoccupati ad avere un atteggiamento umile e amorevole. Chi conosce Dio, è sempre umile e porta con sé sempre un po’ di humor ed è consapevole di sé. Non è troppo sicuro di sé… che è diverso dall’aver sempre fiducia infinita nella grazia che lo pervade sempre e dovunque.
Quando parliamo di Dio e di cose trascendenti, tutto ciò che possiamo fare è usare metafore, simboli: cioè abbiamo della segnaletica che ci indica verso dove andare. Però, sappiamo che questa segnaletica non è la meta. Nessun linguaggio è adeguato per descrivere la trascendenza. Come dice San Giovanni della Croce: dobbiamo mettere un dito sulle nostre labbra per ricordare a noi stessi che Dio è indicibile e ineffabile. Oppure, condividendo la tradizione ebraica, non dobbiamo nemmeno pronunciare il nome di Dio (YHWH).
Come ricorda Rainer Maria Rilke, le persone che trovano ciò che cercano sono di solito quelle che prendono molto sul serio la loro ricerca e le loro domande, più che essere assolutamente certe delle loro risposte.
Il cammino è la sapienza, non la meta del cammino. Il cammino è il divino in noi. “Gesù dice a Tommaso: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). Il divino in Gesù è Via, cioè cammino, pellegrinaggio, processo, itinerario, progresso e trasgressione. Una Via che è dis-velamento (ἀλήθεια, alètheia, è una parola greca che significa: ἀ-λήθεια, toglimento del velo, emergenza di ciò che è nascosto: rivelazione, dunque verità.
La verità è nascere: venire alla luce, dall’oscurità (ignoranza) alla luminosità del vero, della luce, di Dio (deus, da dies, giorno, mattino). Affermando che “Io sono” … la via, la verità e la vita, Gesù ci dice che questo cammino che porta alla vita, poiché ci fa nascere e svela sempre più – percorrendo il cammino – il segreto dell’eternità che costituisce ogni persona. “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore” (Gv 14,2). amminiamo verso la casa del Padre. In tedesco “casa” – nel suo significato di focolare e di intimità domestica – si dice Heim. La parola “Mistero” in tedesco è “Ge-heim-nis”. Il cammino di verità, un percorso vitale e che dà vita in abbondanza, ci avvicina sempre più a casa: il Mistero (Geheimnis).
Per parlare di questo Mistero, la Bibbia, nella sua interezza, trova un ottimo equilibrio tra il sapere e il non sapere, tra l’uso delle parole e l’umiltà delle parole. Purtroppo nel cristianesimo molto spesso questo equilibrio si è perso, sentendo sempre più il bisogno di parlare con dogmi assoluti e definizioni incrollabili. Mossi più dallo zelo di affermare tutta la verità, la Chiesa (Magistero, teologici, preti e laici, a diverso titolo) si sono lasciati guidare più dal bisogno di sicurezza che dalla nostalgia della casa-Mistero.
All’inizio del cammino di fede – specialmente per coloro che hanno avuto una conversione in età adulta – il bisogno di chiarezza, certezza e identità, è visto come segno di “stare-nella-fede”. Tuttavia, questo bisogno deve essere bilanciato dal desiderio che chiamerei “mistico”. Quanto più ci si avvicina a casa, al focolare familiare, tanto più diminuisce la necessità di “parlare”, “discutere” e “definire”. Gli amanti tra loro, e chi ritorna a casa dopo un lungo viaggio ciò che riempie lil cuore è semplicemnete guardarsi e stare lì presenti l’uno all’altro. La radice “greca” di “Mistero (μυστήριον), trae origine da μύω (myō) o μυεω (myeō) che significa: sto chiuso o mi chiudo. Seguendo questa etimologia, il mistero è come un bocciolo che si dischiude dall’interno (non posso aprirlo dall’esterno con forza, se lo faccio si sfalda e si rompe). L’accezione più diffusa della parola “mistero” significa ciò che è inspiegabile o inaccessibile alla comprensione, alla conoscenza, alla ragione umana, in quanto ne va oltre, e che quindi, costituisce un segreto. La rivelazione, aprirsi del mistero (= bocciolo), indica non solo il segreto, l’aspetto proprio del mistero che è chiuso in se stesso, diremmo noi “trascendente”, ma l’atteggiamento “mistico”, dal verbo greco μύω (myō), che indica anche lo “star zitti, chiudere le labbra”. Il mistero sboccia, si rivela nel silenzio amorevole: “L’orazione di silenzio o di quiete è un semplice ed affettuoso sguardo a Dio, un’amorosa attenzione alla sua presenza, ed un dolce riposo dell’anima in Lui” (Louis Lallemant SJ, La dottrina spirituale).
È necessario quindi un continuo bilanciamento tra conoscenza catafatica o affermativo (sapere su Dio, parole su Dio, metafore, simboli e concetti) e conoscenza apofatica o negativo (non-sapere su Dio, abbandonando ogni parola-concetto-immagine, restando in silenzio) Entrambe le forme (catafatico ed apofatico) siano necessarie e devono stare insieme. Dio (deus/dies) è come la luce del sole che illumina gli oggetti: le parole, i concetti, le immagini e le metafore su Dio, compresa la Sacra Scrittura, sono ciò che noi conosciamo come “oggetto”, ma sono sempre parole umane su Dio che riflettono la luce di Dio. Come gli oggetti, illuminati dal sole, danno ombra, così anche le nostre parole, concetti, immagini e metafore su Dio proiettano le loro ombre in noi: sono quell’aspetto ambiguo che ogni conoscenza catafatica di Dio porta con sé. La conoscenza apofatica o negativa ci permette di volgere la nostra attenzione dalle nostre parole, concetti, immagini e metafore su Dio (comprese quelle della Sacra Scrittura), dagli gli oggetti illuminati verso la luce: diventare consapevoli della Luce, piuttosto che degli oggetti illuminati. “Lo Spirito Santo scenderà su di te [Maria], su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo” (Lc 1,35). “Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla” (Atti 9,8) .
Nel paziente ed umile equilibrio tra conoscenza catafatica e conoscenza apofatica di Dio possiamo procedere, camminando, nella conversione e trasformazione dal nostro bisogno di certezze e di perfetta conoscenza su Dio verso la realizzazione piena del desiderio di Dio, ritornando così a casa, nel Mistero di Dio (Geheimnis). “Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto” (1Cor 13,12).