“Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore. La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!” (Mt 6,19-23)
Sembrerebbe che sia in terra che in cielo l’uomo sia chiamato ad accumulare.
Perché accumuliamo?
Accumuliamo poiché “abbiamo paura” di non avere a sufficienza. Abbiamo paura di non avere, di non essere.
Non ho, dunque accumulo; non sono, dunque accumulo.
Questo “ammucchiare” cose, esperienze, pensieri, immagini e sensazioni; questo “avere di più” per “essere di più” è connesso alla “paura”. Ho paura di non avere e di non essere.
Devo aggiungere qualcosa a chi sono ed ho.
Se ho qualcosa, sono qualcuno.
Se sono questo e/o quello, allora sarò particolare e singolare. Sarò un essere speciale.
Se non ho qualcosa; se non sono questo e/o quello, allora non sono un essere speciale.
Sono un nulla. Non sono e non sarò più.
Terra e cielo rappresentano due modi alternativi di vivere. Come “carne” e “spirito”.
Non solo con i beni terreni o con i pensieri mondani, ma anche con i pensieri soprannaturali e cosiddetti spirituali, con i beni celesti, siamo “terreni” e “carnali”.
Se Gesù avesse detto semplicemente di cambiare l’oggetto del nostro accumulare – da materiale a spirituale, da mondano a spirituale – continueremmo ad avere paura. Forse non sono più di tarma, ruggine e ladri, ma certamente sarebbe Dio e il suo Cristo da temere.
L’inquietudine rimarrebbe.
L’affanno di accumulare grazia, sacramenti, indulgenze e salvezza da Cristo, sarebbe ancora lì a dirci che non siamo “beati” poiché il nostro cuore non è ancora “puro” e i nostri occhi non ancora “chiari” per vedere Dio.
È evidente che accumulare tesori sulla terra è un’impresa inutile, perché tutto passa e se ne va.
Lo vediamo e lo sappiamo tutto questo. Ma siamo ingannati in continuazione. Siamo stupidi.
I tesori se sono della terra passano: cioè vanno e vengono.
I tesori se sono della terra per loro natura non “restano”.
Non restano poiché sono apparenza.
È dell’apparenza avere tarma e ruggine, cioè essere segnata dal “non essere”.
Il tesoro del cielo non passa: non va e viene, non è qualcosa che è, e poi dopo un po’ non è più.
Il tesoro del cielo “resta”, semplicemente “è”.
Il tesoro del cielo è eterno. Non è mai nato e mai muore.
Ma chi è mai questo tesoro del cielo? Ce lo dice chiaramente Gesù: “dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”. Il tesoro è il cuore, e il cuore – per l’antropologia biblica – è il centro non solo dell’attività spirituale, ma di tutte le operazioni della vita umana. “Cuore” ed “anima” sono spesso usati in modo interscambiabile.
Accumulare per noi tesori in cielo, dove nulla passa ma tutto è eterno, e dove non c’è nulla da temere – né ladri, né morte, né Dio – significa “tesorizzare il tesoro”, cioè riconoscere chi siamo.
Dove c’è il tesoro, lì c’è il nostro cuore.
Dove c’è il cuore, lì c’è Dio.
Dove Dio è, lì noi siamo.
Dio è nel fondo dell’anima. “Noi siamo Dio”.
Così come Santa Caterina da Genova, nel suo Trattato Sul Purgatorio diceva:
“Il mio ‘io’ è Dio; non conosco altro che il mio Dio; Sono così posta e sommersa nella fonte del suo immenso amore, come se fossi nel mare tutta sott’acqua e in nessuna parte potessi toccare, vedere né sentire, se non solo acqua”.
“Tesorizzare il tesoro” significa “riconoscere chi siamo”.
Non siamo né qualcosa né qualcuno. Siamo Dio.
Dal cuore e tesoro, Gesù passa ad un’altra l’immagine: quella dell’occhio e del corpo.
“La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso”.
Invece di “cuore”, ora Gesù parla di “corpo” ma sta sempre parlando della creatura nella sua interezza. Gesù ci sta dicendo che c’è un legame essenziale tra occhio e corpo, e ancor più tra luce ed occhio.
Quanto più luce, tanto più la pupilla dell’occhio si contrae e riceve la luce.
Dio è luce (da dies/deus: luminoso).
Quanto più l’anima/corpo riceve Dio che è la luce dentro di sé, tanto più diventa ciò che vede.
“Se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso”.
“Quand’egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com’egli è” (1Gv 3,2).
Quando l’occhio si chiude alla luce che lo abita da sempre, dunque non è più chiaro, si oscura e tutto il corpo sarà tenebroso.