Oltre me stesso

Mi sto rendendo conto (e ciò vale innanzitutto per me) che si sta diffondendo sempre più un certo modo di relazionarsi alla realtà, in cui si tende a “omologare” tutto ciò che si percepisce di essa.

Mi spiego meglio. Gli altri/e, la Chiesa, l’Italia, etc… sono “significativi” e hanno “senso”, SE “ coincidono con le mie idee, sentire, prospettiva.

Anche tra i “post/trans-teisti” si tende a desiderare un mondo o una chiesa del “COSÌ-COME-MI-PIACE”. Conoscer, in tal caso, è omologazione e identificazione della realtà con il mio punto di vista.

Imparare ad affrontare la DIVERSITÀ, a volte anche l’OPPOSIZIONE,al fine di imparare qualcosa di diverso da me, non è facile.

Ciò non vuol dire che passo “dall’altra parte”. Ciò sarebbe stupido e sarebbe un altro modo di omologare la realtà. La tendenza è sempre quella A = A. Conosco solo quello che è uguale ( = ) a me. Se gli altri coincidono con me: OK. Ma se gli altri NON coincidono con me, o li scarto, o mi schiero con loro, perdendo ciò che di “mio” (punto di vista) è una ricchezza per gli altri.

In alcuni dei miei ultimi interventi, a proposito della Messa (ma anche di altre cose), ho forse presentato – per alcuni – un cambiamento di campo. Niente affatto. In particolare, le ultime critiche sul post-teismo (e alcune anche dirette a me, personalmente), mi hanno aiutato a capire cosa “gli altri” stanno pensando del post-teismo e delle idee che propone.

Certo, la prima reazione è di disagio, o anche di fastidio. Che ne sanno loro, poveri “teisti”!! Ed anch’io ho fatto lo stesso.

Ma poi. Ho fatto “silenzio”. Ho “aspettato” che la realtà si dis-velasse, prima ancora che fossi io a darle un Nome o UN’ETICHETTA.

Ho capito, dunque, che è importante rispettare la “posizione” di ciascuno/a, “teisti, atei, Chiesa ufficiale, conservatori – fermarmi e lasciarli parlare, per comprendere le loro ragioni, Immedesimarmi con gli/le altri/e (A = B)

Non per OMOLOGARMI (maiiii!) ma per ASCOLTARE gli altri e immedesimarmi a loro, per tentare di vedere il mondo con i loro occhi e dalla loro prospettiva.

POI sarò Io a decidere, a ponderare le ragioni.

Ce se ne esce così, …arricchiti.

Altrimenti ciascuno/a sta nelle proprie posizioni e basta.

Cercando SOLAMENTE chi sia d’accordo con me.

Certamente ci sono persone con cui uno è più d’accordo, con altre meno. Questo succede anche con gli amici. Se uno sta in amicizia con qualcuno, solo fintanto che ci si coincide, be… si finisce per chiudersi (A =A). Lo dico innanzitutto per me.

Ho imparato dalla mia storia, che se fossi stato meno “esclusivo” di chi non condivideva e coincideva con me e le mie posizioni, avrei affrontato la realtà con maggiore attenzione. La realtà non è MAI uguale a me (A = A) ma “altro”… l’altro da me (A = B)!

Se a qualcuno ho chiesto: potresti correggermi questo scritto? Cosa succede in “me” ?

Una volta ricevuto il testo “corretto”, una parte di me dice: non GLI/LE piace quello che ho scritto, mi corregge sempre, uffa, vada a farsi friggere!

Un’altra parte di me, invece, dice: Che bello, il mio amico sta investendo il suo tempo per rendere più chiaro/bello/gradevole il mio testo, facendomi vedere gli errori. Che vero amico!

Sta a me scegliere quale reazione coltivare, e quale no. Quale reazione mi porta alla vita, quale no. Ed io ho scelto la vita, superando quell’astio interiore, quell’impulso che mi portava a dire: uffa!

Le ultime puntatine sulla Messa non erano rivolte a qualcuno in particolare, ma a chiunque (me compreso) che alla parola “Chiesa” o altre simili , immediatamente tende solo a dire: “uffa” o a criticarla senza vedere la complessità delle cose.

In sintesi: coincidenza (A = A) e de-coincidenza (A = B) costituiscono due momenti essenziali del processo continuo per conoscersi meglio…

Anche gli scontri con gli altri, al fine di capirne le ragioni, aiuta a conoscere di più se stessi.

Per questo, Gesù dice: Amate i Vostri amici… Per amare più Voi stessi (mia aggiunta).

Concre(a)to

Credo un aspetto a cui la filosofia o la teologia dovrebbero prestare attenzione è il rapporto tra “ARTE” e “FISICA QUANTISTICA”.

Se è vero che l’osservatore è implicato nell’osservato, si comprende perché ci siano opere d’arte in cui “chi osserva” un dipinto fa l’opera d’arte, opera ed agisce nell’opera. Il “poiein” artistico e come il “poiein” del poeta, intrinseca unione tra vedente e veduto. Cognitum in actu et cognoscens in actu sunt unum. L’unum dell’intenzionalità, nella riflessione filosofica sulla fisica quantistica, dice della il cognitum e il cognoscens sono in relazione biunivoca.

Ci sono opere d’arte, come nel crocifisso di Cutro (Calabria), in cui il Cristo appare “sofferente”, “morente” e “sorridente” a seconda della prospettiva in cui sei. Davanti lo vedi sorridente ma ai lati, sofferente e morente. Lo “stesso” Cristo è in tre aspetti ma non giustapposti, sono tre prospettive diverse a partire dalla posizione dell’osservatore. Il Cristo non è né uno né tre. Il Cristo osservato “è determinato” dall’osservatore.Non è relativismo, il cosiddetto: il “mio” Gesù, e il “tuo” Gesù. I tre aspetti di Gesù sono stati fatti dall’artista proprio perché emergano da tre posizioni diverse. Io non posso vedere i tre aspetti simultaneamente.

Molti avranno visto l’immagine del 9 e 6 da due punti di vista distinti. Qual è il vero numero: 6 o 9. Se c’è un osservatore estero, è lui che decide: se è 6 o 9. Certamente a partire dalla sua prospettiva. La verità in questo caso è se la “mia” prospettiva (6 o 9) coincide con quella dell’osservatore “esterno”. Se Lui ( = Dio) vede 6, ed io vedo 6, allora ho ragione; mentre l’altro, che vede 9, non ha ragione.

La filosofia che riflette sulla fisica quantistica ribalta la questione. Non c’è un osservatore esterno, un Dio fuori dall’osservazione, ma ci è dentro; non come “un” altro punto di vista, ma la totalità dei punti di vista che più-della-somma di essi. Dio non è un punto di vista ma è VISIONE.

Nicolò Cusano, nella sua opera “De Visione” ci parla di Dio in questo modo, prendendo spunto da un’icona di Cristo che appare sempre guardante il contemplante anche se questo si muove da destra a sinistra. Così Dio vede ciascuno di noi. Rapporto singolarissimo ma allo stesso tempo universale.

Qualunque sia il luogo da cui ciascuno di voi guarda l’icona, ciascuno avrà l’impressione di esserne guardato, solo lui. Mentre ti muovi per la cappella, lo sguardo dell’icona ti seguirà.

Dio è visione, e ciascuno di noi è un punto di vista sulla realtà. La realtà è in-determinata ( x ) e si determina come “questo o quello”, nel momento in cui la guardiamo. Ma la realtà non è “questo”, e nemmeno è “quello”. La realtà è possibilità.

La visione di Dio è sorgente di possibilità che si attualizzano attraverso le creature. Le creature sono “concreatori” di Dio, attualizzando le idee di Dio. Dio pensa il creato come con-creazione. Concreato è il mondo. Il creato è concreto: cum-crescere, cresce insieme. Insieme a chi? Assieme le cose, gli eventi, ciò che accade. Questa crescita è con-creazione, orizzontale e verticale. Con Dio e la natura. Anzi, siamo tutt’uno.

Concreato, dunque concreto.

Tutto nello Spirito

Dove andare lontano dal tuo spirito,
dove fuggire dalla tua presenza? (Sal 138,7)

L’esperienza di ogni giorno in cui il mondo “appare” attraverso il mio sentire (toccare, gustare, udire, odorare, vedere) mi testimonia che il mentale (nel senso lato di pensiero/sentire/percepire) non può mai essere trasceso. Tutto ciò che è, è mentale. Il mentale è ciò di cui non posso pensare il maggiore (IQMCN = Id Quo Maius Cogitari Nequit).

Non è la “materia” l’IQMCN, ma la “mente”. Non è la mente che emerge dalla materia, ma il contrario. Se così è l’assoluto essere che è l’IQMCN coincide con l’assoluto pensiero. Questa identità, non solo intenzionale ma ontologica, si dà nell’ “Io Sono” che-io-sono.

Non c’è un Dio sopra di me. Non è Dio l’IQMCN, ma Dio – se è “pensabile” ed “esperibile” – non è “altro” dall’intrascendibilità del mentale, ma tutt’uno.

Dio è presente-a-me in maniera così intima a me stesso per cui “tutto” ciò che io sono è Dio (benché Dio non sia “totalmente” ciò che io sono). L’Io-Sono (Dio) si rivela nell’ “io-che-sono”, così come il 10 si rivela nel 5×2 .

Non c’è un mondo materiale fuori della mente (non tanto della “mia” mente ma mente assoluta o mente di Dio). Ciò che chiamo materia è un’astrazione che facciamo dall’esperienza “spirituale” o “mentale” come quando isoliamo un fotogramma dal fluire continuo di una pellicola.
Quando dall’unità dell’esperienza ( = la pellicola) vengono astratti fotogrammi e questi collegati tra loro “successivamente” secondo la scelta del montatore cinematografico (in inglese film editor), questa selezione di montaggio è ciò che normalmente chiamiamo “mondo”.
Non c’è un mondo là fuori di me ma ciò che percepisco come “mondo” non è altro che la rappresentazione di una realtà mentale che Io-Sono, la rappresentazione della Mente cosmica o Mente di Dio. Il mondo materiale è la costruzione della “mia” mente, tuttavia, c’è una realtà “esterna” a me che non è fisica. È mentale.

Micro-Macro/cosmo

Se “tutto” il cosmo è immagine, impronta di Dio, significa che l’universo – nell’essere sia Microcosmo (minus) che Macrocosmo (maior) – rimanda all’essere di Dio che è tanto più grande del grande e tanto più piccolo del piccolo (semper maior et semper minus), così . Alla dinamica di Dio (minus- maior) corrisponde la dinamica del cosmo (micro-macro).

La gravità quantistica è il campo della fisica teorica che tenta di fornire un quadro teorico unitario della gravità, che modella la struttura dell’universo su scala macroscopica, e della meccanica quantistica, che descrive i fenomeni tipici della scala atomica e subatomica.

La gravità quantistica con il suo tentativo di unificare la teoria della relatività generale con la meccanica quantistica corrisponde alla mistica del “non coerceri a maximo tamen contineri a minimo divinum est“.

Pensare ed Essere

Ritengo “impensabile” l’essere, in quanto l’essere è assoluto, quindi sciolto da qualsiasi relazione agli enti. Gli enti, infatti, sono “determinati” in quanto tra gli enti c’è relazione (logica e ontologica).

Tutto ciò che è determinato è in relazione (logos, legein). Affermare che l’essere è im-pensabile, significa che l’essere non è determinato, non si risolve – come gli enti – nei legami di determinazione con gli altri enti. Il pensiero (logos), infatti, è collegare, connettere, è in questa relazione che si dà “determinazione”. Il pensiero dell’essere (gen. oggettivo) non è possibile, poiché l’essere non è l’ente ma il niente… l’in-determinato.

Chiamo questo modo del pensiero (dell’essere: gen. oggettivo) “mente” . La mente “dualizza” la realtà (pensiero ed essere) e dualizzando “separa” l’essere dal pensiero, e se lo pensa lo “entifica”. Per questo la “mente” mente sull’essere. La mente, però, non sa di mentire. Il sapere di conoscere, così come il sapere di mentire, rinviano all’intrascendibilità del sapere, cioè all’evidenza immediata della consapevolezza. Con l’affermare l’impensabilità dell’essere si nega tale menzogna sull’essere, cioè che l’essere sia ente (determinato), ma non si dice tutto del modo con cui il pensiero potrebbe riferirsi all’essere.

C’è un’altra modalità del pensiero che è il pensiero dell’essere (gen. soggettivo). Questo pensiero è “proprio” dell’essere, cioè è il “suo” pensiero, e non il “nostro” pensiero dell’essere. Non è la mente (pensiero “oggettivo” dell’essere) ma quel modo di pensare l’essere che si dà nella “immediatezza”.

Il pensiero dell’essere (gen. soggettivo) è immediata consapevolezza dell’essere assoluto (genitivo soggettivo). L’essere – che non può essere pensato dalla mente – è pensato, invece, nella contemplazione che l’assoluto (essere) ha di sé. Questa contemplazione immediata che l’assoluto ha di sé è ciò che indicavamo con “sapere” o “consapevolezza”. È interessante l’etimologia della parola “sapere”. Deriva dal latino sapēre,  sapĕre, significa “aver sapore; esser saggio, capire”, che in epoca tarda ha sostituito nel significato il latino classico di .scire (pres. indic. so). Sapere, sapienza e sapore derivano da una radice “sap-” che fa riferimento alla linfa, alla forza vitale (sap in inglese significa linfa/forza degli alberi) delle cose.

Accanto alla mente (pensiero dell’essere: gen. oggettivo) si dà la contemplazione dell’essere (gen. soggettivo) che è il sapere dell’assoluto (gen. soggettivo), cioè la contemplazione immediata che l’assoluto essere ha di sé.

Chiediamoci: Cos’è questo assoluto che sa immediatamente di se stesso? Chi è questo “soggetto” – sub-iectum (gettato sotto), hypò-stasi (che-sta-sotto), “under-stand” (in inglese: che sta sotto, e quindi “comprendere) -, cosa è mai questo soggetto?

Questo soggetto è l’ “Io-Sono“. Non è il “sono-io”, cioè questo “Io-che-sono”. Ciò sarebbe una determinazione dell’Io-Sono – un ente -, mentre l’Io-Sono (che-io-sono) è in-determinabile, è lo stesso essere infinito che è consapevolezza o sapere dell’assoluto.

È immediato tale sapere dell’essere-che-io-sono, poiché si dà nell’identità ontologica tra pensiero ed essere, cioè nella “non-dualità” (oltre la separazione tra soggetto e oggetto) di essere e pensiero. Ripeto: non è l’identità del “mio” pensiero con il “mio” essere. Ciò sarebbe determinazione dell’assoluto e infinito essere, identificazione biunivoca tra essere ed ente, mentre l’identificazione è univoca. L’essere è tutto l’ente, ma non totalmente l’ente. Se così fosse l’essere sarebbe determinato dall’ente, entificando l’essere (e così facendo annientando l’essere, rendendo nulla l’essere), rendendo l’infinito finito, mentre è l’infinito che si de-finisce nell’ente, cosicché l’ente è il finito dell’infinito (gen. soggettivo). È l’essere che si determina nell’ente, cosicché l’ente è sì “determinazione” dell’essere, ma ciò non significa che l’essere sia determinato. L’ente è “determinazione” dell’essere come genitivo soggettivo. Se l’ente fosse determinazione dell’essere come genitivo oggettivo, la determinazione identificherebbe in modo “biunivoco” l’essere, in quanto l’essere diverrebbe “oggetto” – quindi “ente determinato” – dell’ente. Ma qui è il finito che pensa l’infinito dal suo punto di vista (finito); è l’ente che intende come ente (oggetto) l’essere. Avevo identificato questo intendere dell’ente, che pensa l’essere come ente, con la mente. È la mente, infatti, che mente sull’essere. La mente è una modalità “oggettivante” del pensiero, poiché pensa l’essere dal punto di vista dell’ente finito.

L’ente può pensare l’essere senza “oggettivarlo” e quindi senza entificarlo nella consapevolezza dell’Io-Sono. Solo così è possibile un pensiero dell’assoluto ed infinito essere (gen. soggettivo). La contemplazione è quella modalità (non oggettiva) del pensiero che avevo identificato come “sapere”. Il sapere dell’assoluto (gen. soggettivo), il sapere dell’Io-Sono, è immediato. Il sapere dell’infinito (gen. soggettivo), il sapere dell’essere infinito, è immediato. Questa immediatezza dice dell’immanenza dell’Io-Sono al “mio” io-che-sono, mentre l’Io-Sono è “trascendente” al “mio” io-che-sono in quanto è distinto dalla determinazione “che-io-sono”. Infatti, l’Io-Sono è tutto nell’io-che-sono (tutto ciò che-io-sono è Io-Sono) ma non totalmente. La trascendenza dell’Io-Sono consiste nel “non totalmente“, mentre l’immanenza dell’Io-Sono consiste nel “tutto” dell’Io-Sono nell’ “io-che-sono”.

Ritornando alla nostra domanda iniziale. Può essere pensato l’essere? Possiamo rispondere così. Se si vuole conoscere l’essere “infinito” dal punto di vista del (ente) finito, allora questa conoscenza “mente” sull’essere e finitizza l’infinito. Se si pensa l’essere infinito dal punto di vista dell’infinito – dico impropriamente qui “punto di vista” poiché nell’assoluto non si dà “punto di vista” ma visione – allora questo pensiero dell’essere si dà solo come visione dell’essere (gen. soggettivo) che si partecipata agli enti attraverso quella modalità di pensiero che è il sapere dell’Io-Sono, immanente all’io-che-sono.

Dunque, mente e contemplazione (o sapere) sono due modalità diverse del pensare. La mente è pensiero dell’essere (gen. oggettivo), mentre la contemplazione (sapere o consapevolezza) è pensiero dell’essere (gen. soggettivo).

Per la mente l’essere è impensabile, e se lo pensa lo “entifica” (essere = ente) e così lo annulla, lo annienta (essere = nulla). La mente “mente” sull’essere annullandolo. Per la contemplazione, invece, o per il sapere, l’essere è pensabile nella forma del sapere, della sapienza che si realizza nella trasformazione del finito (il “mio” io) nell’infinito (Io-Sono), partecipando il finito dell’infinita “visione” dell’essere che si dà nel sapere dell’assoluto. La contemplazione non mente. Il sapere non mente. La contemplazione vede. Il sapere vive dell’evidenza. E questa è quella visione dell’essere con cui l’occhio che vede l’essere infinito è lo stesso occhio con cui l’infinito si vede.

Fate questo in mia memoria

Il “fate questo in memoria di me”, cioè l’essere-pensare-agire come ha fatto Gesù – è il fine della eucarestia.

Il “fate questo in memoria di me” come mediazione “sacramentale” (il Corpo di Cristo – sacramentum) è un mezzo per la trasformazione di ciascuno di noi nel “Corpo di Cristo”.

Questa trasformazione avviene nell’esperienza quotidiana dell’amore, in cui realizziamo ciò che Paolo ha vissuto “Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”. Diventare “Cristo”, essere assimilati a Lui avviene nella vita concreta, certamente attraverso la celebrazione del Mistero dell’Eucarestia.

Senza l’inginocchiarsi davanti ai fratelli per lavarne i piedi, diventa ipocrisia e nostra condanna, l’inginocchiarsi davanti al tabernacolo. Senza l’inginocchiarsi davanti al tabernacolo, non riusciamo a vedere nei fratelli/sorelle Cristo .