La relazione indeterminata all’origine del collasso d’onda.

Cosa hanno in comune la relazione a se stessi e la relazione ad altro?  L’auto-relazione o auto-referenzialità dice del soggetto o della sostanza (A) che si relaziona a sé (A = A) come altro-di-sé. “A” come soggetto si distingue da “A” come copula. L’identità di A con se stesso (A = A) è “auto-relazione” che esprime l’altro come altro-di-sé.

Nella relazione di “A” ad altro-da-sé, invece, l’altro (B) non è un altro come se stesso. È un totalmente altro. È relazione di un soggetto ad un altro (A = B). Queste due identità relazionali (A = A) e (A=B) sono identità relazionali, specificate e determinate da A o B.

A e B determinano il tipo di relazione (Ra o Rb). In comune queste due identità determinate hanno la relazione, ma differentemente specificata o determinata, da A o da B. Ciò che hanno in comune e in entrambe le relazioni è sottesa, è la relazione “in-determinata”, origine di entrambe le relazioni determinate.

La pura relazione non è A = A e nemmeno A = B, poiché in entrambi i casi la relazione viene determinata da A o B. La relazione indeterminata è im-pensabile, poiché il pensare è già e necessariamente duale. Il pensiero pensa attraverso la “determinazione” di un soggetto e un oggetto.  La relazione indeterminata, invece, è prioritaria rispetto ai termini della relazione. Sono questi due termini (A e B) che condizionano e determinano la relazione “indeterminata”. Questa relazione indeterminata è l’origine e fondamento di tutte le cose e fonda le determinazioni. La relazione di “A ad A”, e di “A a B”, sono determinazioni della relazione indeterminata. 

La relazione indeterminata si nasconde nell’identità di (A = A) e di (A = B). Auto-relazione (A = A) ed “etero-relazione” (A = B) determinano l’indeterminata relazione, indicata dal segno dell’uguale ( = ). Infatti, l’identità è un evento di relazione che può avere A o B come sua determinazione. All’origine, quindi, c’è la relazione – che è indeterminata – e questa viene determinata da un sé che pone se stesso come altro (A = A) o da un sé che è (posto da) altro (A = B).

Risulta così evidente che nella priorità della relazione indeterminata si cela un “sé” – dunque una “coscienza” – che determina la relazione indeterminata di origine. La relazione indeterminata è quella di una coscienza che è artefice del collasso della funzione d’onda. La determinazione è un passaggio dalla potenzialità all’attualità, dal nulla (come “vuoto quantistico”) all’essere/attualità: o questo (A) o quello (B). La coscienza della relazione indeterminata, dunque, si esprime come libero arbitrio, determinando il nulla/vuoto: dal ni-ente all’ente.

Coscienza e Spiritualità nel 21° secolo


Coscienza, religione evolutiva, spiritualità del 21° secolo

Il modello di spiritualità evolutiva si basa sulla convinzione che la coscienza umana si evolve, lentamente e in lunghi periodi di tempo. L’evoluzione della coscienza include una lenta espansione della capacità della specie umana di percepire o intuire la presenza della dimensione spirituale della realtà, inclusa una consapevolezza in lenta espansione della bontà e del significato morale.

In quanto tale, l’evoluzione della coscienza funziona come base per l’emergere e l’evoluzione della religione nelle sue molteplici manifestazioni. Il ruolo della coscienza come fondamento della spiritualità e della religione diventa più importante nella nostra cultura post-assiale contemporanea, dove la sensibilità del 21° secolo, che include il riconoscimento degli elementi storici e culturali della religione, ha portato a una graduale perdita di fiducia nell’idea che la religione abbia origine in un atto discreto di rivelazione divina dall’alto verso il basso. Ciò a sua volta porta a una perdita di fiducia nei testi sacri, nelle dottrine e in altri elementi istituzionali della religione tradizionale.

In mancanza di fede negli antichi testi e nelle dottrine che da essi derivano, cosa ci resta come base per la fede? Semplicemente, coscienza. Lasciando andare il nostro attaccamento ai vecchi testi, alle dottrine e alle strutture dell’autorità religiosa, apriamo la possibilità di vedere la straordinaria natura della coscienza, che è sempre proprio lì davanti a noi come fonte di ogni consapevolezza e base per la capacità umana di percepire che esiste un “Qualcosa di più” nella realtà oltre alla semplice materia, energia, spazio e tempo.

Attraverso la coscienza siamo in grado di accedere direttamente, per quanto vagamente, alla presenza di una dimensione spirituale nel Cosmo, compreso il senso di bontà morale e di significato che sono aspetti inerenti di quella dimensione spirituale. Sfortunatamente, tendiamo a dare per scontata la coscienza, poiché è, in un certo senso, abbastanza “ordinaria”, poiché funziona come base sempre presente per i compiti banali dell’esperienza sensoriale quotidiana: vedere una roccia, assaggiare una mela, ascoltare il cinguettio degli uccelli, annusare il fuoco fumante, sentire il calore del sole. In effetti, la piena portata delle esperienze umane di veglia e di sogno è possibile solo attraverso la nostra coscienza. Essendo qualcosa (esattamente ciò che è un po’ un mistero) che è sempre presente con noi, la diamo per scontato piuttosto che riconoscere che è assolutamente straordinaria e il fondamento necessario per la nostra capacità di spiritualità. Ci sono due modi principali in cui la coscienza funziona come fondamento della religione:

1. La coscienza smentisce il materialismo/fisicismo, e quindi apre la possibilità di una prospettiva spirituale anche per coloro che non trovano più la fede tradizionale essere credibile

2. La coscienza è la facoltà attraverso la quale gli esseri umani hanno accesso intuitivo alla consapevolezza del significato trascendent/ale e del valore, o, in altre parole, la consapevolezza della coscienza spirituale confuta il materialismo

Il pensiero del XX secolo era dominato dall’accettazione acritica del materialismo riduttivo, che ingenuamente sosteneva che tutta la realtà potesse essere spiegata e ridotta a una componente materiale. Nella sua forma estrema, i materialisti negavano semplicemente che la coscienza esistesse (il che è un’affermazione piuttosto peculiare, dato che sembrerebbe essere il caso che qualsiasi affermazione di un essere umano sia un atto di coscienza, persino l’affermazione che nega l’esistenza della coscienza).

La coscienza era vista come nient’altro che una proprietà emergente dell’attività elettrochimica del cervello. Da questo punto di vista la coscienza non era niente di speciale: è solo ciò che si ottiene quando i neuroni raggiungono un certo livello di complessità, come accade nel cervello umano.Ma questa posizione è stata seriamente contestata sia nei circoli scientifici che filosofici, come esemplificato da ciò che David Chalmers ha coniato il “problema difficile” della coscienza.

Chalmers si riferisce all questione di come correlare l’attività cosciente con gli eventi cerebrali. È un problema, nel senso che stiamo ancora lavorando per sviluppare una piena comprensione dei correlati neurali della coscienza (NCC), ma è un problema “soft” nel senso che, almeno in teoria, sembrerebbe essere il caso che, dati dispositivi medici di scansione e simili sufficientemente sofisticati, e dato tempo sufficiente per continuare la ricerca, ci sono buone ragioni per credere che alla fine saremo in grado di comprendere in modo completo la correlazione tra specifici atti di coscienza e specifici eventi fisici nel cervello. E tuttavia, non importa quanto accuratamente e in modo completo mappiamo l’NCC, non abbiamo ancora spiegato la coscienza stessa.

Stabilire che qualcosa accade nel cervello, anche nel momento preciso in cui si verifica uno specifico evento cosciente, dimostra una correlazione, ma non spiega in alcun modo cosa sia la coscienza. La natura della coscienza è così radicalmente diversa dalla sostanza materiale che osserviamo nel cervello che, come suggerisce Chalmers, colmare il divario tra evento cerebrale ed evento di coscienza potrebbe essere un compito impossibile, e quindi il “problema difficile”, nel senso di un problema che potrebbe non essere mai risolto.

In altre parole, la natura effettiva della coscienza è un’esperienza di cosa significhi essere un soggetto conoscente. Potremmo essere in grado di identificare cosa sta accadendo in un cervello quando si verifica quell’esperienza cosciente, ma nel farlo non stiamo in alcun modo descrivendo l’esperienza soggettiva effettiva in sé. Non stiamo sperimentando, neanche in modo remoto, attraverso informazioni sul cervello cosa significhi avere quell’esperienza.

Ciò dimostra ancora una volta il carattere peculiare della coscienza, in quanto non solo non possiamo al momento descrivere in termini scientifici cosa significhi avere un’esperienza cosciente, ma sembrerebbe che la stessa questione di descrivere cosa significhi avere un’esperienza cosciente sia assurda.

Le realtà oggettive, inclusa l’attività nel cervello, possono essere descritte, spiegate, misurate, ecc. da un osservatore esterno. Ma l’esperienza effettiva della coscienza non può essere descritta: può solo essere vissuta. Paradossalmente, l’unica cosa che sappiamo più immediatamente e intimamente è l’unica cosa che sfugge completamente alla spiegazione scientifica. In un certo senso, questa consapevolezza o coscienza che tutti sperimentiamo può sembrare piuttosto banale, proprio a causa della sua comunanza e universalità. Ma vedere la coscienza in quanto tale sarebbe un errore enorme. Quando facciamo un passo indietro e guardiamo alla coscienza, troviamo qualcosa di abbastanza notevole e misterioso. La coscienza, in un certo senso, ci offre un’immediata prova empiricamente fondata dell’esistenza di qualcosa che non è materiale. 

La coscienza dimostra che c’è davvero “qualcosa di più” nel mondo esterno della materia e della forma. La coscienza dimostra che, in questo universo di tale immensa vastità spaziale e temporale inimmaginabilmente, c’è qualcos’altro,e quel qualcos’altro è parte di noi, forse persino l’essenza di ciò che siamo. Quindi questa cosa che diamo per scontata mentre la sperimentiamo giorno dopo giorno, momento dopo momento, è in realtà qualcosa di raro, prezioso e misterioso.Ciò che tutto ciò suggerisce è che la coscienza fornisce una porta verso il riconoscimento che esiste davvero un “Qualcosa di più”, oltre il regno deterministico della realtà materiale descritta dalla scienza.

La coscienza conferma che, indipendentemente dal testo sacro o dalla dottrina della Chiesa, ci sono buone ragioni per credere che, in senso lato, ci sia un elemento “spirituale” nella realtà.

La coscienza fornisce l’accesso al regno trascendente di significato e valore.

La coscienza fornisce una base per una spiritualità post-tradizionale in un altro modo importante: oltre a confermare che esiste una dimensione non fisica nel Cosmo, la coscienza ci fornisce l’accesso alla natura della realtà spirituale . È solo attraverso la coscienza che gli esseri umani hanno la capacità di consapevolezza di vari tipi di esperienza sensoriale: immagini, suoni, sensazioni tattili, ecc. Ma la coscienza non si limita alla consapevolezza delle esperienze sensoriali .

In almeno una specie, quella umana, la coscienza si è evoluta al punto in cui è diventata possibile una consapevolezza degli intangibili, o del contenuto che non è il prodotto immediato di una sorta di stimolazione sensoriale. Attraverso la coscienza, ad esempio, abbiamo consapevolezza di concetti astratti come tempo, spazio, numero e altri universali. Tuttavia, cosa più significativa, la coscienza umana ci fornisce la capacità di accedere alla consapevolezza delle qualità spirituali super-sensoriali, come il valore (bontà morale, amore, empatia, giustizia, equità) e il significato. Come parte dell’esperienza quotidiana, tendiamo a darlo per scontato, ma qui iniziamo a vedere la qualità straordinaria e unica della coscienza come quella che consente alla specie umana di accedere alla consapevolezza di qualcosa che non ha una realtà fisica esterna, tangibile. Attraverso la coscienza, abbiamo la capacità di intuire la presenza di ciò che, in termini tradizionali occidentali, sono dette qualità trascendenti come bontà, verità e bellezza.

Nella tradizione occidentale, lo vediamo nelle forme di Platone; nel pensiero cinese, lo vediamo nella consapevolezza del Dao indescrivibile ma comunque completamente reale e assolutamente fondamentale.Naturalmente, le diverse tradizioni religiose hanno convinzioni molto diverse riguardo al contenuto specifico di questa consapevolezza spirituale, ma si potrebbe sostenere che tali differenze sono prevedibili se si considera la sfida epistemologica di una specie piccola e giovane che tenta di comprendere e articolare qualcosa di questa consapevolezza spirituale. natura.

In effetti, la scuola della Filosofia Perenne (rappresentata da artisti del calibro di Aldous Huxley, Huston Smith e Frithjof Schuon) presuppone che esista un’unità di fondo di quella che potrebbe essere chiamata consapevolezza spirituale intuita, che diventa diversificata solo quando gli esseri umani tentano di articolarne il contenuto attraverso specifiche affermazioni proposizionali.

Tutto ciò ci riporta alla nostra preoccupazione iniziale: cosa c’entra la coscienza con il modo in cui pensiamo alla religione nel XXI secolo? Nella misura in cui la coscienza implica un senso di sé ed è la facoltà che consente al sé di accedere a concetti di significato e valore, il collegamento con la religione è ovvio e lo è sempre stato. La modalità specifica di coscienza che si è evoluta nella specie umana (e forse altrove, ma questo è un argomento da considerare in un altro momento) è quella che fornisce accesso a ciò che può essere ragionevolmente designato come la dimensione spirituale del Cosmo, nel senso che la coscienza umana implica una consapevolezza intuitiva di ciò che siamo, in un Cosmo in cui esistono, come proprietà fondamentali, valore e significato, che non sono intrinsecamente percepibili attraverso una lente strettamente materialista.

C’è davvero Qualcosa di più oltre la materia e l’energia. La religione (nelle sue numerose espressioni) può essere vista come lo sforzo umano di dare un senso e di articolare più precisamente la natura di quel senso di Qualcosa di più coscientemente percepito ma ancora debole in cui hanno origine valore e significato.

Quindi, con riferimento alla nostra considerazione di come pensare alla religione nel 21° secolo, la coscienza è il punto di partenza . Mettendo da parte le scritture che non sono più accettate come la Parola di Dio rivelata in modo soprannaturale, mettendo da parte le dottrine e i dogmi che non sono più accettati come affermazioni infallibili e indiscusse che derivano da quei testi, e mettendo da parte lo status privilegiato delle strutture di autorità religiosa che derivano il loro potere da quei testi e dottrine, ci ritroviamo ancora con una base per una visione spirituale della realtà, e quella base è la coscienza.

Infatti, si potrebbe dire che la coscienza, quando pienamente riconosciuta come la realtà misteriosa e sublime che è, fornisce una base molto più solida per una prospettiva religiosa del 21° secolo rispetto ai testi sacri e alle dottrine della chiesa, in quanto la coscienza è qualcosa che conosciamo in un senso immediato e inconfutabile, mentre i testi sacri e le dottrine richiedono fede in vari modi. In termini semplici e crudi, la coscienza è il punto di partenza del 21° secolo per una visione spirituale della realtà.

George Adams