Critica e risposta al Post-teismo


1. Si perde il Dio personale.

NO, perché Dio è personale in quanto “trans-personale”


2. Si perdono i significati universali di Dio.

NO, perché si continua ad usare la parola “Dio” per indicare il Mistero che è presente in OGNI religione e cultura.


3. Si perde la trascendenza.

NO, perché la vera trascendenza è un concetto relativo. Come dice Nicolò Cusano: Dio non solo è “Altro” (aliud) rispetto al mondo creato; è anche non aliud, non altro, proprio perché Dio è infinito.


4. Si rifiuta la storicità delle scritture.

NO, la storicità delle scritture è “della lettera” e non dello spirito. Lo spirito della Scrittura è l’amore di Dio rivelato in Gesù e noi siamo invitati a divenire “alter Christus”


5. Si è in contraddizione con la tradizione.

NO, la tradizione è in contraddizione se la consideri un museo di definizioni, ma se è una corrente di vita che trasmette la buona notizia di Cristo non si contraddice, poiché la Vita non è una definizione. Lee definizioni si contraddicono. La vita no!


6. Prevale l’interpretazione personale.

NO, l’interpretazione personale è la via d’accesso alla interpretazione di altri e di una comunità vivente. Anche di colui che non crede.


7. Non si risponde alla questione del male.

NO, la risposta alla questione del male nel mondo… sei tu! L’amore di Dio si rende visibile e operante nel Male attraverso di noi.


8. Si perde il contatto con la storicità di Dio.

NO, la storicità di Dio (gen. soggettivo) siamo noi, è l’universo. Dio e il cosmo sono uno, come l’anima e il corpo.

Torres Queiruga e Post-teismo

Stiamo assistendo ad una interessante relazione tra la scienza e la teologia contemporanea, di tale intensità che è alla base della crisi delle interpretazioni tradizionali del cristianesimo. Le prospettive teologiche stanno evolvendo, con un crescente abbandono del paradigma tradizionale, così come sono confessate nel Credo di Nicea e nel dogma di Calcedonia. La visione classica di Dio, e di Gesù Cristo, è messa in questione dalla modernità.

Temi principali trattati nel testo:

  1. Crisi del Paradigma Tradizionale: La teologia contemporanea riconosce l’impossibilità di mantenere letteralmente le interpretazioni dei propri dogmi: Creazione, Peccato Originale, Incarnazione di Dio, Risurrezione corporea di Gesù, Gesù cristo vero Dio e vero uomo, così come viene presentato nel dogma di Calecedonia. Tuttavia, tutto questo non implica una completa negazione della loro validità storica e teologica, ma piuttosto la necessità di reinterpretarli in modo che sia comprensibile e vivibile nel contesto attuale.
  1. Post-teismo e Post-religiosità: Si tratta di una posizione che non nega del tutto il valore religioso del paradigma tradizionale, ma ne mette in discussione il valore teologico. Con valore “religioso” si intende il riferimento al fondamento spirituale della religione. La religione è una costruzione della rivelazione del divino nella realtà (quindi la sua sacralità di Mistero). Questa profondità è al centro, mentre la religiosità ne è solo “una” espressione che evolve lungo i secoli, a seconda dell’evoluzione della coscienza umana. Dunque la coscienza religiosa evolve, mentre la spiritualità umana nel suo centro è permanente. Questa posizione post-teista e post-religiosa è particolarmente presente nel contesto euro-americano di lingua spagnola, e di area anglo-americano. Questa posizione tenta di dialogare con le tradizioni religiose non-duali e con forme di spiritualità atea. Non rifiuta l’apertura alla trascendenza, ma questa viene considerata “debole”, cioè immanente alla stessa natura (physis). Cosa è questa “natura”? È il nome per indicare la realtà dell’Infinito o Mistero che si esprime come “natura naturata” (direbbe Giordano Bruno). Il post-teismo intende superare le forme religiose tradizionali,  pur riconoscendo la necessità di una spiritualità non-duale.
  2. Necessità di Rinnovamento: Torres Queiruga sottolinea l’importanza di un rinnovamento radicale della teologia per evitare un progressivo distacco dei fedeli dalla pratica cristiana e per rispondere alla crisi di credibilità del cristianesimo nella cultura contemporanea. Si critica la resistenza a cambiare e si auspica un dialogo aperto e rispettoso tra posizioni differenti per cercare nuovi orizzonti teologici.
  3. Critiche al Post-teismo: Nonostante il riconoscimento delle sue intuizioni, l’autore mette in guardia contro una certa tendenza del post-teismo a creare una “caricatura” della tradizione teologica, riducendola a un’immagine di Dio come un “Signore onnipotente in cielo”. Questa critica ignora gli sforzi di molti teologi nel reinterpretare la fede cristiana in modi innovativi e profondi.
  4. Dialogo e Convergenze: L’autore auspica un dialogo costruttivo tra i diversi orientamenti teologici, riconoscendo che sia il rinnovamento che il rispetto della tradizione sono necessari. Viene proposto un approccio di “de-costruzione” e “ri-costruzione” della fede che consenta di mantenere viva la tradizione in una forma che parli al mondo contemporaneo.

In sostanza, Torres Queiruga tratta dell’evoluzione della riflessione teologica di fronte alla crisi del paradigma classico, riconoscendo la necessità di trovare nuove modalità per interpretare e vivere la fede cristiana, senza perdere di vista l’importanza della tradizione e della ricerca della verità spirituale.

https://www.religiondigital.org/opinion/Pos-teismo-pos-religion-dialogo-necesario-teologia-paradigma-tradicion-recuperacion_0_2482551741.html

La Mente di Dio e l’evoluzione del cosmo

La concezione della mente cosmica è un elemento centrale nel Monismo Relativo. La realtà è fondamentalmente di natura mentale, cioè Pura Consapevolezza (divina), e ciò che percepiamo come mondo materiale è in realtà una manifestazione di una coscienza cosmica o mente divina. La mente cosmica, in quanto tale, non evolve.

Evoluzione della Mente Cosmica

  1. Natura della Mente Cosmica: La mente cosmica è la base fondamentale della realtà, da cui emergono le menti individuali e le esperienze del mondo fisico. Tutto ciò che sperimentiamo, compresi i processi fisici e l’evoluzione biologica, è una riflessione o proiezione dei processi che avvengono all’interno della mente divina. Tuttavia, la mente di Dio non è un’entità che evolve nel senso biologico tradizionale, ma piuttosto funziona come un sfondo su cui emergono i fenomeni.
  2. Espressione dell’Evoluzione: Sebbene la mente cosmica sia considerata costante e fondamentale, l’evoluzione che osserviamo nell’universo—come lo sviluppo della vita, della coscienza e della complessità—rappresenta l’espansione delle potenzialità contenute nella mente di Dio. L’evoluzione è qualcosa che non cambia la mente cosmica in sé, ma che cambia i modelli o le espressioni che ne derivano. La mente di Dio rimane fondamentalmente la stessa, ma le sue manifestazioni variano nel tempo.
  3. Meta-Evoluzione o Diventare: Benché la mente cosmica non sia un’entità che evolve in modo lineare o progressivo come l’evoluzione biologica, la sua espressione o apparire si dà come un processo di “divenire” o “dispiegamento” della Pura Consapevolezza. Questo significa che la mente cosmica dà origine a forme di espressione sempre più complesse e differenziate, che possono essere considerate una sorta di evoluzione nella diversità e nella profondità dei fenomeni che ne emergono. Tuttavia, questo processo riguarda più la rivelazione degli aspetti intrinseci della mente cosmica che l’evoluzione o il cambiamento della sua essenza.
  4. Confronto con il Neo-Platonismo e il Pensiero Orientale: Possiamo richiamarci, in tal senso, al pensiero neoplatonico, dove l’Uno (o assoluto) emana diverse forme di realtà senza subire cambiamenti. Allo stesso modo, in alcune filosofie orientali come l’Advaita Vedanta, la realtà assoluta (Brahman) rimane immutabile, mentre il mondo delle apparenze (Maya) sembra evolversi. Ciò che evolve è l’espressione della coscienza, non la coscienza fondamentale stessa.

In sintesi, sebbene la mente di Dio non evolva nel senso di cambiare la propria natura fondamentale, essa mostra una sorta di dispiegamento o espressione dinamica, che permette l’evoluzione di esperienze, complessità e manifestazioni all’interno della realtà. Pertanto, l’evoluzione è una caratteristica del cosmo visto dall’interno della mente cosmica, piuttosto che una trasformazione della mente cosmica stessa.

Dio e i suoi modi di essere

L’affermazione che “l’essere dell’infinito è lo stesso essere del finito” si collega a diverse tradizioni filosofiche e teologiche. Tra i pensatori che hanno esplorato questo concetto troviamo:

  1. Scoto Eriugena, filosofo e teologo del IX secolo, ha sviluppato una visione originale e complessa del rapporto tra Infinito e finito, tra Dio e il creato, attraverso una prospettiva neoplatonica e cristiana. Ecco i punti salienti del suo pensiero.
    • Scoto Eriugena, filosofo e teologo del IX secolo, ha sviluppato una visione originale e complessa del rapporto tra Infinito e finito, tra Dio e il creato, attraverso una prospettiva neoplatonica e cristiana. Ecco i punti salienti del suo pensiero:
    • La Divisione della Natura
      • Nel suo capolavoro, Periphyseon (o De Divisione Naturae), Eriugena elabora un sistema filosofico basato sulla suddivisione della natura in quattro categorie:
      • Natura che crea e non è creata: Si riferisce a Dio come principio primo e infinito. Dio è l’Essere assoluto, l’origine di tutto, ma non è definibile o comprensibile completamente dall’uomo.
      • Natura che è creata e crea: Rappresenta le idee o le ragioni eterne attraverso le quali Dio crea il mondo. È una manifestazione dell’intelletto divino che genera le creature.
      • Natura che è creata e non crea: Indica il mondo delle creature, il mondo finito, che include sia gli esseri materiali sia quelli spirituali.
      • Natura che non è creata e non crea: Si riferisce al ritorno di tutte le cose a Dio, quando il creato si dissolve nell’infinito, tornando alla sua origine divina.
    • L’Infinito e la Manifestazione
      • Eriugena sostiene che Dio è l’Infinito, completamente trascendente e ineffabile, al di là di ogni conoscenza umana. Tuttavia, l’Infinito si manifesta nel finito attraverso un processo di auto-rivelazione. Dio non è semplicemente separato dal creato, ma si esprime attraverso di esso. Ogni creatura, quindi, è un riflesso parziale dell’infinità divina. Questa prospettiva ha radici nella tradizione neoplatonica, dove l’Uno si diffonde nelle molteplici forme della realtà senza perdere la propria unità.
    • Il Rapporto tra Creato e Creatore
    • Per Eriugena, la relazione tra Dio e il creato non è di separazione netta, ma di continua partecipazione e ritorno. Dio è il principio da cui tutto ha origine e verso cui tutto tende a tornare. Questo processo di uscita e ritorno è simile al movimento dell’emanazione neoplatonica: Dio si riversa nella creazione (processione) e la creazione, in quanto partecipazione all’Essere divino, ritorna a Dio (redentio).
    • Apofatismo e Cataphatismo
      • Eriugena sottolinea la necessità di un approccio apofatico, ovvero negativo, nel parlare di Dio: non possiamo dire cosa Dio è in termini definitivi, perché è oltre ogni definizione umana. Tuttavia, attraverso il creato, possiamo avvicinarci a Dio anche in modo positivo (kataphatico), riconoscendo in esso i segni della sua presenza. Questo significa che Dio si manifesta nel mondo, ma non è mai del tutto comprensibile attraverso di esso.
    • Il Finito come Manifestazione dell’Infinito
      • Secondo Eriugena, il finito non è altro che una manifestazione parziale dell’Infinito. Non c’è opposizione tra Dio e il mondo, ma piuttosto una relazione di continuità. Il creato è una sorta di “teofania”, una manifestazione visibile del divino. Tuttavia, questa manifestazione non esaurisce mai la realtà di Dio, che resta sempre trascendente.
      • In sintesi, per Scoto Eriugena il rapporto tra l’Infinito e il finito è di espressione e ritorno: Dio, infinito e incomprensibile, si manifesta nel mondo, e attraverso la creazione, tutte le cose tendono a ritornare a Dio. Questo processo riflette una visione dinamica e unitaria della realtà, dove il confine tra creato e Creatore è permeabile e la distinzione tra Infinito e finito si risolve in una continua comunicazione tra i due.
  2. Niccolò Cusano (Cusanus): Nel suo pensiero, Cusano sviluppa l’idea di una coincidenza degli opposti e di una relazione tra finito e infinito. Secondo lui, Dio (l’infinito) contiene in sé tutto ciò che esiste, e il mondo creato (il finito) non è altro che una determinazione di questo essere infinito. Cusano usa l’immagine dell’infinito come una linea che include tutte le linee finite, affermando che l’infinito comprende il finito ma senza esserne limitato. La sua filosofia è caratterizzata dall’idea che l’infinito non sia solo quantitativamente diverso dal finito, ma qualitativamente, essendo la fonte di ogni realtà.
  3. Spinoza: Sebbene non sia un pensatore cristiano, il suo panteismo può essere collegato a questa affermazione. Spinoza sosteneva che “Deus sive Natura” (Dio ovvero Natura) è l’unica sostanza esistente, e tutto ciò che esiste è una sua manifestazione. In questo senso, l’essere infinito di Dio coincide con l’essere delle singole cose finite, che sono semplicemente “modi” di questa sostanza unica.
  4. Hegel: Anche nella filosofia di Hegel troviamo una visione simile, in cui l’Assoluto (l’infinito) si realizza nella realtà concreta (il finito) attraverso un processo dialettico. L’infinito per Hegel non è separato dal mondo, ma si manifesta progressivamente attraverso la storia e la realtà fenomenica. La distinzione tra finito e infinito viene superata nella sua dialettica, dove l’infinito si realizza proprio nella realtà finita.

Questi pensatori hanno in comune una visione dell’infinito che non è contrapposta al finito, ma lo include e lo realizza in modi differenti. Tuttavia, la formulazione precisa e le implicazioni variano tra le loro prospettive filosofiche.

L’affermazione che “Dio è il suo essere e l’essere di tutte le cose” può essere collegata a diverse tradizioni teologiche e filosofiche, in particolare alla metafisica medievale e alla filosofia moderna. Tra i pensatori più rilevanti che hanno elaborato idee simili troviamo:

  1. Tommaso d’Aquino: Nella sua teologia, Tommaso afferma che Dio è “ipsum esse subsistens”, cioè l’essere stesso sussistente. Dio non partecipa all’essere come le creature, ma è l’essere stesso. Tuttavia, la distinzione tra l’essere di Dio e l’essere delle creature rimane netta: le creature partecipano all’essere, mentre Dio è la fonte originaria di questo essere.
  2. Meister Eckhart: Nel misticismo di Eckhart, c’è l’idea che l’essere di Dio non sia separato dall’essere delle cose. Egli afferma che Dio è “l’essere di tutti gli esseri” e che ogni creatura esiste solo in virtù dell’essere che riceve da Dio. Eckhart vede Dio come il fondamento di tutta la realtà, affermando una profonda unità tra Dio e il mondo.
  3. Spinoza: Sebbene Spinoza non rientri nella tradizione cristiana ortodossa, il suo pensiero panteistico afferma che Dio è l’unica sostanza e che tutte le cose esistono come modi di Dio. Per Spinoza, “Deus sive Natura” (Dio ovvero Natura) indica che Dio è l’essere stesso di tutte le cose, nel senso che tutto ciò che esiste è una manifestazione di Dio.
  4. Niccolò Cusano: Nella sua visione di Dio come “coincidentia oppositorum” (coincidenza degli opposti), Cusano propone che Dio è l’infinito che contiene ogni realtà finita. Secondo Cusano, Dio è l’essere illimitato che si riflette in tutte le cose create, e in tal senso l’essere di tutte le cose è radicato nell’essere di Dio.

Questi autori, pur con differenze significative, esprimono una visione nella quale Dio è strettamente legato all’essere stesso di tutte le cose, sia come fonte di ogni esistenza sia, in alcune interpretazioni più radicali, come identità profonda con l’essere di tutto ciò che esiste.

Giovanni Duns Scoto, filosofo e teologo medievale, propone una visione peculiare del rapporto tra finito e infinito attraverso il concetto dei “modi intrinseci” dell’ente. Per lui, sia il finito che l’infinito non sono enti separati, ma modi con cui l’ente si presenta o si realizza. In altre parole, l’essere stesso (l’ente) può essere compreso in due modalità fondamentali: come finito e come infinito.

1. Modi intrinseci dell’ente

  • Duns Scoto sostiene che la distinzione tra finito e infinito riguarda il modo in cui l’ente esiste. L’infinità si riferisce al modo di esistere proprio di Dio, caratterizzato da una perfezione senza limiti. Al contrario, la finitezza è il modo di esistere proprio delle creature, che partecipano all’essere in modo limitato.
  • L’infinità e la finitezza non cambiano la sostanza dell’ente, ma ne qualificano il modo di essere. In questo senso, sia l’infinito che il finito sono modi “intrinseci” dell’ente, cioè riguardano il modo in cui l’essere si realizza.

2. L’infinito come perfezione divina

  • Per Duns Scoto, Dio è l’ente infinito, l’unico che possiede una perfezione assoluta e illimitata. L’infinità di Dio non è solo quantitativa, ma riguarda la pienezza dell’essere: Dio è l’essere che esiste per necessità e senza limiti. La sua infinità è quindi un modo di esistere che trascende ogni finitezza.
  • Questa concezione si differenzia dalla visione tomista, in cui l’essenza di Dio è separata dall’essenza delle creature. Scoto, invece, vede l’infinità come una modalità di esistenza che appartiene all’essere stesso di Dio.

3. Il finito come modalità dell’essere creato

  • Le creature, secondo Duns Scoto, possiedono l’essere in modo limitato, ossia finito. La loro finitezza non le separa radicalmente dall’essere divino, ma ne limita la partecipazione all’essere. Ciò significa che l’essere delle creature è una partecipazione all’ente in modo parziale, mentre Dio è l’ente che possiede l’essere in modo completo e senza limiti.
  • Questa visione permette di pensare l’essere come una realtà che attraversa tanto il creato quanto il Creatore, differenziandosi nei modi della sua manifestazione (finito e infinito), ma mantenendo una continuità ontologica.

In sintesi, Duns Scoto concepisce il finito e l’infinito come due modalità con cui l’ente si realizza. L’infinito caratterizza Dio come pienezza dell’essere, mentre il finito caratterizza le creature, che partecipano dell’essere in modo limitato. Questa visione cerca di mantenere l’unità dell’essere, pur riconoscendo la differenza fondamentale tra Creatore e creato.

Ken Wilber e Post-teismo

Ken Wilber descrive i livelli di consapevolezza religiosa come parte della sua teoria dello sviluppo della coscienza, all’interno del suo modello integrale noto come AQAL (All Quadrants, All Levels). I livelli di consapevolezza si articolano attraverso fasi di crescita che riflettono uno sviluppo sempre più complesso e inclusivo della coscienza umana. Ecco una sintesi dei principali livelli di consapevolezza religiosa secondo Wilber:

  1. Arcaico (pre-personale): Questo è il livello più primitivo e si riferisce a una coscienza tribale e animistica. La spiritualità è principalmente legata a credenze magiche e a rituali legati alla sopravvivenza e alla connessione diretta con la natura. È caratterizzato da una visione del mondo in cui gli elementi naturali sono considerati dotati di poteri spirituali.
  2. Magico-mitico: Qui la coscienza si sviluppa in una visione mitologica del mondo, dove la religione è centrata su storie mitiche, divinità e rituali. La spiritualità è basata su narrazioni sacre e miti che danno un significato profondo alla vita e alla morte, e le divinità sono spesso viste come potenti entità esterne che influenzano il destino umano.
  3. Mitico-literal (tradizionale): Questo stadio rappresenta molte religioni organizzate come il cristianesimo, l’islam e altre forme di religiosità organizzata. Qui si sviluppa una fede istituzionalizzata e dogmatica, con credenze religiose che vengono prese alla lettera. La consapevolezza religiosa è centrata su testi sacri e dottrine che definiscono i comportamenti morali e sociali, spesso con un forte senso di appartenenza a una comunità religiosa.
  4. Razionale: A questo livello, la coscienza religiosa diventa più critica e riflessiva. È lo stadio in cui si afferma il pensiero scientifico e la ragione diventa un filtro per valutare le credenze religiose. Questo porta alla nascita dell’ateismo moderno, dell’agnosticismo e di forme di spiritualità che cercano di armonizzare la fede con la scienza.
  5. Pluralistico: Questo stadio è caratterizzato da una visione inclusiva e relativistica, in cui tutte le religioni e le visioni del mondo vengono viste come vie valide alla verità. Si riconosce che ogni cultura e tradizione ha il proprio valore e significato. La spiritualità pluralistica è tollerante e aperta alla diversità, ma può anche essere riluttante a fare affermazioni definitive sulla natura ultima della realtà.
  6. Integrale: Qui la consapevolezza integra le prospettive dei livelli precedenti, comprendendo che ognuno di essi rappresenta una tappa nello sviluppo della coscienza. La spiritualità integrale cerca di unire la dimensione spirituale e quella scientifica, vedendo la realtà come un insieme interconnesso e includendo sia il trascendente che l’immanente. Questo livello riconosce che la verità può manifestarsi a diversi livelli di consapevolezza e cerca di creare una sintesi tra la saggezza antica e le scoperte moderne.
  7. Superamento del dualismo e consapevolezza unitiva: Nei livelli più avanzati della coscienza, la spiritualità si trasforma in un’esperienza di unità con il tutto. Qui si raggiunge la consapevolezza non duale, in cui si comprende che tutte le distinzioni tra sé e l’altro, tra divino e umano, sono relative. Questo livello è spesso associato alle esperienze mistiche dirette in cui si percepisce l’unità di tutte le cose.

Questi livelli non sono pensati come rigidi, ma come una mappa dello sviluppo della coscienza, che può variare tra gli individui e le culture. Ogni livello include e trascende i precedenti, il che significa che conserva alcuni aspetti degli stadi più bassi ma li espande verso una comprensione più ampia e inclusiva della spiritualità e della religiosità.

Teismo e Post-teismo, e i loro livelli i consapevolezza religiosa

Tra i sette livelli di consapevolezza religiosa descritti da Ken Wilber, alcuni sono più consoni al teismo tradizionale, mentre altri si avvicinano maggiormente alle idee del post-teismo. Ecco come si può tracciare una linea di demarcazione tra questi approcci:

Più consono al Teismo:

  1. Magico-mitico: Questo livello, con la sua fede nei miti e nelle divinità, riflette una forma di teismo tradizionale in cui Dio o gli dei sono percepiti come agenti sovrannaturali che intervengono nel mondo. Questo stadio è caratterizzato dalla percezione di una presenza divina esterna e distinta dalla creazione, che agisce nel mondo attraverso miracoli e interventi soprannaturali.
  2. Mitico-literal (tradizionale): È il livello in cui il teismo classico è più evidente. Le religioni monoteiste istituzionalizzate (come il cristianesimo, l’islam e l’ebraismo) si riconoscono in questa fase, dove Dio è concepito come un’entità personale e sovrana che regola la vita dell’uomo attraverso leggi e dottrine. L’immagine di Dio qui è quella di un Essere trascendente, separato dal mondo, che guida e interviene nella storia.
  3. Razionale: Anche se in questa fase emergono tendenze agnostiche o ateistiche, c’è ancora spazio per una forma di teismo razionalizzato. Pensatori che cercano di armonizzare fede e ragione, come i teologi della cosiddetta “teologia naturale”, rientrano in questo contesto. In questo livello, Dio può essere visto come il Creatore che ha dato origine all’universo, ma la sua azione diretta è spesso rivista alla luce della scienza.

Più consono al Post-teismo:

  1. Pluralistico: In questa fase, si comincia a mettere in discussione le visioni teistiche rigide e si apre a una visione più relativista della religione. Il post-teismo emerge qui come un modo di intendere la spiritualità che supera la concezione di un Dio personale separato, cercando invece una spiritualità più aperta e inclusiva. Dio non è necessariamente visto come un essere separato, ma come una dimensione di trascendenza che può essere interpretata in molti modi.
  2. Integrale: Il livello integrale si allontana ulteriormente dal teismo tradizionale, poiché cerca di integrare le visioni spirituali di diverse tradizioni, incluse le prospettive mistiche non duali e quelle che vedono la realtà come interconnessa. Qui, la nozione di Dio può evolvere verso un principio cosmico o una forza di unità che pervade l’intera realtà, più che un’entità personale. Questa visione si avvicina molto a quella post-teistica, che considera Dio come un principio immanente piuttosto che un’entità trascendente e separata.
  3. Superamento del dualismo e consapevolezza unitiva: Questo è il livello che più di tutti risuona con il post-teismo. La distinzione tra Dio e il mondo svanisce, e la consapevolezza è quella di un’unità fondamentale tra l’essere umano e il divino. L’idea di un Dio personale viene trascesa per abbracciare una visione in cui tutto è interconnesso e in cui la realtà stessa è considerata sacra e divina. Qui la nozione di Dio è strettamente legata a quella di un’unità trascendente che abbraccia tutto l’essere.

Considerazioni generali:

  • Teismo è più radicato in una visione che sottolinea la trascendenza di Dio e la sua separazione dal mondo, cosa che caratterizza i primi livelli (magico-mitico e tradizionale).
  • Post-teismo, invece, si manifesta nei livelli più avanzati, come il pluralistico e l’integrale, dove si mette in discussione la visione tradizionale di Dio e si esplorano modi più fluidi e immanenti di intendere il sacro, superando le distinzioni tra naturale e soprannaturale.

In sintesi, i livelli iniziali della scala di Wilber rispecchiano una religiosità più tradizionale e teistica, mentre i livelli successivi abbracciano una spiritualità che si avvicina al post-teismo, in cui l’immagine di Dio evolve verso una comprensione più unitaria e meno legata ai dogmi storici.

La croce, chiave musicale della vita.

Il tempo attuale è caratterizzato da una forte tensione tra inquietudine e fiducia per diversi motivi. Viviamo in un’epoca di cambiamenti rapidi e profondi, sia a livello sociale che tecnologico, che influiscono direttamente sulla percezione del nostro posto nel mondo e sulla ricerca di senso. Ecco alcuni motivi per cui questa dinamica di inquietudine e fiducia è così presente oggi:
 

1. Incertezza e Rapidità del Cambiamento
Il progresso tecnologico e scientifico sta trasformando rapidamente la società. Questo genera un senso di disorientamento e di perdita di riferimenti stabili. La pandemia globale, le crisi climatiche, le instabilità politiche e i rapidi cambiamenti culturali hanno accentuato la percezione che il mondo sia meno prevedibile e sicuro rispetto al passato.
Di fronte a queste trasformazioni, l’inquietudine nasce dal fatto che il futuro appare incerto e complesso. Questo senso di precarietà si riflette nella paura del domani, nella difficoltà a trovare punti di riferimento e nella sensazione di vivere in un’epoca di transizione.
 
2. Crisi delle Certezze Tradizionali
Le grandi narrazioni che per secoli hanno offerto stabilità e sicurezza, come la religione tradizionale o le ideologie politiche, hanno perso il loro potere di unire e orientare le persone. Questo ha generato un vuoto esistenziale che molti percepiscono come inquietudine e smarrimento.
In risposta a questa crisi, si sviluppa un bisogno di ritrovare una forma di fiducia e di speranza, che può esprimersi in vari modi: spiritualità personali, riscoperta di pratiche meditative, o impegno per il bene comune e la sostenibilità.
 
3. La Ricerca di Significato
L’inquietudine può essere vista anche come una spinta alla ricerca di senso. In un mondo dove i valori sembrano essere relativizzati e le certezze scosse, molte persone cercano una comprensione più profonda della vita e della realtà. La spiritualità e le pratiche contemplative diventano spazi in cui cercare risposte al proprio bisogno di significato.
La fiducia, in questo contesto, diventa il punto di arrivo di un cammino interiore. È una fiducia che non ignora le difficoltà del mondo, ma che le attraversa, cercando di ancorarsi a qualcosa di più grande, che sia la fede, un senso di interconnessione universale, o una fiducia nella capacità umana di trovare soluzioni.
 
4. Spiritualità e Pratiche Contemplative
Mai come oggi si assiste a una riscoperta di pratiche come la meditazione, lo yoga, la mindfulness, che aiutano le persone a trovare un equilibrio interiore e a gestire l’ansia e l’inquietudine. Queste pratiche permettono di creare uno spazio di fiducia nel proprio mondo interiore, anche quando tutto all’esterno sembra incerto.
L’inquietudine diventa così un’opportunità per una ricerca più profonda, per scoprire risorse di resilienza interiore. La fiducia non è più una certezza cieca, ma un atteggiamento che si sviluppa attraverso il contatto con la propria interiorità e con il mistero della vita.
Nelle pratiche contemplative che in questo tempo sono sempre più ricercate un ruolo essenziale ha il silenzio. l silenzio gioca un ruolo centrale nel rapporto tra inquietudine e fiducia nel tempo attuale. In un’epoca caratterizzata da rumori incessanti, informazioni continue e un flusso costante di stimoli, il silenzio si presenta come uno spazio necessario per l’ascolto interiore e la riflessione profonda. Ecco come il silenzio contribuisce a questo dialogo tra inquietudine e fiducia:


Il Silenzio come Spazio per l’Inquietudine
L’inquietudine spesso emerge quando ci si ferma e si permette al silenzio di far emergere domande e dubbi che normalmente si evitano. In questo senso, il silenzio diventa uno spazio in cui le domande profonde sulla propria esistenza, sul senso della vita e sul dolore umano possono essere ascoltate senza filtri.
Il silenzio permette di accogliere la propria vulnerabilità, di fare i conti con le paure, le incertezze e le insicurezze. In un mondo che tende a riempire ogni momento di distrazioni, il silenzio ci riporta alla realtà della nostra fragilità, facendoci sentire l’inquietudine in modo più autentico.
 
Il Silenzio come Luogo di Incontro con la Fiducia
Il silenzio non è solo lo spazio dove l’inquietudine viene a galla, ma è anche il luogo in cui si può ritrovare la fiducia. Nella tradizione spirituale e meditativa, il silenzio è considerato un mezzo per accedere a una dimensione più profonda di sé e, per chi ha una fede, a un incontro con il divino.
Attraverso il silenzio, si può percepire una presenza che va oltre le parole e le spiegazioni razionali, una realtà più grande che può infondere un senso di pace e fiducia. Questo avviene perché nel silenzio si sperimenta l’essere semplicemente presenti, accettando la realtà così com’è, senza cercare di controllarla o modificarla.
 
Silenzio e Ascolto Interiore
In un tempo di grande incertezza, il silenzio offre un’opportunità di ascolto interiore, che diventa una pratica essenziale per distinguere tra i mille stimoli esterni e ciò che è veramente significativo per noi. L’ascolto silenzioso permette di connettersi alla propria dimensione interiore, di fare chiarezza sui propri desideri e sulle proprie paure.
Questo ascolto può essere anche un ascolto del sacro, della propria intuizione, della voce della coscienza. Il silenzio diventa così un terreno fertile in cui la fiducia può germogliare, perché permette di accogliere la propria umanità e di scoprire un senso di appartenenza a qualcosa di più grande.
 
Il Silenzio come Rimedio alla Sovrabbondanza di Stimoli
Nel contesto culturale attuale, dominato dai social media, dalle notizie in tempo reale e da un flusso ininterrotto di informazioni, il silenzio diventa un antidoto. Esso offre una pausa, un momento per recuperare la lucidità e ridare priorità a ciò che è davvero essenziale.
Praticare il silenzio, che sia attraverso la meditazione, la contemplazione o semplicemente il fermarsi, aiuta a ritrovare la calma e a coltivare una fiducia che non dipende dai risultati esterni, ma da un senso di serenità interiore.
 
Silenzio e Relazione con il Divino
In molte tradizioni religiose e spirituali, il silenzio è visto come il luogo privilegiato per l’incontro con Dio. Nel cristianesimo, ad esempio, l’esperienza del deserto e del ritiro silenzioso è stata spesso una via per incontrare più profondamente la presenza divina. Il grido di Gesù sulla croce, «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», può essere visto come un momento di estrema inquietudine, ma anche come l’inizio di un silenzio che si apre alla fiducia della risurrezione.
Il silenzio diventa così una forma di preghiera, non fatta di parole ma di ascolto, di apertura, di fiducia nell’invisibile. Anche quando sembra che Dio sia assente, il silenzio è lo spazio in cui si può avvertire una presenza che non si esprime con il rumore, ma con una profonda quiete.
 
Il Silenzio nella Musica e nell’Arte
Anche nella musica e nelle arti, il silenzio gioca un ruolo fondamentale. Le pause musicali, i momenti di silenzio tra le note, sono ciò che dà respiro e significato alla melodia. Il silenzio, nella sua funzione di attesa, crea la tensione necessaria affinché la musica possa esprimere emozioni profonde.
Nell’arte contemporanea, il silenzio può diventare un mezzo espressivo che permette di riflettere sull’assenza, sul vuoto, ma anche su ciò che rimane non detto, lasciando spazio all’immaginazione e alla riflessione personale.
 
5. Inquietudine e Fiducia nelle Relazioni Umane
La fragilità delle relazioni e la solitudine sono temi sempre più presenti nella società contemporanea. L’inquietudine nasce dalla percezione di una mancanza di legami autentici e duraturi. Tuttavia, in risposta a questo, c’è anche una spinta a cercare relazioni più profonde e significative, che possano essere fonte di fiducia e sostegno.
L’esperienza di fiducia si costruisce anche attraverso il senso di appartenenza a una comunità e la riscoperta della solidarietà. In un mondo in cui si percepisce la frammentazione, la fiducia diventa un atto di speranza verso gli altri, un modo per rispondere all’insicurezza collettiva con un impegno comune.
 
Certezza della fede e incertezza della croce
Le chiavi musicali sono segni grafici posti all’inizio dello spartito che servono a indicare l’altezza delle note sul pentagramma e dunque ne determinano il nome e la conseguente corretta lettura al momento dell’esecuzione.
 
Uno spartito in cui non è indicata la chiave musicale è uno spartito muto, ossia le note non sono identificabili perché è la loro posizione in relazione a quella chiave a determinarne la natura e il nome.
 
Così è anche la vita, e ancor più la vita di quell’uomo di nome Gesù. Il grido “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, è quella chiave musicale per poter interpretare la sua vita.  Sembra dire più l’incertezza del destino di Gesù che la sua certezza. Quella domanda lascia in sospeso il destino di Gesù. La sua sorte non è ancora del tutto decisa. Non è determinata e certa.
 
La croce manifesta qualcosa di incertezza. Sì, è l’incertezza della croce. C’è qualcosa di indeciso ancora. Qualcosa di indeterminato. Qualcosa di “in-sospeso” pende lì, sulla croce. Gesù è sospeso sulla croce in attesa di qualcosa che ancora non è stato deciso.
Il grido di Gesù sulla croce rappresenta l’inquietudine più profonda, l’incertezza nelle e delle esperienze spirituali più intense. Questo momento esprime un sentimento umano universale: il senso di abbandono, dell’in-sospeso.  
 
Tuttavia, il grido di Gesù non è solo un grido di disperazione; esso rimanda anche alla fiducia profonda che, nonostante l’apparente assenza, Dio è comunque presente. Questo paradosso tra inquietudine e fiducia è al centro della meditazione e della spiritualità: è il movimento dall’incertezza alla scoperta di un senso di pace interiore che può emergere solo attraverso la vulnerabilità.
Nella pratica meditativa, affrontare l’inquietudine e il vuoto è un passaggio cruciale per giungere alla fiducia profonda, come se fosse un invito a lasciarsi andare in un abbandono fiducioso, nonostante le difficoltà.
L’”insospeso” in un pezzo musicale gioca un ruolo fondamentale nel creare tensione, aspettativa ed emozione, contribuendo alla dinamica complessiva dell’ascolto. Questo concetto può manifestarsi in diversi modi all’interno della musica, come ad esempio nelle pause, nelle sospensioni armoniche, o nei ritardi melodici.

Culturalmente, questa tensione tra inquietudine e fiducia ha ispirato molte opere che esplorano la dualità tra l’oscurità della sofferenza e la luce della speranza. La musica, in particolare, è stata spesso usata come mezzo per esprimere l’angoscia dell’anima e, allo stesso tempo, la speranza di una redenzione. Pensa, ad esempio, alla musica sacra, che alterna toni gravi e solenni, che rappresentano il dolore umano, a momenti di grande elevazione spirituale che simboleggiano la fiducia nella misericordia divina.

Il grido di Gesù può essere visto come l’incarnazione dell’inquietudine umana di fronte al mistero dell’esistenza, ma anche come un segno di fiducia nella promessa di una realtà più grande che va oltre il dolore presente. La meditazione e la riflessione spirituale invitano a esplorare proprio questa tensione, insegnando che il senso più profondo della fede non è negare la sofferenza o l’incertezza, ma trovare la forza per attraversarle, scoprendo la fiducia nell’ineffabile.
 
In questo senso, l’inquietudine e la fiducia non sono opposti ma due aspetti di un unico cammino umano e spirituale. Il grido di Gesù ci insegna che l’incertezza e la vulnerabilità fanno parte della condizione umana e spirituale, ma allo stesso tempo ci invita a trovare nella nostra ricerca di significato una fiducia che ci accompagna anche nei momenti più bui. L’arte, la musica e la meditazione sono canali attraverso i quali possiamo esplorare queste dimensioni, riconoscendo che il mistero dell’esistenza e del divino si svela proprio nei momenti di maggiore fragilità e apertura.
 
Quale immagine di Dio per l’uomo inquieto e abbandonato?
 
L’incertezza della croce rivela la divinità di Gesù. Il suo destino divino non è deciso, non può essere determinato o fissato. Risolto. L’incertezza della croce non è momentanea. Non è solubile e risolvibile in una semplice risurrezione. Risolto/risorto.
 
L’incertezza della croce dischiude sì il divino, ma al di là di ogni “questo” o “quello”. Un giudizio in-sospeso, indeciso. Il segreto messianico non è risolto nella croce. Vedendolo morire, alcuni dicono: «Ha salvato altri, non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo». Ma il centurione disse: “Questi veramente era il figlio di Dio”. Se così fosse, la fede non sarebbe necessaria. Per credere.
 
L’incertezza della croce non si lascia risolvere nella fede. Rimane l’incertezza dell’in-sospeso che rivela il divino destino di Gesù e di ogni uomo.
 
La fede non decide nulla della croce, ma decide solo di sé. La fede rivela la croce, velandone l’incertezza. É insopportabile l’incertezza della croce e va risolta. Dissonanza cognitiva. Assicurandosi, la fede decide dell’incertezza della croce. Ma questa – l’incertezza – rimane.
 
L’immagine di Dio che emerge dal grido di Gesù sulla croce, è quella di un Dio che non è distante né separato dalla sofferenza umana, ma profondamente coinvolto nella fragilità e nelle domande esistenziali degli esseri umani. Tuttavia non interviene. È un Dio che non si manifesta come potenza trascendente e onnipotente, ma si rivela come compagno di viaggio nelle esperienze più dolorose e nelle incertezze dell’animo umano.
 
Il grido di Gesù, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, ci mostra un Dio che non evita la sofferenza, ma che l’assume su di sé. Questo ribalta l’immagine di un Dio distante e indifferente, proponendone una che si avvicina radicalmente all’umano. Dio si manifesta come un Mistero che accoglie e condivide la sofferenza, diventando solidale con l’umanità proprio nel momento del suo massimo smarrimento. È un Dio che non teme la vulnerabilità, ma che la vive e la attraversa.

Questa prospettiva ci parla di un Dio che si fa presente non necessariamente nella certezza o nel conforto immediato, ma nell’incontro con la nostra stessa inquietudine. L’immagine che emerge è quella di un Dio che si fa trovare proprio nel silenzio delle nostre domande, nella profondità del dubbio. È un Dio che non fornisce risposte preconfezionate, ma che ci invita a un dialogo intimo e profondo, nel quale siamo spinti a riconoscere la Sua presenza nascosta anche nelle nostre esperienze di smarrimento.
Anche se il grido di Gesù sembra esprimere un senso di abbandono, porta con sé una fiducia radicale. Rivolgersi a Dio nel momento di estrema disperazione è un atto di fede profonda: significa credere che, nonostante tutto, Dio è lì, anche quando sembra assente. Questa immagine di Dio non è quella di un essere che risolve magicamente le difficoltà, ma di un Dio che chiede fiducia anche quando non riusciamo a percepire il Suo volto. È un Dio che ci invita a scoprire, attraverso il dolore e la ricerca, un senso più ampio e una comunione più profonda con la realtà.
La spiritualità e la meditazione, soprattutto nelle esperienze di incertezza, ci parlano di un Dio che non è solo oggetto di una fede dogmatica, ma un Mistero che si sperimenta nella relazione personale. L’immagine di Dio che si rivela qui è quella di un “Tu” che ci accompagna nel nostro cammino interiore, una presenza che si fa sentire come un sussurro nelle profondità del nostro essere. Questa immagine è molto più vicina a quella di un Dio che desidera relazionarsi e accompagnare, piuttosto che a quella di un giudice distaccato.
Infine, Dio si rivela come forza trasformante, capace di portare alla luce un senso nuovo anche attraverso il buio dell’inquietudine. È un Dio che non si limita a consolare, ma che trasforma l’esperienza del dubbio e della sofferenza in un’occasione di crescita spirituale e di apertura verso una nuova comprensione del divino. Questa immagine è simile a quella di un processo alchemico: il dolore diventa parte del cammino verso una consapevolezza maggiore e una fede più autentica.
 
Un brano musicale e poetico che esprime profondamente il tema dell’inquietudine, del senso di abbandono, ma anche della ricerca di fiducia e speranza in Dio è Passio di Arvo Pärt. Questa composizione musicale, ispirata alla Passione secondo Giovanni, presenta un linguaggio musicale minimalista e meditativo che rispecchia il dramma interiore della sofferenza e del grido di Gesù sulla croce, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.
 
Musica: Passio di Arvo Pärt
Compositore: Arvo Pärt è noto per il suo stile musicale minimalista, definito tintinnabuli, caratterizzato da una semplicità profonda e da un’atmosfera spirituale che sembra quasi sospendere il tempo.
Brano: Passio Domini Nostri Jesu Christi secundum Joannem (La Passione di Nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni).
Descrizione: La musica di Passio è lenta, meditativa, quasi ipnotica, con momenti di tensione e di profonda riflessione. L’uso delle voci e degli strumenti crea un senso di silenzio interiore e di ricerca spirituale, che richiama l’esperienza della sofferenza di Gesù e il suo senso di abbandono, ma anche la sua fiducia nel Padre.

Il Salmo 22 della Bibbia, che inizia con le parole esclamate da Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Questo salmo è un esempio perfetto di come il lamento e l’invocazione di aiuto si trasformino in una preghiera di fiducia e speranza.

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
“Sono lontane le parole del mio lamento.”
“Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto.”
“Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea.”

Questo salmo esprime una tensione tra l’inquietudine del sentirsi abbandonati e la fiducia in una presenza divina che, nonostante tutto, non si è del tutto allontanata. La transizione dalla disperazione alla speranza è un viaggio interiore che rispecchia la stessa dinamica espressa nel grido di Gesù e nel desiderio di trovare senso nella sofferenza.

Arvo Pärt, con la sua musica, offre un’interpretazione sonora del silenzio e della profondità della spiritualità, come quella espressa nel Salmo 22. La musica di Passio e le parole del Salmo 22 creano un dialogo interiore tra il buio dell’abbandono e la luce della fede ritrovata, offrendo uno spazio di meditazione che rispecchia esattamente l’esperienza del dolore trasformato in ricerca di senso e in una fiducia che si riscopre, passo dopo passo.
 

Deus patiens extra machinam

“Molte persone hanno coltivato a lungo l’idea infantile di un Dio magico, il Dio delle facili consolazioni e del superficiale ottimismo, un «angelo custode» al nostro servizio, sempre pronto a rincuorarci assicurandoci che alla fine andrà tutto bene, un idolo che aveva un unico compito: «funzionare», realizzando in modo infallibile i nostri più sciocchi desideri. Una divinità così positiva crolla regolarmente alla prima crisi seria della nostra vita.

Moltissimi individui, dopo aver abbandonato idoli di questo tipo, per errore – spesso con quel certo orgoglio di chi ha finalmente scoperto la verità sul «mondo reale» – si dichiarano «atei». Evidentemente non hanno mai trovato un cristiano che si congratulasse con loro per aver scoperto che «Dio non funziona», e che gli dicesse che questa proiezione del nostro infantile desiderio di onnipotenza (sotto la protezione di un grande alleato nascosto dietro le quinte del mondo) è un idolo.

Perché ingiuriare un Dio che non interviene nelle nostre vite come fa il deus ex machina della tragedia antica? Il cristianesimo non viene ad annunciarci un Dio che ci assicura una vita priva di sofferenze e fornisce subito risposte soddisfacenti a tutti i dolorosi interrogativi che la sofferenza risveglia nei nostri cuori, non ci promette giorni senza notti. Ci assicura soltanto che anche nelle notti più buie sarà con noi, così che questa stessa assicurazione ci dia la forza non solo di sopportare il peso e l’oscurità di quei momenti, ma anche di aiutare gli altri a sopportarli, in special modo coloro che non hanno udito o non hanno accettato quell’assicurazione”

Tomáš Halík, Pazienza con Dio, Vita e Pensiero, 118-119.

Scienza e Fede

“Fondamento visibile e invisibile della realtà”

  • Fondamento: Il “fondamento” della realtà include sia ciò che è visibile (in verde) sia ciò che è invisibile (in blu).
    • Il Visibile rappresenta l’aspetto della realtà che può essere osservato e verificato attraverso i sensi o la scienza.
    • L’Invisibile rappresenta la dimensione della realtà che non può essere osservata direttamente, il “mistero” o l’essenza più profonda che la fede esplora.

Fede e Ragione

  • Fede e Ragione sono due percorsi paralleli che puntano verso il “fondamento” della realtà.
    • Fede: Viene associata all’elemento “invisibile” e indeterminato della realtà. La fede cerca di rispondere alla domanda del “perché” e dell’essenza della realtà, esplorando ciò che la ragione non può raggiungere pienamente, attraverso una rivelazione che va oltre i fatti osservabili.
    • Ragione: È legata all’elemento “visibile” e osservabile della realtà. La ragione si occupa del “come” funziona la realtà, indagando il comportamento della natura e dell’universo in modo misurabile e oggettivo. Questo approccio è quello della scienza, che utilizza la razionalità e l’osservazione per comprendere il mondo.

Realtà e Spiritualità

  • Realtà: È la dimensione visibile e invisibile della Realtà. La realtà è qualcosa di più complesso e stratificato, che include entrambi gli aspetti.
  • Spiritualità e Religione comprende:
    • Spiritualità implicita: Collega l’aspetto invisibile e indeterminato della realtà, come un’esperienza personale e interiore del divino o dell’assoluto.
    • Religione esplicita: È una forma organizzata e strutturata della spiritualità, che si manifesta attraverso dogmi, riti e credenze. La religione tende a rendere esplicito ciò che nella spiritualità rimane implicito.

Analisi del contenuto concettuale

  1. Relazione tra fede e ragione:
    • Fede e ragione non sono viste come opposte, ma come due strade parallele che conducono entrambe alla comprensione del fondamento della realtà.
    • La ragione ha il compito di investigare il visibile, mentre la fede cerca di esplorare l’invisibile.
  2. Osservabile vs Essenza:
    • La ragione si occupa di comprendere il come e il comportamento osservabile della realtà. Qui si evidenzia il ruolo della scienza.
    • La fede, invece, è impegnata a scoprire il perché e l’essenza più profonda della realtà. In questo senso, la fede affronta le questioni che rimangono fuori dalla portata della pura osservazione scientifica, toccando aspetti più esistenziali e metafisici.
  3. Connessione tra spiritualità e religione:

La spiritualità viene vista come qualcosa di più implicito e personale, mentre la religione è la sua forma più esplicita e organizzata. È interessante come l’immagine sembri suggerire che la religione renda visibile o comprensibile in modo organizzato ciò che nella spiritualità rimane nascosto o implicito.

  • La Spiritualità accede al Fondamento della Realtà in modo implicito, senza determinarLo con un Nome, Rito, Testo sacro e Istituzione. La Spiritualità accede alla Realtà ultima senza possederLa, anzi rinunciando a se stessi, negando la Volontà di Potenza sul proprio sé. La Spiritualità accede alla Realtà Ultima, cioè al Sé di tutto, senza se stessi.
  • La Religione accede al Fondamento della Realtà in modo esplicito, determinandoLo con un Nome, Rito, Testo sacro e Istituzione. Questa “determinazione” dell’invisibile Fondamento avviene in Nome del Fondamento stesso. Con quale “diritto”? Nessun altro che la Volontà di Potenza. Aver potere sul Fondamento. Questa presunzione genera l’Idolo: la rappresentazione del Fondamento per poterlo “usare” in nome di Dio ( = Fondamento).

Interpretazione globale

Il dialogo scienza e fede avviene attraverso la distinzione tra ciò che è visibile e ciò che è invisibile. La scienza (attraverso la ragione) e la fede lavorano insieme per comprendere la realtà nella sua totalità. La ragione si occupa del mondo empirico e osservabile, mentre la fede esplora l’invisibile e il mistero della realtà.

Spiritualità e Religione sono due sentieri verso la Realtà Ultima ma differiscono in virtù della modalità con cui si accede a questa Realtà Ultima che è il Sé: la negazione-di-sé (Spiritualità) o l’affermazione di sé o Volontà di potenza (Religione).