
L’equazione fondamentale del Monismo Relativo è la seguente:
x = x + y
dove:
- x = Dio (principio assoluto, infinito, eterno),
- y = creatura (essere relativo, finito, contingente).
Nell’algebra ordinaria, l’equazione sembrerebbe contraddittoria, perché implica che y = 0. Nel linguaggio metafisico, invece, questa “contraddizione” diventa feconda: significa che la creatura (y), di per sé, non ha consistenza autonoma, ma “vive” solo come espressione di Dio (x). In altri termini: il valore ontologico della creatura non è distinto da Dio, ma è compreso in Lui. La somma non produce un nuovo termine, perché tutto è già contenuto nell’Assoluto. La creatura è nulla da sé (y → 0 ontologico), ma è qualcosa in Dio (y → partecipazione). L’identità finale è: x = x + y, cioè: ogni manifestazione, pur apparendo come alterità (y), è in verità radicata nell’unico principio (x). Questo è il cuore del Monismo Relativo: la creatura non è annullata (come nel monismo assoluto), ma è ricondotta alla sua natura di relazione e trasparenza all’Assoluto.
«Desidero conoscere Dio e l’anima» (Agostino, Soliloqui, I, II, 7).
«In confirming me in my mistrust of the reality of material phenomena, and making me rest in the thought of two and two only absolute and luminously self-evident beings, myself and my creator» (John Henry Newman, Apologia Apologia pro vita sua, Longmans, Green & Co., London 1876, 4)
«Distaccandomi dagli oggetti che mi circondavano, trovavo conferma alla mia sfiducia nella consistenza dei fenomeni materiali, e mi abbandonavo al pensiero di due soli esseri assoluti e luminosi: me stesso e il mio Creatore.»
Interpretazione
Sia in Agostino che in Newman, si afferma l’evidenza di “due soli esseri assoluti”: io e Dio. Questa evidenza emerge quando il soggetto compie un atto di distacco: rifiuta la solidità apparente dei fenomeni materiali (il mondo sensibile, effimero). Con “fenomeni materiali” non si fa riferimento solamente alla “materia” esterna, ma ad ogni contenuto di coscienza che determina la coscienza come questa o quella percezione, questa o quella sensazione, questa o quella comprensione.
Sembrerebbe che l’esperienza originaria della coscienza si dia in una tensione dualistica: da un lato la coscienza di sé (anima), dall’altro il Sé trascendente (Creatore). Atman-Brahman, anima-Dio, Assoluto-contingente, Creatore-creatura. Apparentemente si danno “due” (DVA) assoluti, ma l’equazione del Monismo Relativo suggerisce che questa dualità è solo provvisoria e rinvia ad una unità sostanziale, assoluta (A-DVA).
L’io, quando riconosce la propria relatività, comprende che la sua esistenza non è autonoma, ma è inclusa “in Dio”. Riconoscere la propria “relatività” significa, sapersi come logos, parola-di, rinvio-a. Quindi l’“assolutezza” dell’io non è sostanziale, bensì riflessa: l’uomo appare come luce, ma luce derivata dal Sole divino. La creatura è “luce-che-brilla”. In quanto “luce” è derivante-dal-sole (lumen de lumine, deum de deo, deumv verum de deo vero – come afferma il credo di Nicea). La creatura è – in tal senso – una cosa sola con il Logos. È il Logos: consustanziale al Padre. In quanto “che-brilla” è rappresentazione, espressione, manifestazione visibile della luce. Essendo la luce “Dio”, la creatura è teofanica, apparenza divina, fenomeno eterno dell’indicibile Noumeno.
Ciò che sembrano due esseri assoluti (x e y), in realtà sono: l’Assoluto (x) e la sua auto-rivelazione nella creatura (y). La struttura del Monismo Relativo è, dunque, logica, fondata proprio nell’affermazione di Nicea che il Logos è consustanziale al Padre. Se questo non fosse, la creatura non potrebbe “brillare” della luce, non potrebbe essere manifestazione del Logos.
L’evidenza originaria (Deum et animam) – dunque – si radica nella immediatezza tra sé e Dio. La dualità (Dio “e” anima) è l’elemento o aspetto psichico dell’esperienza originaria che rende questa esperienza “mediata” piuttosto che immediata.
Il Monismo Relativo rettifica ed articola l’esperienza “mediata” psichica secondo cui ci sono due assoluti: Dio e l’anima. Non ci sono veramente due assoluti, ma un unico Assoluto che si riflette e si riconosce nella coscienza del soggetto. L’esperienza spirituale è “logica” cioè radicata nel logos . La relazione “io-Creatore” non implica due sostanze indipendenti, ma due poli di una sola realtà: Dio (x), che, includendo la creatura (y), resta sempre Se stesso.
Conclusione
L’equazione x = x + y significa che Dio non perde nulla includendo la creatura; piuttosto, la creatura trova il proprio essere solo nell’unità con Dio.
«Mi allontanai dalle cose visibili,
e nulla di terreno mi parve saldo.
Svanì la realtà dei fenomeni,
e il cuore trovò riposo nell’eterno Noumeno.
Mi illuminai di Luce:
me stessa, fragile creatura,
riflesso taborico di Luce increata,
luce senza fine».








