Dio bonaccione e apatico

Un mio conoscente mi ha accostato recentemente con questa sua amara considerazione: “Dio è diventato un bonaccione. Dio viene descritto come unicamente buono, incapace di agire attivamente come Qualcuno che affligge per educare. Dio è divenuto impotente nei confronti della realtà stessa, verso la quale si pone unicamente come consolatore o un osservatore.

Ne segue che anche il giudizio finale subisca una simile sorte. Alla fine dei tempi, l’azione di Dio sarà semplicemente una specie di atto notarile, una ratifica di quanto abbiamo fatto per il prossimo. Dio è stato addomesticato e non fa più paura. Dio è divenuto una realtà spirituale tangente la realtà, restando così ai margini. Ma è tanto buono!”

Tale immagine del “Dio bonaccione” fotografa bene l’attuale situazione del “Deus dp, cioè dopo la pandemia”. Tale nostra misera condizione ha messo davanti agli occhi dei cattolici, non solo l’impotenza della Chiesa a resistere ai decreti dello Stato in questione sicurezza COVID (Messa di mezzanotte e altro…) ma anche l’impotenza di Dio davanti alla pandemia. Nulla è cambiato dopo le invocazioni, preghiere, novene e scioglimenti di sangue a San Gennà. Impotenti davanti alla realtà.  

Certamente, la tentazione di ritornare alla favola del Dio che scende dal cielo (Tu scendi dalle stelle!) e al Dio che risponde alle litanie e ai Kyrie eleison (sollecitati anche dal Nuovo Messale) è veramente grande. Sì, Dio ci sta punendo e castigando: ci sta mettendo alla prova. Restiamo saldi nella fede, come le ancelle virtuose. È la tentazione di ritornare all’Egitto del cattolicesimo, ovvero ritornare alla fede premoderna (Give me that old time Religion!) con angeli e demòni, apparizioni di Lourdes e di Mediugorje, miracoli e miracoletti, sangue liquefatto e lacrime mariane, ostensori di potenza divina e potenze celesti che assistono in adorazione il sacrificio della Messa. Tutti a bocca aperta e con mente vuota!

Voglio solo indicare alcuni segnali controcorrente a questa mitologia cristiano-cattolica alla Tolkien. In una catechesi sull’Inferno (Mercoledì, 28 luglio 1999), San Giovanni Paolo II sottolineava che “la ‘dannazione’ non va attribuita all’iniziativa di Dio, poiché nel suo amore misericordioso egli non può volere che la salvezza degli esseri da lui creati. In realtà è la creatura che si chiude al suo amore. La ‘dannazione’ consiste proprio nella definitiva lontananza da Dio liberamente scelta dall’uomo e confermata con la morte che sigilla per sempre quell’opzione. La sentenza di Dio ratifica questo stato”. Per Giovanni Paolo II, santo e papa (ovvero Magistero al 100%), Dio non castiga ma l’inferno (e tutto ciò che significa) non è altro che l’effetto del rifiuto umano, non di quello divino. Dio rifiuta colui che lo rifiuta? No, Dio non rifiuta mai nessuno! Ma bisogna essere conseguenti. Non ha senso dire: peccando, io mi castigo come fanno alcuni tradizionalisti cattolici, cercando così di mischiare linguaggio “ammodernato” e teologia pre-moderna.  

Un altro segnale è il filosofo gesuita Bela Weissmahr che nella sua teologia filosofica così si esprime: “Dio opera nel mondo dappertutto e attraverso tutto, ma non opera mai al posto della creatura. Egli produce direttamente il tutto del mondo e ogni suo singolo momento, ma all’interno del mondo non opera mai senza l’azione propria delle forse create” (Teologia filosofica, 193).

Bisogna allora essere conseguenti.

Questa è la questione fondamentale. Per i tradizionalisti cattolici – ed anche per molti benpensanti – la questione è: il Vostro modo di parlare di Dio rende Dio “inattivo” e “impotente” nel mondo. Vogliamo che ritorni a farsi sentire, vedere e adorare. Alleluja, Lode a Te  Signore, Maranatha!

Rispondo così, con una facile immagine.

Unicuique suum. A ciascuno il Suo. A Dio il suo linguaggio (divino) e a noi il nostro linguaggio (umano). Per esempio: facciamo finta che Dio in cielo parli “inglese” e noi uomini sulla terra parliamo “italiano”. Dio ha il suo inglese; noi il nostro italiano. Se Dio parla e scende dal cielo in terra, cosa farà mai per farsi capire da noi? Parlerà il linguaggio degli uomini, diventerà linguaggio umano. Per cui, se Dio dice “love”, Dio lo traduce in italiano “amore”, quando parla e viene a stare in mezzo noi. Solo così lo capiamo, per quello che è. Dio parla ed agisce nella realtà, parlando ed agendo da creatura e non da Dio.  Se parlasse ed agisse da Dio, la terra ammutolirebbe – Dio solo è la Parola – ed annienterebbe la realtà. Infatti, se Dio è il Tutto, se Dio che è Tutto diventa parte o frammento, la parte o il frammento diventerebbe il Tutto e non ci sarebbe più la parte o il frammento. 

Dio, invece, quando parla ed agisce nel mondo, “si” traduce nel linguaggio nostro, cioè nella nostra grammatica creaturale (con i suoi limiti, la sua dinamica di crescita, ed imperfezione). Solo così, Dio si fa capire. “Il Verbo si è fatto carne ed abitò in mezzo a noi” (Gv 1,14). Solo se è umano, l’uomo Lo comprende e Lo vive. Questo è il modo con cui Dio parla ed agisce nel mondo, facendo parlare ed agire la creatura. Da uomo, cioè da creatura, Dio parla ed agisce. Dio inter-viene nel mondo ponendo “Sé” nel linguaggio umano, cioè traducendosi, consegnandosi in una parola che comprendiamo. Dio inter-viene nel mondo, venendo come uomo all’uomo nel dono dell’amore.

Se il mito (dal gr. μῦϑος “parola, discorso e racconto”) cristiano-cattolico del Dio bonaccione o lanciafiamme castigatore non verrà de-mitizzato, continueremo a restare muti davanti ad un Dio troppo umano.

Un pensiero riguardo “Dio bonaccione e apatico

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