Paolo ha abolito la Legge?

Paolo di Tarso, con la sua comprensione di Gesù di Nazaret, è il fondatore del cristianesimo. Paolo è stato un ebreo preoccupato di riformare la sua religione e di annunciare la venuta del regno di Dio sulla terra d’Israele. La sua influenza sull’interpretazione di Gesù come Messia / Cristo è assolutamente decisiva per i quattro evangelisti (inclusi Matteo e Giovanni, che presentano una lettura ebraica maggiore di Marco e Luca) che basano la loro presentazione del Gesù terreno sul punto di vista paolino, retroproiettando il significato della nascita, vita pubblica, morte, risurrezione ed esaltazione al cielo di Cristo, sulla vita di Gesù sulla terra.

Ma Paolo abbandonò la legge ebraica? La divinizzazione di Gesù da parte di Paolo spezzò il rigido monoteismo di Israele? Per quanto riguarda la seconda domanda si può rispondere di no, in quanto era presente ai tempi di Paolo e già da almeno due secoli prima di Paolo una tendenza a “divinizzare” o tantomeno “elevare” accanto a YHWH (alla Sua destra) figure umane di Israele: Mosé, Elia, Enoc, il Figlio dell’Uomo.

Per quanto riguarda la prima domanda, Paolo interpreta la Legge, distinguendola in due parti: una universale ed eterna (alleanza cosmica), obbligatoria per tutti, anche per i Gentili o pagani (la cui base è il Decalogo); un altro specifico e temporaneo, e che riguarda gli ebrei membri naturali del patto di Dio con Abramo, ma non i pagani. “[Gli Israeliti] hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli” (Rom 9,4-5). Le norme fondamentali di questa alleanza particolare con Israele sono: la circoncisione, i precetti sul cibo e la purezza rituale. Il fatto che i gentili / pagani, convertiti a Gesù, ottenessero la salvezza come gli ebrei, ma che non dovessero adempiere una parte della Legge (quella particolare o etnica) fu il contributo, certamente rivoluzionario, di Paolo di Tarso.

I motivi per cui questo contributo di Paolo può considerarsi “rivoluzionario” sono i seguenti. I contemporanei di Paolo ben sapevano che i gentili seguendo la legge universale scritta nel cloro cuore ed articolata nei sette precetti di Noè, potevano venir considerati “proseliti”. I Rabbini distinguevano due tipi di proseliti: c’erano quelli che ricevevano la circoncisione e mantenevano tutta la legge mosaica e tutte le regole del giudaismo; e poi c’erano i proseliti della porta, che abitavano fra gli ebrei, e benché “incirconcisi” osservavano certe leggi specifiche, soprattutto i sette precetti di Noè contro i sette peccati principali: idolatria, bestemmia contro Dio, omicidio, impurità sessuale, furto o rapina, ribellione contro governatori e mangiare carne con il sangue. Ma c’era una distinzione fondamentale: quelli che ricevavano la salvezza “di prima classe”, appartenenti al Popolo di Israele (nati da madre ebrea) e pagani convertiti ed osservanti della Halakhà; e poi, quelli di “seconda classe”, appunto i proseliti che seguivano i precetti noachici.

Paolo introduce una “novità”. I proseliti che non seguono l’Halakhà ma credono in Gesù Cristo sono da considerarsi come i membri del Popolo di Israele membri di “prima classe”, accedendo quindi alla salvezza “assieme” e non “dopo” al popolo ebraico. Per questo Paolo usa l’immagine dell’innesto (Rom 11,13; 17-18): “Pertanto, ecco che cosa dico a voi, Gentili: come apostolo dei Gentili […] tu, essendo oleastro, sei stato innestato al loro posto, diventando così partecipe della radice e della linfa dell’olivo, non menar tanto vanto contro i rami! Se ti vuoi proprio vantare, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te”.

L’oleastro (i gentili) appartiene alla radice dell’olivo (i giudei). I gentili “innestati” appartengono all’olivo (popolo di Dio), attraverso la fede in Gesù Cristo, seguendo la legge di Cristo e non di Mosé. Paolo, quindi, cambia le condizioni per divenire “membri del popolo di Israele” (ripeto: membri a pieno diritto, e non proseliti, che potevano salvarsi (per la legge noachica) ma “salvati” di seconda classe). Per Paolo questo “allargamento” delle condizioni di accesso al popolo di Dio è frutto dei tempi messianici, dischiusisi con Gesù Cristo.

Ora questa innovazione paolina era considerata “rivoluzionaria” da molti ebrei ai tempi di Paolo: cioè che i gentili, convertiti a Gesù, ottenessero la salvezza “come” gli ebrei, cioè diventassero membri a pieno diritto del popolo di Dio (non di seconda classe).

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